La tecnologia non sempre porta conquiste. I libri, meno in auge rispetto a qualche decennio fa, vanno elevati di nuovo. Non ridotti al tasto ‘play’
Nulla è più nocivo dell’assunto che ciò che appare come moderno, tecnologico – altresì detto: il futuro – sia per forza una conquista. O meglio, non laddove non ve ne sia stretta necessità. In questo senso in ambito ‘culturale’ non c’è alcun dubbio che gli audiolibri (cfr. edizione di ieri) siano uno dei simboli del decadimento, o svalutazione, che il mondo intellettuale sta oggi vivendo. Si legge sempre di meno, e questo è un dato. Le librerie faticano, schiacciate da giganti come grandi gruppi commerciali o web come Amazon. Tra chi oggi scrive romanzi in pochissimi possono dire di poter vivere grazie a questo lavoro. Spesso, scrivere è un secondo mestiere, una passione rubata al tempo libero.
Davanti a questo quadro avvilente occorre elevare di nuovo il concetto di libro. Ma libro inteso come oggetto vero, che da inanimato sotto i nostri occhi si trasforma in amico, compagno di viaggio. Con il suo peso, con il suo ingombro, con la sua scomodità alle volte. Ma con la sua presenza fisica, materiale in un mondo dove l’etereo è sempre più diffuso, dove la musica si ascolta in mp3 senza più supporti come vinili o compact disc, dove i film in Dvd sono ormai una rarità perché si scaricano dal web – in maniera più o meno legale – o ci si abbona a Netflix.
Ma parliamo di supporti relativamente nuovi. Se il primo disco in vinile è stato messo sul mercato nel 1948, il Compact disc ha visto la sua comparsa nel 1982. I Dvd hanno circa vent’anni, mentre le videocassette ormai sono da tempo viste come reperti preistorici. Invece la scrittura ci accompagna – si può dire, senza retorica – da sempre. Perché se la carta e la stampa appartengono al campo delle scoperte, delle invenzioni e dello sviluppo, si scrive da tempo immemore. Dalle tavolette di argilla si è passati alle copertine smaglianti e alla carta di qualità, grazie e ci mancherebbe all’epocale scoperta che ancor oggi, un po’ per romanticismo e un po’ per passione, porta alla difesa del concetto stesso di libro: quella della stampa a caratteri mobili. Figlia del progresso tecnologico del tempo, certo. Ma per ciò che riguarda i supporti audio l’evoluzione viaggia a ritmi velocissimi, per il libro no. Nel senso: possono esserci tutte le differenze possibili tra un volume edito nel Settecento e una novità letteraria che fa bella mostra di sé in vetrina. Ma l’oggetto di cui stiamo parlando resta sempre lui, il libro. Che esiste da secoli, e un motivo c’è. La lettura, va da sé, è sempre andata di pari passo con la scrittura. Ed è proprio la lettura a giovarsi di un supporto materiale che l’ascolto non garantisce.
La lettura richiede attenzione
Non sta in piedi la spiegazione che grazie agli audiolibri si moltiplicano le possibilità di “leggere” perché si può farlo in un viaggio in auto o passeggiando per strada. L’ascolto richiede meno concentrazione della lettura, e per questo è meno attento e non lascia molto dietro di sé.
Se immaginiamo testi complicati come i “Seminari” di Jacques Lacan (trascrizioni apposite di sue lezioni orali) o “Infinite Jest” di David Foster Wallace è pacifico ritenere che la lettura attenta e concentrata sia un requisito fondamentale. Semplicemente ascoltando certi passaggi non si sarebbe nelle stesse condizioni per capirne appieno i contenuti. Cosa rimarrebbe dopo? Una vaga memoria, un ricordo. Non un libro, animatosi e pieno di vita dopo la lettura, da riprendere, rileggere, guardare, riempire di note, cercare.
Esatto contrario, in tutti i sensi, di un’icona nel proprio computer da cliccae con un gesto freddo e banale. Gli audiolibri semplificano qualcosa che non può essere semplificato: lettura e comprensione di un testo richiedono tempo, attenzione, disponibilità. Non è un vezzo , perché se chi scrive si impegna a offrire al lettore il testo migliore possibile, lo scambio prevede che chi legge mostri lo stesso sforzo. Bombardati di informazioni e opportunità, non siamo più capaci di concentrarci e prenderci del tempo per lo studio, per la lettura. Di isolarci e di leggere, capire, far entrare in noi temi e storie. Tutto è immediato, tutto è un tweet o una notifica. E mirabile è una frase di Woody Allen, non solo grande regista ma pure fine dicitore: “Ho fatto un corso di lettura veloce: ho letto ‘Guerra e Pace’ in venti minuti. Parlava della Russia”. L’ultimo baluardo è il libro, ed è un totem da difendere con le unghie e con i denti. Perché è difendere noi stessi, il nostro passato, la nostra crescita e la nostra cultura letteraria. Che non può in alcun modo ridursi a premere ‘play’.