Sanremo

Un italiano vero (chi ha vinto e chi ha perso a Sanremo 2019)

Il Marocco-pop del milanese che fa battere le mani (e parlare a vanvera) e tutto il resto

Mahmood (Rai)
11 febbraio 2019
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“Signori presto che fra un po’ si chiude”, cantava Baglioni 41 anni fa. Il Roof dell’Ariston si congeda dopo una notte di fuoco e un mattino di cifre e ringraziamenti. Per queste ultime parole da Sanremo, generosamente soleggiata fino a quando è durata la musica, ora spazzata da un vento freddo, iniziamo da sabato notte, sorvolando sulle accuse mosse dallo sconfitto Ultimo ai giornalisti di portare jella e sul suo aver chiamato Mahmood, trionfatore a sorpresa (ma nemmeno tanto) del Festival 2019, «il ragazzo che ha vinto», come si fa nei concorsi canori di parrocchia tra primedonne.

Quel «voi giornalisti avete solo questa settimana per sentirvi importanti», invece – pronunciato dal 23enne romano giunto secondo in un Festival che per alcuni aveva già vinto prima di cantare – andava detto non a chi si occupa di musica, ma a chi ieri mattina chiedeva a Claudio Baglioni «cosa ne pensa di un Festival della canzone italiana vinto da un egiziano?». Se l’affermazione fosse andata a chi per tutta la settimana ha cercato di spostare il discorso dalla musica ai migranti, allora a Ultimo potremmo anche stringere la mano. Ma preferiamo per lui le parole di chi sui social gli ha scritto “umiltà, lavora e zitto” (cit. Alfredo Leo).

Battimani ed esami di coscienza

Il Baglioni-due l’ha vinto un italo-egiziano che con ‘Soldi’ ha fatto battere le mani a tempo con un doppio clap contagioso. «Vince l’integrazione» dicono in tv. Nessuno ancora, 24 ore dopo, ha detto che, semplicemente, ha vinto il Marocco-pop di Alessandro Mahmoud, ragazzo di periferia dalla gran voce che shakera i suoni del mondo. «Sono nato e cresciuto a Milano. Ho messo una frase araba nella canzone, che era un ricordo della mia infanzia. Ma sono italiano, al 100%».

Podio a parte, ha vinto anche Achille Lauro, capace di stonare la geniale e decadente ‘Rolls Royce’ anche con l’autotune (ma lui “deve” stonare); ha vinto Arisa, fiaccata dalla febbre in finale con una canzone intitolata beffardamente ‘Mi sento bene’, piccolo dramma che chiama un premio alla tenerezza; raccontando ‘Nonno Hollywood’ che non c’è più, ha vinto Enrico Nigiotti; ha vinto Loredana Berté, ma con canzone di rara bruttezza che solo la grandezza dell’interprete ha camuffato da capolavoro.

Ha vinto il tema d’archi di ‘Abbi cura di me’ di Simone Cristicchi (tema che tira al Fossati di ‘C’è tempo’), la batteria di Fabio Rondanini in ‘Argento vivo’, il Daniele Silvestri diffusosi nelle nostre coscienze ancor prima che nell’etere. Anche per il necessario limitarsi di Bisio e Raffaele, hanno vinto Pio e Amedeo con questa battuta: «Mina è andata in Svizzera per non pagare le tasse, ma bastava andare a Campobasso o a San Severo per non comparire». Ha vinto Serena Rossi, nel rispettare Mia Martini. Hanno vinto Tozzi e Raf, i soli più dance di ‘Rolls Royce’.

And the winner is Claudio Baglioni

In verità è due anni che il Festival lo vince Claudio Baglioni. Davanti alle occhiaie della carta stampata, nell’acquario dei giornalisti pronto a essere svuotato, così parlò il direttore artistico: «Tendiamo ad allontanarci da quello che producono i più giovani, controlliamo a distanza i nostri coetanei e non sappiamo nemmeno bene cosa facciano. Ci chiudiamo in torri d’avorio prigionieri del nostro sapere e della paura di misurarci. E invece bisogna misurarsi sempre, non girarsi dall’altra parte. Per questo ho voluto una seconda avventura». Conflitti d’interesse o no (c’è mai stato un Sanremo libero?), questa è una lezione di musica e di vita, diretta a tutti i porporati del pop.

Le occasioni perse

In un Festival vincente, la Rai ha perso soltanto nell’averci privato di Rocco Tanica, lucidità comica di Sanremo. Ha vinto Motta, ma solo nei duetti e per la giuria d’onore, l’intellighenzia innamoratasi del livornese Premio Tenco anche in versione pop (aridateci Brunori Sas). Francesco Renga non resterà nella storia di questo Festival pur con canzone d’autore, che però non decolla mai (a volte è una caratteristica, qui è un difetto).

Non ha vinto la tv del dolore di Irama, non hanno vinto Federica Carta e Shade e il loro “Scusa ma”, che entra dentro come un veleno (o una supposta). Non hanno vinto alcuni uffici stampa, oggetto delle lamentele di settimanali anche importanti per avere blindato i cantanti («Siamo noi a tenere vivo il loro nome sui giornali quando Sanremo finisce»). Prendiamo una vincente, l’ex ragazza oggi nonna del Piper, per dire del perché Alessandra Amoroso superospite: «Datevela voi la risposta», replica Patty Pravo in conferenza stampa.

Il nuovo Reuccio

Così com’è certo chi ha vinto, è altrettanto certo chi quest’anno ha perso. Il sopracitato Ultimo, polemico come Claudio Villa, rissoso e sibillino come il reuccio, in piena notte ha alzato con le parole un bel dito medio al Roof e la stampa che conta – sempre attenta a che i manager, poi, non chiudano loro le porte degli hotel di Sanremo – quasi gli ha chiesto scusa. L’audio del piccolo delirio d’onnipotenza del giovane Niccolò Moriconi è trend topic sul Tubo. Malgrado la poca stima riservataci, noi poveracci della carta stampata che abbiamo avuto soltanto questa settimana per sentirci importanti, salutiamo Ultimo, nomen omen, con in testa ‘I tuoi particolari’, bella e sanremese quanto basta per restare nel tempo. Però, a Ultimo – anzi, a Urtimo – una cosa dobbiamo dirgliela: Niccolò, e fattela ’na risata.