‘The Upshot’, in concorso ai Pardi di domani, l'intenso lavoro della regista palestinese Maha Haj
Trentatré minuti di amara poesia: la regista palestinese Maha Haj ha portato a Locarno, nella sezione dedicata ai Corti d’autore dei Pardi di domani, uno dei lavori più intensi visti finora. ‘Upshot’ (che potremmo tradurre come “l’esito”, il “risultato”) è stato scritto prima degli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre e della Guerra di Gaza – che, proprio in questi giorni di Festival, ha visto Israele commettere nuove atrocità contro civili palestinesi –, ma l’attualità ha certamente influito, anche solo a livello emotivo, nella realizzazione di questo film breve ma denso di significati e letture.
Per raccontare il dolore della guerra, Maha Haj parte da una anziana coppia di coniugi. Lei si occupa della casa, lui del grande campo di ulivi secolari che circonda l’isolato casolare in cui vivono soli. Durante i pasti, apparentemente unico momento di convivenza tra i due, parlano dei figli ormai adulti, andati per la loro strada mentre ai genitori non resta che guardare il loro costruirsi una vita che non necessariamente segue le aspettative dei genitori.
Percepiamo, dai toni dei discorsi e da altri segnali che l’abile regista inserisce, che qualcosa non va, che il passato nasconde qualche dolore. L’imprevista visita di un vecchio compagno di scuola di uno dei figli, divenuto giornalista, squarcia il velo di Maya rivelando a noi spettatori una verità che in realtà già conoscevamo inconsciamente, ma che non sapevamo accettare razionalmente.
Il film racconta il dolore della guerra, di ogni guerra: si cita esplicitamente Gaza, ma il messaggio riguarda ogni conflitto, ogni violenza. Non importa chi è il carnefice: quello che importa è ciò che resta, il risultato (‘the upshot’, appunto), il peso di chi è sopravvissuto e deve, o dovrebbe, andare avanti.
Il film appare denso di simboli: l’ulivo albero di resilienza e di pace, i pasti come momenti di condivisione. Simboli che sembrano rispondere alla domanda che è inevitabile porsi: è possibile che l’esito, alla fine, sia la riconciliazione? Ma è una risposta che, proprio come la verità nascosta, fatichiamo ad accettare razionalmente.