Da Morges... a Morges, attraversando Europa, Sudamerica e Asia in bici e due oceani remando. Il suo giro del mondo riprende da Lima
Il conto alla rovescia è ormai agli sgoccioli. Poi, per la seconda volta di questo suo periplo attorno al mondo con la sola forza muscolare, Louis Margot varcherà le acque dell’Oceano. Ma stavolta non saranno più quelle, decisamente più abbordabili (per modo di dire), dell’Atlantico: ad attenderlo c’è la traversata del Pacifico, suppergiù 19’000 km che lo porteranno da Lima, in Perù, fino a Bali. «Le ultime sono state settimane molto stressanti, perché di cose da fare ce ne sono state e ce ne sono ancora parecchie – racconta il 32enne vodese quando nell’imminenza della partenza lo raggiungiamo al club nautico di Lima –. C’è ancora tanta burocrazia, questioni logistiche da sbrigare e dettagli da regolare, perché in un oceano come il Pacifico, le incognite e gli imprevisti sono all’ordine del giorno, e di certo, prima o poi i momenti delicati arriveranno durante questa traversata». Niente può dunque essere lasciato al caso nei preparativi. A cominciare dalle scorte che porterà con sé... «Secondo i miei piani, la prima pausa sulla terraferma dovrebbe essere sulle Isole Marchesi (che fanno parte dei territori d’oltremare della Polinesia, ndr). Per questa prima parte calcolo tra i 100 e i 110 giorni di oceano aperto, forse qualcuno in più. Ma ora come ora non ho la certezza di poterle raggiungere: due anni fa, un australiano che si era imbarcato nella traversata del Pacifico partendo come me dal Perù non era riuscito a farvi ‘scalo’ e così era rimasto in acqua altri sessanta giorni prima di approdare su una piccola isola, per un totale di 160 giorni di navigazione... Per questo che ho deciso di prendere con me scorte a sufficienza per poter sopravvivere il più a lungo possibile in acqua. Non ho ancora trasferito tutto sul battello, dunque non so ancora con precisione per quanti giorni mi basteranno, ma idealmente quando salperò da Lima dovrei avere con me scorte a sufficienza per sopravvivere 250 giorni in acqua».
In Perù, Louis Margot, ci era arrivato a fine luglio, in tempo per festeggiare il Natale della Svizzera con alcuni connazionali. Poi, dopo qualche giorno per recuperare le forze, sono cominciati i lunghi preparativi per la traversata del Pacifico. «Spostare un battello come il mio da un Paese all’altro sull’acqua si è rivelato di gran lunga meno impegnativo che farlo… sulla terraferma. A richiedere parecchio tempo e burocrazia sono stati in particolare gli aspetti doganali relativi all’equipaggiamento, cominciando dal mio sostentamento (cibo liofilizzato) e dall’attrezzatura tecnica. Il mio spagnolo non impeccabile (eufemismo) non ha certo aiutato... Per fortuna sono stato assistito dal mio team, lo Human Impulse, e dalla Msc, che mi ha dato un bel colpo di mano, anche per il trasporto del mio battello dalla Colombia al Perù. Abbiamo pure avuto qualche problema nell’invio dalla Svizzera del nutrimento che mi necessitava per la traversata: tutte le soluzioni che avevamo tentato si sono rivelate impraticabili. Alla fine abbiamo trovato uno svizzero che rientrava in Perù, e gli abbiamo affidato tutte le valigie pregandolo di passare dalla dogana per espletare tutte le formalità ».
‘Nei momenti più bui a farmi andare avanti è stata la convinzione che il domani sarebbe stato migliore, che il vento sarebbe cambiato. Me lo sono ripetuto quasi come un mantra, e così, un passo alla volta, giorno dopo giorno, sono andato avanti, fino al traguardo finale’
Perché partire dal Perù, quando salpando da più a nord, come dagli Stati Uniti, la traversata sarebbe stata più corta? «A livello di logistica e di pianificazione sarebbe stato più complicato. E poi, negli Stati Uniti questa è la stagione dei cicloni: c’era il forte rischio che l’approssimarsi di un uragano avrebbe ritardato l’inizio della traversata. Qui, invece, è da sessant’anni che non si verificano più grandi tempeste, per cui sulla carta (e… sull’acqua) il mio viaggio sarà sì un po’ più lungo, ma più sicuro».
