Secondo una ricerca il segreto per film, serie tv, romanzi e persino campagne di finanziamento è rappresentato dai rovesci narrativi
A noi esseri umani piacciono le storie – o, come va adesso di moda chiamarlo, “lo storytelling”. Abbiamo ‘L’istinto di narrare’, per riprendere il titolo di un fortunato saggio di Jonathan Gottschall: raccontare storie, costruire universi di finzione aiuta a stare al mondo, a costruire la nostra società. Ma le storie non sono tutte uguali: non solo perché – è sempre Gottschall a notarlo in un saggio successivo, intitolato ‘Il lato oscuro delle storie’, sempre pubblicato in italiano da Bollati Boringhieri – come costruiscono la società la possono anche distruggere, ma perché molto banalmente alcune storie sono noiose, non piacciono.
Inventare belle storie, che appassionino e vengano ricordate, non è semplice: nel corso dei millenni sono state avanzate varie teorie, stilati vari elenchi di ingredienti che possono determinare il successo di una storia, ma è difficile verificare se ad esempio una certa struttura narrativa è davvero più efficace di altre. Mentre queste teorie rimanevano senza conferme, se non aneddotiche, si è tentato un approccio di “forza bruta”, analizzando con strumenti di linguistica computazionale gli elementi di film o romanzi di successo, ottenendo parametri apparentemente significativi ma non facilmente comprensibili.
A questo punto l’articolo potrebbe continuare con un “finché un ricercatore dell’Università di Toronto e due della Northeastern University di Boston hanno avuto un’idea”. Il che sarebbe in parte vero – stiamo effettivamente parlando di una ricerca da poco pubblicata su ‘Science Advances’ da Samsun Knight, Matthew D. Rocklage e Yakov Bart – ma sarebbe appunto una storia e chi è arrivato fin qui a leggere dovrebbe aver capito che dovremmo sempre avere un po’ di diffidenza verso le storie. Anche perché l’idea di partenza non è che sia particolarmente originale: mettere insieme i due approcci, quello più teorico e quello computazionale, per identificare “l’ingrediente segreto” delle storie di successo. I tre sono arrivati a un risultato interessante, verificato analizzando film, serie tv, romanzi e persino le presentazioni di progetti da finanziare tramite una piattaforma di crowdfunding – ma difficilmente questo lavoro metterà la parola fine alle discussioni sul tema. Anche per via di qualche perplessità sulla ricerca, ad esempio per quanto riguarda la quantificazione del successo dei vari prodotti (le stelline date dagli utenti del sito IMDb per film e serie tv, il numero di download su Project Gutenberg per i romanzi: non proprio il massimo) e sul sistema di analisi delle storie, basato su alcune parole chiave che potrebbero perdere di vista molti dettagli narrativi.
Qual è comunque il “segreto di una storia di successo”? I rovesci narrativi: non necessariamente colpi di scena tipo “Tizio era fin dall’inizio in combutta con Caio”, ma quelli che definiscono “cambi di valenza della storia”, passando da una situazione positiva a una negativa o viceversa. Romeo e Giulietta si conoscono e si innamorano, e quindi tutto va bene; poi scoprono di appartenere a due famiglie rivali, e tutto va male. Mettendo in un grafico questo andamento da positivo a negativo, si vede che le storie migliori paiono delle montagne russe, con un continuo salire e scendere per poi risalire eccetera. Non c’è un numero ottimale di rovesci: più ce ne sono, più il nostro film sarà valutato positivamente su IMDb, compensando secondo gli autori altri aspetti (come la presenza di attori o attrici popolari) che richiederebbero fino a 40 milioni di dollari di budget. E se questa ricerca convincerà a investire un po’ di più sulle sceneggiature di film e serie tv, sarà un ottimo lieto fine.