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Il coraggio di Achraf in un sentiero di sangue

‘Les enfants rouges’, Lotfi Achour restituisce le emozioni di un bambino scampato alla morte e costretto a vivere l’insostenibile

13 agosto 2024
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Cinema come mezzo per aprire finestre su mondi lontani, sconosciuti, in cui scorgere persone, ambienti vicini o diversi dai nostri, avvicinandoci culturalmente in questo processo d’incontro. Così, anche due giovani pastori tunisini, sperduti nei pressi del monte Mghila, colpiti da una tragedia disumana, possono diventare monumenti alle atrocità che riusciamo ancora oggi a commettere, per esserne testimoni. ‘Les enfants rouges’, di Lotfi Achour, nel suo riscrivere la storia ispirandosi a questi fatti reali, restituisce le emozioni di un bambino scampato alla morte e costretto a vivere l’insostenibile. Un viaggio psicologico profondo, frutto del desiderio del regista di “osservare e mostrare il punto di vista di un piccolo innocente, costretto a subire un trauma inimmaginabile e ad affrontarlo”.

Achraf e Nazir, giovani pastori uniti come fratelli, vivono in un remoto insediamento, dispersi in un paesaggio arido. Sconfinando con le capre in un territorio sotto al controllo dei mujaheddin, vengono aggrediti e Nazir viene decapitato, come monito alle piccole comunità locali. Achraf, sotto choc, riporta la testa a casa, quindi il fratello del defunto, Mounir, negatagli assistenza dallo Stato, decide di compiere una spedizione per recuperare il corpo. Parlando con fantasmi e schivando mine, Achraf rivive la vicenda, frutto di un contesto molto più grande di lui, tra dolore, paure e rimpianti.

Un film preciso nella sua costruzione, con un uso consapevole della profondità di campo, alternata a inquadrature strette, coperte da un velo naturale, accompagnate da una colonna sonora dolce ed emozionante. Protagonista magnetico Ali Hleli, che ha fatto “un grande lavoro interno, coinvolgendo l’esperienza personale (la sua vicina è esplosa su una mina, sconfinando in territorio jihadista, ndr) e collaborando con la messa in scena, con una certa libertà”. Un’occupazione estremista invisibile che deve essere raccontata, per ricordarci che non c’è brutalità che possa portare a un bene superiore.

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