Partito nel settembre 2023 da Morges per il suo giro del mondo con la forza muscolare, Louis Margot ha pedalato fino al Portogallo, dove si è imbarcato nella traversata a remi dell’Atlantico, con uno stop in Martinica, a cui ha fatto seguito l’attraversamento del Mar dei Caraibi, fino a Santa Marta, e il tour in bici che l’ha portato a Lima, in Perù. Ora però lo attende ‘La’ tappa, quella più delicata e importante dell’intero progetto: l’attraversamento dell’oceano Pacifico. «Con l’approssimarsi della data ‘x’ è inevitabile che lo stress aumenti. Ma anche la voglia di rimettermi in mare, di ritrovare quelle sensazioni, uniche, che avevo sperimentato nei primi giorni della traversata dell’Atlantico. Qui in Perù, poi, ho anche ricevuto la visita di mio fratello Antoine e mio cugino, e questo mi ha permesso di staccare un po’ con la testa dal mio progetto e sentire meno la lontananza di casa. Se penso a queste cose, un po’ mi rattrista il fatto di dover lasciare la terraferma per ripartire su un battello per mesi e mesi di navigazione in solitaria. Ma adesso sento che è il momento di levare l’ancora. È vero che in questi giorni che mi separano dalla grande partenza della tappa più importante di tutto il mio viaggio, sento la tensione aumentare. E si moltiplicano le domande nella mia testa: ‘Cosa sto facendo?’, ‘Lo sto facendo davvero?’… Ma poi, dentro di me, sento che la mia convinzione si fa largo: ‘Sì, ci sono, questo è il momento giusto per imbarcarmi in una simile avventura’. È quando il gioco si fa duro che i duri sono pronti a giocare, e mi sento pronto. Fisicamente forse avrei dovuto prepararmi di più, e per questo all’inizio farà male, molto male, specie quando nel susseguirsi dei giorni dovrò abituarmi a lottare contro il vento. D’altro canto in queste settimane mi sono concentrato sulla preparazione del battello, non lasciando nulla al caso: in una traversata come quella del Pacifico, un’avaria all’imbarcazione è ben più problematica di un acciacco fisico. Dopo quella che in spagnolo chiamano una ‘despedida’, per ringraziare tutte le persone, e sono parecchie, che mi hanno aiutato, scortato da un’altra barca mi sposterò a La Punta, da dove il mio viaggio comincerà per davvero. Salpare direttamente da Lima non è l’ideale considerando che la zona è caratterizzata da correnti di vento sostenute. L’isola di fronte a La Punta, invece, dovrebbe garantirmi un buon riparo dalle bizze di eolo».
Rispetto alla traversata dell’Atlantico, quella del Pacifico presenta un tasso di incognite (e rischi) decisamente più elevato: «Nella prima parte il vento non sarà necessariamente a mio favore. Idealmente, cercherò soprattutto in questa prima parte di traversata di spostarmi il più possibile verso ovest: in questo mi dovrebbero aiutare le forti correnti all’altezza dell’equatore. Ma dovrò stare attento a non farmi portare troppo a nord, altrimenti le correnti, anziché essere in mio favore, potrebbero spingermi indietro. Questo è un aspetto con cui non avevo dovuto fare i conti in occasione della traversata dell’Atlantico». Ma non è la sola cosa a essere diversa rispetto alla prima tappa a remi del suo tour del globo: «Quando arriverò in prossimità delle Isole Marchesi potrebbero esserci degli uragani, ma considerato che gli stessi non si avvicinano troppo all’equatore e che sarò da quelle parti abbastanza in là nel calendario, questo non dovrebbe costituire un grosso problema. Ho deciso di puntare direttamente sull’Indonesia anziché fare rotta sull’Australia, per evitare il Mar dei Coralli e i forti venti che lo spazzano, nonché il rischio di finire nelle zone meno abitate, e dunque anche meno civilizzate, attorno alla Papua Nuova Guinea».
