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L’Occidente non abita più qui

Dai greci a un’Europa che non si identifica con gli ideali americani, Franco Cardini traccia la storia di un’idea che non è solo geografica

4 novembre 2024
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Si parlerà di Occidente, con il suo vasto e indefinito patrimonio di idee e di culture, nell’incontro organizzato per sabato 9 novembre alle 15.15 nella Hall del Lac di Lugano dall’Associazione Fare arte NEL nostro tempo. Questo pomeriggio sarà preceduto, giovedì 7 alle 18 alla Biblioteca cantonale di Lugano, da una conferenza con lo storico Franco Cardini. Info su www.associazione-nel.ch.

Professor Cardini, siamo qui a parlare di Occidente e Oriente, ma questi termini hanno un significato preciso? Non è una semplificazione eccessiva dividere così l’umanità?

Sono senza dubbio semplificazioni eccessive e sono anche datate, ma nello stesso tempo, come tutti i termini, hanno avuto nel tempo una dinamica semantica, cioè si sono andate modificando. È possibile fare, ed è stato fatto più volte – l’ho fatto anch’io in ‘La deriva dell’Occidente’ – un po’ la storia del termine Occidente. Termine che nasce in Grecia e poi a Roma. La cultura greca e la cultura romana vivono in un mondo evidentemente più piccolo di quello d’oggi, perché nessuno dei tre continenti era stato esplorato del tutto, però si sentono più vicini al limite occidentale del mondo che era l’Atlantico, le Colonne d’Ercole, cioè lo stretto di Gibilterra.

Questo sentirsi occidentali li obbliga a fare delle riflessioni: in pratica un greco, o un romano, che guarda a Occidente vi trova soltanto la civiltà celtica che situa l’aldilà oltre l’oceano occidentale, ne luogo dove il sole va a morire e che si pensa quindi privo di luce. Quindi da una parte c’è un Occidente che, diciamo, si sente compresso verso il mondo dell’ombra; dall’altra parte c’è l’Oriente: ampio, aperto e sconfinato. C’è la monarchia persiana, che i greci intendono come la loro nemica. Dietro la Persia c’è l’India, e questo si sapeva, anche se a grandi linee. Dietro l’India c’è la Cina, di cui si sapeva ancora meno… si sapeva che a Oriente c’erano grandi estensioni e grandi regni e realtà anche mitiche, fiabesche e tutto il resto, mentre a Occidente naturalmente c’era molto meno.

Non è quindi solo una questione geografica.

No, la divisione fra Oriente e Occidente non è una divisione emisferica, non è che la metà del mondo sia occidentale e l’altra metà sia orientale. Gli occidentali sentono il peso, la paura, anche la meraviglia davanti all’Oriente. Non corrisposti: le culture che noi chiamiamo orientali non si sono nemmeno sognate di definirsi orientali in rapporto all’Occidente. C’è un’asimmetria già dall’inizio: gli orientali non sanno di essere orientali, semplicemente sono loro e non gli interessa granché, il fatto che a ovest ci siano delle culture barbariche che guardano ai loro centri di cultura.

Oriente e Occidente erano concetti geografici ai tempi di Omero: per Omero l’Oriente e l’Occidente esistono, ma solo perché sono punti cardinali, ma tutto si ferma lì. I troiani non vengono rappresentati come degli orientali rispetto ai greci: semplicemente si trovano a est.

Troia non è orientale, mentre la Persia di Serse sì.

Si può partire da ‘ I Persiani’ di Eschilo, o ancora da Erodoto, che era un greco delle colonie greche dell’Asia minore e sentiva il peso dell’Oriente. In Eschilo questo elemento viene in primo piano, con la battaglia di Salamina e con tutta l’idea che i greci hanno fermato i persiani. I greci però non si dicono occidentali, non ci pensano nemmeno: è nella tradizione greco-romana, alla fine, che la Grecia e Roma hanno finito per costituire una realtà contrapposta all’Oriente, anche se in realtà la Grecia che hanno conosciuto i romani era una civiltà ellenistica successiva ad Alessandro Magno, quindi una civiltà che noi chiameremmo orientale.

È con Roma che la contrapposizione si istituzionalizza.

La prima categorizzazione della divisione tra Oriente e Occidente riguarda l’Impero romano. Prima l’Impero romano nascente, perché Augusto e Ottaviano si disputano una metà di quello che di fatto era già l’impero, anche se non si chiamava così. E Antonio si appoggia a una potenza che senza dubbio i romani avvertono come orientale: Cleopatra è greca ma viene sentita come una principessa egiziana.

Quando poi Teodosio, alla morte, divide l’impero fra i due figli Arcadio e Onorio, lo divide seguendo un meridiano che grossomodo è quello che parte in Istria, taglia l’Italia, la penisola italica dalla parte adriatica e finisce nella Sirte. I concetti di Oriente e Occidete al tempo di Teodosio sono già abbastanza maturi per poter dire che gli occidentali sono fatti in una maniera e gli orientali in un’altra. E la letteratura romana, anche tardoimperiale cristiana, sviluppa questo concetto, attribuendo addirittura etiche ed estetiche diverse. L’Occidente è il luogo del fare, del divenire, dell’agire; l’Oriente è il luogo della contemplazione e il luogo della mistica e via discorrendo. Sono tutte categorie che si elaborano all’interno del mondo romano diventato cristiano.

E poi?

Il pensiero europeo dilata questo concetto di Occidente, ne fa un elemento culturale di base con il quale si arriva fino all’età moderna e contemporanea: la cultura occidentale diventa il modello primario, e con il colonialismo anche gli orientali vengono a sapere di essere tali e ne prendono anche atto. Ma l’occidentalismo non è mai diventato un tratto delle culture orientali, mentre al contrario se dovessimo elencare i connotati della cultura che genericamente chiamiamo occidentale, uno di questi sarebbe l’attrazione per l’Oriente.

