Sanremo

Sanremian Rhapsody

Nel 1984, i Queen all’Ariston per cantare ‘Radio Ga Ga’ (in playback). Storia di un autografo e di una professione nell'ombra...

6 febbraio 2019
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«Sono una persona fondamentalmente timida, anche se magari non sembra. Mi vergogno un po’. E non vorrei sembrare quella che si sta facendo promozione…». Maria Luisa Pellicciari, la promozione, l’ha curata tutta una vita e ai massimi livelli all’interno della Emi, storica etichetta discografica. Ma non per sé; per i grandi della musica, sin dagli anni Settanta. «Facendo la gavetta», specifica: «Parlavo le lingue, così mi indirizzarono verso l’attività esterna». E cioè pubbliche relazioni e promozione. «Ero a contatto con radio, televisione e stampa; alla Rai poi si aggiunsero le radio e le tv libere».

Professione: Ufficio stampa

Al soggetto di questo racconto arriveremo non prima di aver detto di una professione – l’ufficio stampa – che sta forzatamente nell’ombra, se per luce s’intendono la star e tutti i suoi annessi e connessi in un periodo assai fecondo per la musica a livello mondiale: i favolosi anni Ottanta. «Ci si spostava di frequente da un Paese all’altro» racconta Maria Luisa. Tanto per dire un nome: la Emi tedesca mi chiamava per la promozione europea degli Scorpions e il mio compito era quello di selezionare 2 o 3 testate nazionali che potessero coprire l’evento. In quel caso, era il 1988, andammo a San Pietroburgo quando ancora si chiamava Leningrado». Di quel viaggio, Maria Luisa ricorda il pubblico immobile durante il concerto. «In sala c’era un plotone armato dell’esercito». Gli Scorpions prepararono anche un brano tradizionale russo, ma nessuno se lo filò.

‘Ca Calore’

Il Festival consegna oggi il premio alla carriera, postumo, a Pino Daniele. «L’abbiamo fatto crescere noi alla Emi» racconta Pellicciari. «Lo conobbi quando era ancora uno scugnizzo. Il suo primo singolo era ‘Ca Calore’. Arbore e Boncompagni se ne innamorarono, lo passavano tutti i giorni. Da lì nacque il suo successo». Potere della musica, «lo seguivo nei concerti. Ero molto altruista (sorride, ndr), mi mettevo nei panni di voi che dovete scrivere, rendere conto a un redattore capo, quindi chiamavo il Gotha della stampa, ma non disdegnavo quelli alle prime armi». Al primo produttore Claudio Poggi subentrò poi Willy David, che affiancò a Pino i grandi nomi internazionali. Pino che «nel frattempo era cresciuto artisticamente».

‘Persone deliziose. Che ti devo dire…’

Maria Luisa non ha figli né nipoti. E il suo lavoro le ha consentito, e così anche a molti suoi colleghi, di raccogliere quella che viene definita “memorabilia” del rock. «Ripercorrendo la mia vita professionale mi sono resa conto di quanto diventi difficile privarsi di questi oggetti. Prima che questa cosa vada al massacro o in mani che non apprezzano, mi sto adoperando perché finisca a chi veramente apprezza. Magari un fan. Voglio che sia in buone mani, perché è cultura». E “questa cosa” riguarda i Queen al Festival di Sanremo 1984. «A Roma, per altri motivi – riprende il racconto – avevo già conosciuto il loro manager, Paul Prenter. Diventammo molto amici. Poi il capo del dipartimento internazionale in Emi, che teneva i contatti con la sede londinese, riuscì a chiudere la partecipazione a Sanremo. “Mary, arrivano gli amici tuoi”, mi disse. E lì capii che ci sarebbe stato un gran lavoro da fare».

Uno per Limousine, in fila indiana

Il giorno fatidico, i Queen arrivarono a Nizza, poi ognuno su una Limousine e in fila indiana fino a Sanremo. «Al ristorante sotto l’Hotel Royal, sulla strada principale, Paul non sapeva ancora che avevo messo in piedi quattro interviste face-to-face con la stampa specializzata, che avrebbero portato a quattro copertine. “Io non so nulla di queste interviste”, disse. Sbiancai. “Guarda Paul, facciamo presto. In mezz’ora, se li dividiamo uno per intervistatore, sarà tutto finito”. Paul si avvicinò a loro, li prese da parte uno per uno; poi tornò indietro e disse: “Alle 4 ci vediamo”. Non toccavo terra, volavo». Le interviste avvennero in albergo, ognuno nella propria suite. «Mi toccò Bryan May, contento e soddisfatto. Indietreggiavo di spalle, mi vedevo come una sedicenne imbambolata». Quella sera i Queen, introdotti da Pippo Baudo, eseguirono ‘Radio Ga Ga”. «Fu durissimo per loro accettare di cantare in playback».

‘Una persona timidissima’

Ricordi particolari? «Freddie, una persona timidissima, di una riservatezza impressionante. Parlava sommessamente. E tutti dei signori, forse perché Bryan May è laureato in astrofisica e sono tutti dei cervelloni. Sì, sono nati nei college, ma non sono mai stati degli sprovveduti». Finita l’esibizione, Roger Taylor sul palco staccò il frontale della batteria con la scritta Queen. Senza dirmi nulla, prese un pennarello indelebile e incominciò a firmare». Firmarono tutti: “Questo è per te, per il gran lavoro svolto” mi dissero. Mi si piegarono le ginocchia». Quel frontale della cassa è stato per anni in un punto di passaggio di casa Pellicciari, un corridoio di memorabilia che include anche Paul McCartney e i Pink Floyd. Insieme ai Queen, «due-tre cosette giuste», come le chiama lei.

‘Al Festival non si mangia e non si dorme’

Maria Luisa, di Festival di Sanremo, ne ha fatti più di Peppino Di Capri, anche se nessuno ha proposto per lei un premio alla carriera. «Ho cominciato alla fine degli anni Settanta, non ricordo quanti siano stati. Ricordo che l’ultimo fu quello del 2003, con Peter Gabriel (nella palla di plastica di ‘Up’, ndr), anche lui un signore. Ci seguì in tutto quello che avevamo pianificato, senza mai dire nulla». Sanremo, vetrina internazionale. «Sì, quello è ancora il termine più esatto. Checché se ne dica, quando nomini Sanremo scopri che lo conoscono in tutto il mondo. C’è anche chi ha rimostranze e chi no, però tutti, anche il meno noto che ci ha messo piede, hanno avuto un riscontro, se non il grande successo. Sanremo ti prende per mano e non ti porta avanti nella carriera, quella la sviluppi tu, con la tua squadra di lavoro. Per le aziende, multinazionali e non, anche quelle italiane è stato un concentrato di lavoro e di promozione, passato da 3 giorni a una settimana». Come lo definiresti? «Un massacro. Non si dormiva, non si mangiava, si era sempre ‘on the road’. A lavorare a Sanremo s’iniziava al rientro dalle vacanze: a settembre non si parlava del Natale, ma del Festival».