Quando è partito in bici da Morges era il 3 settembre 2023. Il 27 dello stesso mese metteva a terra a Portimaõ, in Portogallo. È lì che il 6 novembre si è imbarcato per la traversata dell’Atlantico. «Per me è stata la scoperta dell’oceano in solitaria. Mi ha insegnato molte cose. Ero io, io e solo io. Mi sentivo un po’ come un bambino che stava scoprendo la paura della vita. È stato molto difficile, soprattutto all’inizio. Ho visto e conosciuto una parte di me in cui ero molto più instabile. Le mie emozioni venivano stravolte dagli eventi, in un ambiente incontrollabile. Allora ho cercato di lasciarle andare: mi è capitato di ridere, ma anche di piangere. A volte, quando le cose non andavano come dovevano, mi sono pure arrabbiato. Nei momenti difficili, poi, ho cercato di focalizzarmi sui ricordi. Ne avevo diversi in testa e mi sono sforzato di pensare a quelli. Nei momenti più bui a farmi andare avanti è stata la convinzione che il domani sarebbe stato migliore, che il vento, come si suol dire, sarebbe cambiato. Me lo sono ripetuto quasi come un mantra, e così, un passo alla volta, giorno dopo giorno, sono andato avanti, fino al traguardo finale. Ovviamente ci sono state anche giornate belle, nelle quali ho trascorso il tempo ascoltando un po’ di musica, meditando o facendo altro. All’inizio ho anche guardato qualche film e serie tv, ma ben presto mi sono stufato... A volte, la sera, per un’ora, me ne stavo semplicemente lì a guardare quella grande distesa blu davanti a me e non facevo nient’altro. E mi sentivo bene. Le onde, il mare, il vento, i pesci, i pesci volanti… Dopo un po’ è come se ci si ipnotizzasse. Ho pure cantato, benché non sia molto intonato: il vantaggio di farlo in mezzo all’oceano è che lì nessuno ti può giudicare! Per la traversata del Pacifico però mi sono attrezzato: sul mio battello ho pure caricato uno strumento».
Il grande giorno, intanto, si avvicina... «Un po’ di apprensione ovviamente c’è, dato che stiamo parlando di distanze enormi per rapporto alla prima volta. Ma, rispetto a quella, ho anche un po’ più di esperienza. Nella prima parte del Pacifico incontrerò meno barche, e ciò significa che in caso di reale necessità eventuali soccorsi ci impiegherebbero più tempo per raggiungermi, per cui dovrò pensare a cavarmela da solo. Psicologicamente, mi ci vorranno un paio di settimane per adattarmi più o meno bene al mare, e un mese per riuscire a dormire bene la notte. Ma, al di là di tutto sono passati quasi sei mesi da quando sono sbarcato in Colombia, e sono felice di riprendere il largo. Questa tappa è la più importante dell’intero viaggio, fondamentale per la riuscita del progetto. Benché ciò non significhi che, rimesso piede a terra, l’ultima fatica sulla via di casa, in bici attraverso l’Asia, sarà tutta in discesa, lo stress di un fallimento in mare è più grande. Di conseguenza le implicazioni e le considerazioni psicologiche e logistiche sono notevoli quando ci si appresta a partire per una traversata del Pacifico: questo per me è il vero punto di svolta. Nella prima parte dovrò fare i conti con temperature più basse, ma questo non è un male dato che sull’Atlantico ho patito molto caldo».
Come si affrontano i momenti difficili in mare? «Con la convinzione che domani sarà un giorno migliore». E allora non resta che augurargli buon viaggio e buon vento!