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La solitudine giovanile in Competizione

Tra i ricchi palazzi di Montecarlo in ‘Cent mille milliards’ e nella Foresta per eccellenza, in ‘Transamazonia’

Da ‘Transamazonia’ di Pia Marais
13 agosto 2024
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Una giornata in Competizione che mette in mostra il disagio e la solitudine giovanile oggi, che riguardi il destino di una bambina unica sopravvissuta in un disastro aereo sull’Amazzonia, come ben racconta Pia Marais nel suo ‘Transamazonia’, sia che riguardi un gruppo di quattro giovani che per vivere si prostituiscono tra i ricchi palazzi di Montecarlo, come mostra Virgil Vernier nel suo ‘Cent mille milliards’.

Montecarlo

Il francese Virgil Vernier ha una buona carriera tra gli autori indipendenti. Cosa vuol dire, spesso, ‘indipendente’? Che a Cannes vai alla Quinzaine des réalisateurs o all’Acid. Così è andata per il Nostro fino ad arrivare qui a Locarno, finalmente in Competizione dopo essere stato per due volte con ‘Orléans’ nel 2012 e ‘Sophia Antipolis’ nel 2018 nella sezione Cineasti del presente. Con questo ‘Cent mille milliards’, 77 minuti densi di cinema e politica, il regista ci porta durante le feste natalizie in una sfarzosa Montecarlo per mostrarci il mondo dei rifiutati alla festa del potere, un mondo di Marie Maddalene senza possibilità di redenzione, prostitute e prostituti che fanno differenza tra chi cerca il sesso duro normale e chi vuole sfogare la propria omosessualità. Il protagonista è Afine (l’esordiente Zakaria Bouti), un 18enne di colore che convive con tre compagne che, come lui, si guadagnano da vivere a forza di cento a rapporto, non hanno sogni e, di più, non hanno un futuro da sognare. Ma ad Afine succede un miracolo: un’amica serba che fa la bambinaia in una casa di miliardari, ora in vacanza per le Feste, lo ha invitato a passare il Natale con lei e la bambina degli straricchi: vivono una notte e un giorno da sogno, scivola lo Champagne e finalmente la schiuma riempie la jacuzzi. Succede anche che nasca una simpatia innocente tra lui e la bambina, e che dopo qualche avventura nei sotterranei della città monegasca e sulle rive meno conosciute, lei sogna con lui dei gatti, di un’isola dove andare… ma la festa finisce quando un elicottero imbarca la bambina per portarla dai genitori. “Ti chiamerò”, le dice lei, ma il telefono di Afine non suonerà e Montecarlo diventa più fredda che mai. Girato in 16 mm il film ha il merito della semplicità del dire, e la tristezza dei sogni impossibili.

La Foresta ferita

Diverso è il mondo che racconta ‘Transamazonia’, un film che mostra le tragiche ferite portate dall’imbecillità umana alla Foresta nel tentativo vigliacco di non volerla immensa. E insieme mostra la varietà animalesca dei finti esseri umani che l’hanno invasa per possederla, distruggere i popoli che per millenni l’hanno abitata e naturalmente cristianizzarli, come se non fossero bastati nei secoli le perfidie criminali dei gesuiti in quella martoriata America Latina. Pia Marais non fa un film di denuncia, si limita a mostrare il momento difficile che oggi vive la Foresta Amazzonica e il resto di chi felice la viveva, proprio a causa dei tagliatori d’alberi che la disboscano e i missionari di tutto il mondo che carichi di fede l’hanno invasa (“più di trenta tipi di cristianità”, ha spiegato la regista). Il film ci mostra il ritrovamento di una bambina, unica sopravvissuta di un aereo che ha finito la sua corsa nella Foresta; la vediamo anni dopo, si chiama Rebecca (la 16enne Helena Zengel, un po’ scolastica), è figlia di un missionario (il regista Jeremy Xido) e fa la guaritrice; grazie ai suoi miracoli mantiene la missione. Succede un’invasione di taglialegna abusivi, succede che gli indigeni si ribellano e bloccano la transamazzonica, una strada che taglia la Foresta. Ci saranno dei morti. Mentre il padre fatica a prendere posizione, Rebecca si schiera con gli indigeni e grazie a un’infermiera scopre che il missionario non è suo padre, ma una viaggiatrice tedesca morta nell’incidente aereo. Il missionario prende posizione contro i taglialegna al fianco di lei, e s’impegna a farla ritornare in Germania. Lei ha un’altra idea.

Ciò che manca a ‘Transamazonia’ è il coraggio di colorare la denuncia dello scempio totale che sta succedendo in Amazzonia. La regista cerca di virare sulla storia personale, ma così resta vuota la figura del missionario e anche quella della figlia. Peccato.

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