Tra presente, futuro e catastrofi, intervista al filosofo, ospite dell’Associazione Nel alla Biblioteca cantonale di Lugano lunedì 7 novembre
Non sarà «un discorso politico-politico», ma una discussione «un po’ generale su alcuni possibili presupposti delle grandi chiacchiere che si fanno attualmente sulla situazione geopolitica, sulle crisi internazionali, sul disordine globale che sembra imperare». Massimo Cacciari, la cui carriera si è equamente divisa tra filosofia e politica, ha subito tracciato il confine dell’incontro in programma domani, lunedì 7 novembre, alle 18 alla Biblioteca cantonale di Lugano: ‘Presente, Futuro e catastrofi nel pensiero dell’Antichità greca e oggi’ è il titolo dell’appuntamento che si inserisce nel ciclo di incontri dell’associazione Nel – Fare arte nel nostro tempo. Uno sguardo al futuro, quindi. O meglio ai «vari modi in cui si è cercato di pre-vedere, al significato che si è dato al termine futuro, alle varie concezioni della storia che l’uso di questo termine presuppone».
Mi viene in mente che, con la caduta del Muro di Berlino, si è parlato di ‘fine della storia’.
Beh, c’è stato un momento in cui è venuto meno un certo ordine internazionale che sostanzialmente si reggeva su un equilibrio tra due potenze. Ed è sembrato che il fine di questo equilibrio potesse coincidere con il fine della storia, ma in un senso ben preciso. La storia fino a quel punto era stata una storia di guerre e di conflitti e ora si apriva la possibilità di instaurare un ordine "monarchico", nel senso di un ordine con una arché sola – monarchia significa questo, un singolo principio. Era questo il senso del "fine della storia", non che non ci sarebbe più stato il divenire. E si è rivelata un’idea completamente sbagliata: cercavamo di prevedere il futuro e alcune delle nostre previsioni sono risultate completamente sbagliate.
Ora sappiamo che la storia non è finita, anche se non sappiamo cosa accadrà.
Fatichiamo ancora più di una volta a prevedere il futuro. Quando finì quel periodo storico c’era la presunzione di saper pre-vedere. Oggi non abbiamo alcuna idea di quale ordine possa succedere all’attuale disordine globale. Siamo diventati tutti come Amleto: il mondo è fuori di sesto, cosa capiterà nessuno lo sa. Facciamo quello che l’uomo ha sempre fatto: cerchiamo di azzardare delle previsioni. Le persone più dotate di raziocinio sanno benissimo che la capacità di prevedere è limitatissima e si fonda sostanzialmente sulla conoscenza di alcune regolarità del passato: in situazioni analoghe è capitato questo e quindi è probabile che capiterà di nuovo. È il discorso di Machiavelli quando studia la storia romana, ma già Guicciardini risponde che siamo costretti a fare così ma la fortuna e il caso dominano.
Anche perché tra queste regolarità del passato c’è anche quella che le previsioni spesso falliscono.
D’altra parte siamo costretti a cercare di prevedere, fa parte della natura della nostra mente. Per prevedere qualcosa di attendibile non possiamo fare altro che rifarci al passato. Siamo così in bilico tra un passato che crediamo di sapere e un futuro che non sappiamo prevedere.
L’incertezza quindi riguarda non solo il futuro ma anche il passato.
Basta vedere quante interpretazioni anche contrapposte si danno del passato. Nessuno di noi ha vissuto direttamente il passato e ne è testimone – e delle cose di cui siamo stati testimoni ci sono troppo vicine per giudicarle con la necessaria distanza critica. Possiamo dire che conosciamo il passato meglio del futuro, però è una conoscenza molto relativa.
Non è una visione un po’ pessimistica, sulle nostre possibilità conoscitive?
No, semplicemente realistica. Siamo costretti a conoscere meglio che possiamo il passato, a trarne tutti gli insegnamenti possibili e a prevedere il futuro: volenti o dolenti siamo costretti a fare così, la nostra mente è fatta così, è la nostra natura razionale che funziona così. Non c’è nessun pessimismo, solo una razionalissima visione dei limiti del nostro intelletto.
Conoscere questi limiti ci può aiutare a fare meno errori?
Può aiutarci a guardare la realtà con gli occhi aperti e non sognando. Dopo di che c’è anche bisogno di sognare: nella nostra natura c’è anche questo, il sognare a occhi aperti che significa sperare, che significa utopia. Anche questo fa parte del futuro: quando cerchiamo di prevedere non lo facciamo solo calcolando ma inevitabilmente guardiamo al futuro con speranza o con disperazione, che sono due parti della stessa medaglia. Non possiamo evitare di mettere in gioco anche questi sentimenti.
L’utopia è quindi un sentimento?
Certo, quando non ha la pretesa di valere come una previsione più o meno fondata o addirittura esatta, è un sentire l’esigenza di un futuro di un certo tipo in base a una critica del presente. Non soltanto prevedo un futuro col massimo realismo possibile, ma anche spero che possa avere quei caratteri che non vedo nel mio presente. Sono due dimensioni diverse che spesso si accompagnano ma che vanno distinte.
Nel titolo del suo incontro, insieme a passato e futuro troviamo anche le catastrofi.
Catastrofe non ha alcun senso distruttivo: si intende semplicemente quello che intendono i fisici, un cambiamento di stato. Quale sarà il cambiamento di stato, la svolta che dobbiamo attenderci?
Però alcuni cambiamenti sono lenti e altri veloci.
Sul tempo lungo dei mutamenti lenti si inseriscono degli eventi veloci, dei terremoti. La placca tettonica africana si sposta lentamente e questo provoca dei terremoti, perché la natura fa salti.
E noi, tornando ai limiti del nostro intelletto, riusciamo a capire come questi salti si inseriscono in questi movimenti lenti?
I grandi mutamenti geologici e fisici sono prevedibili, ma come avvengano, attraverso quali catastrofi, è impossibile prevederlo.
Però, prendiamo i cambiamenti climatici: un conto è conoscere le tendenze decennali, secolari o millenarie, un altro affrontare le catastrofi.
I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, sul tempo lungo. Ora sembra che i nostri interventi facciano sì che in questi processi di lungo e lunghissimo periodo avvengano delle accelerazioni. È una forma particolare di catastrofe determinata da noi e questo non era mai avvenuto in precedenza.
Quindi, l’uomo saggio cosa dovrebbe fare?
Dicevano gli stoici che l’uomo saggio è quello che segue la natura, ma in fondo anche noi siamo natura. Cosa vuole che faccia l’uomo saggio? Cerca di farsi un’idea precisa e realistica di tutto ciò che ci siamo detti, sia sul piano fisico e geologico sia sul piano storico, senza piangere, senza ridere ma cercando di capire.