Locarno Film Festival

Dal cinema demenziale alla noia mortale

L'arte della rappresentazione in ‘Nähtamatu Võitlus’ di Sarnet; l'assenza di rispetto verso gli attori bambini in ‘Theater Camp’ di Gordon e Lieberman

Dal film del regista estone Rainer Sarnet
12 agosto 2023
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Ultimo film in Competizione a questo Locarno 76 è stato ‘Nähtamatu Võitlus’ (The Invisible Fight) del fantasioso regista estone Rainer Sarnet, uomo di cinema d’animazione, di fiction e di teatro, uno che ha in sé l’arte della rappresentazione. E in questo film mostra tutta la sua maestria nella messa in scena. Ci troviamo di fronte a un film d’azione nel vero senso della parola, il ritmo è in certi momenti addirittura forsennato, c’è un’idea di teatro che sconfina nell’arte circense. Nella follia surrealista, madonne che piangono e il protagonista terge loro il volto dalle lacrime; teschi che danzano, monaci che volano a sconfiggere diavoli irridenti, vecchie trabant che volano ai 160 all’ora…

Ho visto monaci felici

Ma andiamo con ordine, ecco in breve la vicenda: Confine Urss-Cina, 1973. Il soldato Rafael (un inimitabile Ursel Tilk) è di guardia quando il confine viene attaccato dai guerrieri cinesi del kung fu; Rafael è l'unico a sopravvivere miracolosamente; immagini di combattenti dall'aspetto hippie che corrono lungo i rami, Black Sabbath che si ascoltano alla radio portatile della squadra, impresse per sempre nella sua memoria. Più tardi, quando vede monaci dall'aspetto simile nel cortile di un monastero, ha un'illuminazione e decide di diventare lui stesso un monaco. La strada per raggiungere l'onnipotente potere dell'umiltà è lunga e tortuosa, fornendo svolte sia comiche che illuminanti. L'orgoglioso Rafael sembra aver ricevuto il dono di una potente preghiera. Eppure deve dimostrare a padre Melhisedek (un bravissimo Sepa Tom), al monaco più anziano Nafanail (un irresistibile Indrek Sammul), alla civettuola Rita (una Ester Kuntuda da applausi) e alla sua rivale e avversaria Irinei, che è davvero capace di diventare l'uomo illuminato che può unire potere e tenerezza.

Il suo è un difficile cammino di iniziazione dall’Unione Sovietica, dell’esercito e delle armi, a quella della fede popolare dei monasteri, quella illuminata dai suoi starets. Ma lo starets di Rainer Sarnet non è Zosima del romanzo I Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, è invece un guerriero ninja, depositario della sapienza dei grandi combattimenti di kung fu, e devoto come tutti a Bruce Lee. E la fede, e Dio? Il regista risponde: “C’è la gioia che è ignota nel cattolicesimo. Ho visto nei monasteri ortodossi file di donne felicemente sexy, e ho cercato nel film di raccontare questo mondo”. E il suo protagonista, incerto tra una vita monacale che lo ha portato a leggere i pensieri delle persone, decide che forse sono meglio una bottiglia di vodka e un salame da mangiare e una bella donna con cui scherzare. Inutile chiedersi cosa c’è di vero in questa allegra follia in cui la cosa più seria è lo jurodstvo (lo Stolto in Dio, come San Paolo Apostolo scriveva ai Corinzi), una delle figure più interessanti del film. Il regista ha spiegato che il suo vestito lo ha tratto da uno personale simile in Giamaica, ma al di là dello strano suo abito, nel film è una delle chiavi della fede. Una religiosità che, nonostante tutto, permea l’intero detto del regista. Applausi tutti meritati dopo tante risate.


‘Theater Camp’

Il paradiso degli attori

Non succede lo stesso con il film passato in Piazza ‘Theater Camp’ di Molly Gordon, Nick Lieberman. Presentato al Sundance di quest’anno con successo di pubblico e niente premi, il film ha al suo attivo, negli Usa, il peggior risultato al botteghino nella prima settimana di proiezione. Paga infatti il primo equivoco di fondo: è un film con i bambini e le bambine protagoniste, ma non è un film adatto a bambine e bambini, perché a parte il finale che tenta di riscattare il tutto, è nel complesso di una noia mortale. In fondo è un film che invecchia in fretta, giocando come fa con una stessa battuta ripetuta all'infinito. Di sicuro il formato, con riprese a mano e montaggio disordinato, nasconde una sceneggiatura esile e un budget ridotto. Cose, queste, che il film paga evidentemente.

In breve. Con l'arrivo dell'estate, i ragazzi si radunano da ogni dove per frequentare l'AdirondActs, un campeggio teatrale a nord di New York che è un rifugio per gli artisti in erba. Dopo che la sua indomita fondatrice Joan cade in coma, il suo sprovveduto figlio "cripto-fratello" Troy viene incaricato di mandare avanti il paradiso degli attori. Con la rovina finanziaria che incombe, Troy deve unire le forze con Amos, Rebecca-Diane e il loro gruppo di eccentrici insegnanti e studenti per trovare una soluzione prima che si alzi il sipario sulla prima. Questo l’assunto. Il problema è lavorare con bambini, senza rispettarli, senza una sceneggiatura che serva loro da guida, lasciandoli “liberi” di inventarsi. Ed ecco: un aspirante agente in miniatura che lavora al telefono, incitando i suoi compagni di classe; un altro ragazzo lotta per dichiararsi - come etero - ai suoi due padri! E tutto deve servire a far ridere a divertire, ecco cosa vogliono gli autori adulti, e girano e girano scene tanto i bambini non si pagano e girare in video costa meno, e dopo in montaggio ore e ore si tagliano per raggiungere un minutaggio da film, e pensi a tutto quell’amore messo dai bambini gratis e finito nella spazzatura. E non si può dire è il Cinema. Nella testa ci torna un vecchio musical, ‘Matilda’, e quello che si può fare con i bambini: rispettandoli, pagandoli, dando loro una storia e una sceneggiatura, non è troppo.