L’approccio storico è importante per restituire al discorso scientifico quella complessità che da sempre lo ha caratterizzato, scrive Marco Ciardi
Una maggiore consapevolezza sul tema delle pseudoscienze è una delle tante necessità di cui questa pandemia ci ha mostrato l’urgenza. Riconoscere i confini del discorso scientifico, capire quali argomenti rientrano nelle regole del procedere scientifico e quali invece non hanno alcuna sensatezza scientifica e razionale non è una competenza che riguarda solo gli addetti ai lavori ma, almeno a grandi linee, dovrebbe far parte del bagaglio culturale di una persona comune.
Così non è e sui motivi per cui manca questa “cittadinanza scientifica” – che riguarda i metodi prima ancora che le conoscenze vere e proprie – si è scritto molto, puntando il dito ora su un’educazione (e una divulgazione) che presenta il sapere scientifico come un insieme chiuso di conoscenze indubitabili, ora – e con argomenti molto meno solidi – sulla diffusione della narrativa di immaginazione, fantasy e fantascienza in particolare.
Marco Ciardi, docente all’Università di Bologna, affronta il problema delle pseudoscienze da un’altra prospettiva, quella della storia della scienza. Lo fa con una interessante ‘Breve storia delle pseudoscienze’, pubblicata da Hoepli e nella quale presenta con un linguaggio chiaro e accessibile, origine e sviluppi di tutte quelle teorie, pratiche e discipline che oggi (e la precisazione temporale è fondamentale) consideriamo pseudoscientifiche, da quelle più antiche come astrologia e alchimia a quelle “moderne” come omeopatia, civiltà perduta di Atlantide, spiritismo, terra cava, Ufo eccetera.
Perché la prospettiva storica è così importante? Da una parte perché, come scrive Ciardi nell’introduzione, può “contribuire a restituire al discorso scientifico quella complessità che da sempre lo ha caratterizzato”. Inoltre, e forse soprattutto, perché la storia può aiutare a raccapezzarsi in quello che i filosofi della scienza chiamano il problema della demarcazione tra scienza e non scienza, ovvero, nelle parole di Ciardi, di “stabilire come si possa distinguere una credenza da ciò che ha un fondamento scientifico”. Un problema che si può cercare di risolvere ricorrendo a un qualche modello astratto, a un elenco di caratteristiche che una buona teoria scientifica deve possedere, ma questo approccio – spesso basato su una caricatura del metodo scientifico sviluppata guardando solo alcune discipline – mostra i suoi limiti quando ci si rende conto che, nella storia, quel confine tra scienza e pseudoscienza è sempre stato straordinariamente mobile e permeabile. E infatti della storia della scienza fan parte anche quella che oggi definiamo pseudoscienza, come ricorda Ciardi citando lo storico Paolo Rossi: “Gli oggetti della storia della scienza non coincidono affatto con gli oggetti delle scienze”.
Prendiamo due dei numerosi esempi che troviamo nel libro: astrologia e alchimia. Oggi sappiamo che si tratta di teorie che non hanno alcun fondamento scientifico al contrario di astronomia e chimica che idealmente ne hanno preso il posto, ma “il confine tra scienza e pseudoscienza va sempre interpretato nel contesto storico del tempo e mai secondo i parametri di valutazione contemporanei”. Il che ci porta innanzitutto a prendere in considerazione, se vogliamo comprendere lo sviluppo storico di queste discipline pseudoscientifiche, non solo l’astronomia e la chimica ma anche la medicina moderna, visto che astrologia e alchimia avevano un ruolo importante nella cura delle malattie. Ma soprattutto dobbiamo renderci conto – e questo riguarda anche altre pseudoscienze – che non si tratta necessariamente “di forme tipiche di una mentalità irrazionale” ma, al contrario di “elaborati tentativi di analisi della realtà, anche se in larga misura basati sul senso comune”. C’è stato, tra astronomia e astrologia, un dialogo che ha contribuito allo sviluppo della scienza. Newton dedicò molte energie allo studio dell’alchimia e nella sua idea (scientifica) di un’attrazione gravitazionale che opera a distanza c’è un debito verso la tradizione magica che va riconosciuto. Il che, ricorda Ciardi, “non rende quei campi di studio ancora validi né depositari di chissà quale occulta conoscenza”.
Un altro esempio interessante è il mito di Atlantide, formulato inizialmente da Platone e ripreso in età moderna come possibile spiegazione della presenza di specie animali simili in continenti separati dal mare: un continente in mezzo all’Atlantico che prima di sprofondare in seguito a qualche cataclisma univa le due sponde era, all’epoca, una spiegazione scientificamente accettabile quanto il fatto che i continenti si muovono e un tempo formavano un’unica distesa di terra. Poi è arrivata la teoria della tettonica a zolle e la geologia ha abbandonato l’idea che nell’Atlantico anticamente potesse trovarsi un continente poi sprofondato. Atlantide è così passata dalla scienza alla pseudoscienza e questo ci aiuta a identificare alcune caratteristiche che separano questi ambiti. La scienza rivede il proprio sapere in base alle prove, anche se spesso non in maniera lineare e talvolta richiedendo molto tempo; la pseudoscienza invece rimane tendenzialmente uguale a sé stessa, ignorando i nuovi elementi che dovrebbero portare a una revisione delle credenze. Questa disposizione a cambiare idea è più importante dell’oggetto di studio: vi può essere, e di fatto c’è stata, una scienza dei fenomeni paranormali e anche una degli Ufo, nel senso di uno studio scientificamente accurato di questi fenomeni.
Si era accennato all’immaginazione come possibile spiegazione della scarsa attenzione pubblica al discorso scientifico: la storia della scienza ci mostra anche l’inconsistenza di questa accusa. Galileo Galilei ha rivoluzionato la scienza moderna e adorava l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto “perché non ha mai confuso le dimostrazioni razionali con l’immaginazione, la quale tuttavia è stata sicuramente per lui di aiuto per raggiungere determinati risultati”, ma gli esempi più interessanti citati da Ciardi riguardano due scrittori. HP Lovecraft, riconosciuto tra i maggiori scrittori di letteratura horror, era un razionalista convinto e pur riconoscendo che gli piacerebbe vivere in un mondo abitato dai suoi incredibili personaggi, condivide l’opinione degli scienziati quali Einstein e Eddington perché “quando si tratta di scegliere fra ciò che è probabile e ciò che è semplicemente stravagante, devo fare in modo che sia il buon senso a guidarmi”. Abbiamo poi HG Wells, l’autore della ‘Macchina del tempo’ e della ‘Guerra dei mondi’: quando Charles Fort, uno scrittore al quale si devono molte teorie pseudoscientifiche moderne, gli inviò una copia di un suo testo, Wells gli rispose secco di averlo buttato nel cestino trovandola un’accozzaglia di supposizioni campate per aria. “Pensavo che si trattasse di fatti” gli risponderà, ricordandogli che “la scienza è una ricerca continua, come diavolo può essere una ortodossia?”.