L’Oriente non è mai stato attratto dall’Occidente?

Ci sono stati moltissimi casi: uno è stato Mishima, l’uomo della rinascita del Giappone. Ma il suo era un Giappone già militarista, già largamente occidentalizzato del periodo Meiji. Mishima diceva di sentirsi profondamente giapponese, quindi indossava abiti giapponesi, seguiva i rituali giapponesi eccetera, ma quando andava fuori vestiva all’occidentale e diceva addirittura di non trovarsi a suo agio nello studio in stile giapponese, con i muri di carta e così via, ma solo nello studio “alla portoghese”.

In questa visione, l’Europa è sempre tutta occidentale?

No. Noi europei distinguiamo un’Europa occidentale, che forse noi sentiamo come l’Europa vera e propria, poi c’è un’Europa centrale e infine c’è un’Europa orientale che è variamente compromessa con l’Asia.

Non si può mai dire dove comincia e dove termina l’Occidente. Dopo la Prima guerra mondiale, Oswald Spengler scrive ‘Il tramonto dell’Occidente’. Ma qual è quell’Occidente che secondo lui è tramontato? Lui sostiene – magari ha anche ragione – che le guerre le perdono tutti e quindi la guerra europea del 1914-1918 l’ha persa in realtà l’Occidente, perché l’Occidente è entrato nella guerra europea come il padrone del mondo e ne è uscito fatto a pezzi, con un pezzo del suo mondo che se n’era andato. Dov’era infatti la Russia occidentalizzata? La Russia aveva fatto una scelta di cultura occidentale a partire da Pietro il Grande e da Caterina II, ma con la rivoluzione sovietica la Russia si è asiatizzata profondamente.

Dall’altra cresce il peso dell’America: dietro all’Occidente europeo, ne nasce un altro. E questo Occidente non europeo diventa sempre di più l’Occidente: diventa il mondo dell’individualismo, diventa il mondo della produzione intensa, diventa il mondo delle distinzioni di classe sempre più profonde con lo sviluppo del capitalismo. Diventa il mondo che noi conosciamo come il mondo dell’avere, tutto contrapposto all’essere, del fare contrapposto al pensare e via discorrendo. È il mondo descritto da un grande saggio di Erich Fromm, in questo suo saggio, ‘Avere o essere?’, dove dice che l’avere è la condizione strutturale dell’uomo occidentale, mentre certo che anche gli orientali posseggono le cose ma non gli danno lo stesso valore perché i livelli di valore sono diversi.

E a questo punto però l’Occidente è finito, secondo Spengler: la sconfitta, il tramonto dell’Occidente è cominciato nel 1918.

Il tramonto dell’Occidente europeo?

L’Europa è veramente occidentale? C’è gente che ancora oggi usa come sinonimi europei e occidentali. Lo fa spesso per esempio il presidente del Consiglio Giorgia Meloni: io ci andrei molto più cauto, appunto perché conosco meglio di lei –mi permetto: sono più vecchio di lei – le articolazioni del pensiero europeo e della realtà europea e penso che oggi, a essere europei, prima di definirsi occidentali bisogna pensarci almeno due volte, perché l’Occidente ormai è l’Occidente a testa americana.

Cioè l’Occidente è il pensiero della assoluta libertà individuale, è il pensiero ‘libertarian’ – lo dico all’americana, perché “libertario” in italiano è un’altra cosa – che è il cavallo di battaglia delle destre americane. ‘Liberal’ in America vuol dire tutta un’altra cosa e se si traducono male i due termini, come spesso fanno i nostri media, allora ne nasce una grande confusione mentale. Il ‘libertarian’ è colui che difende la specificità della cultura occidentale come cultura individualista, come cultura dei diritti legata al mondo dei diritti, dove il mondo dei diritti è ipertrofizzato e quello dei doveri scompare. E se scompare il mondo dei doveri vuol dire che scompare il mondo della socialità. E in effetti la cultura americana non ha sviluppato il tema della socialità con la stessa profondità con cui lo abbiamo sviluppato noi europei. Non a caso da noi è nato il socialismo, non a caso da noi le stesse dittature totalitarie sono parte a loro volta della fondazione dello Stato sociale, come alcune democrazie.

Nel mondo americano questa sensibilità non c’è: il welfare state non è sentito come una realtà americana: nemmeno i poveri sentono la necessità dello Stato sociale perché non ci sono abituati. Trovano del tutto naturale che se uno è ammalato sono cavoli suoi: o si fa un’assicurazione altrimenti si arrangia, mentre noi non la pensiamo assolutamente così.

Quali sono quindi i confini di questo Occidente non europeo?

Sono gli Stati Uniti, più forse l’anglosfera: forse anche l’Inghilterra stessa e naturalmente l’Australia. Non più il Sudafrica: con la rivoluzione di Mandela ha mantenuto l’inglese come lingua primaria del Paese, ma si è spostato tanto che ha abbandonato il fronte tipicamente occidentale della Nato ed è passato ai Brics, questa realtà socio-economico-politica che è in crescita e che si sta contrapponendo a tutto quello che invece nasce e cresce intorno agli Stati Uniti d’America. I media italiani hanno minimizzato i Brics, facendo anche dell’ironia, e solo adesso si rendono conto della loro importanza, con Putin e con le relazioni che dai Paesi originari – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, da cui la sigla Brics – si stanno allargando a Turchia e Iran.