LUGANO

Cinema: diritti dell'uomo e doveri della politica

Dal 19 al 29 ottobre la decima edizione della rassegna: un festival diffuso per favorire il confronto oltre le sale cinematografiche

Il direttore Antonio Prata (a sinistra) e il presidente Roberto Pomari
(laboratorio parole)
10 ottobre 2023
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Solennemente enunciati e subito lasciati a prendere polvere, riesumati saltuariamente a beneficio dei fotografi e di quegli impiccioni dei giornalisti, riverniciati quando l'opinione pubblica emerge dall'abituale torpore, oggi i diritti umani segnano il passo, disattesi e spernacchiati persino nel civilissimo mondo occidentale, dove è soprattutto sulle disuguaglianze economiche e sulla precarietà nel mondo del lavoro che casca l'asino. Ma un film che cosa può fare? Lo domandiamo ad Antonio Prata, direttore del Film Festival Diritti Umani di Lugano, che quest'anno festeggia la decima edizione, raddoppiando le giornate di proiezioni e incontri (dal 19 al 29 ottobre): "Un festival a tema, come il nostro, non si limita a invitare il regista perché venga a parlare del suo film, ma offre agli spettatori la possibilità di un confronto attraverso il dialogo. L'arte fa questo: l'arte deve veicolare altre sfumature, altri punti di vista e altri sguardi. È un fattore di estrema importanza: abbiamo perso la capacità di ascolto e l'apertura a opinioni diverse, siamo completamente assuefatti e sottomessi a quelle due o tre cose che ci vengono propinate ogni giorno, prevedibili, sempre uguali, che assimiliamo tutti nella stessa maniera. Il cinema, ma direi tutta l'arte in generale, spinge a guardare in maniera diversa, a considerare altri punti di osservazione, non necessariamente per cambiare idea. È soltanto un inizio, ma può accendere una scintilla". Una convinzione che nasce dalla lunga frequentazione del pubblico cinematografico: "Lo conosco bene, ci lavoro da venticinque anni, e so per certo che è molto difficile trovare due persone che su un film la pensino allo stesso modo. Su qualsiasi altro argomento, tutti finiamo invece per pensarla allo stesso modo. È un'omologazione che non ci fa bene".

La partecipazione dei giovani

Oltre al sostegno dei privati e al volontariato, il Festival conta anche sul partenariato con le istituzioni. Eppure è proprio la politica, in certi casi, a remare contro, riducendo la riflessione sui problemi e sull'estensione dei diritti a slogan a uso televisivo, esemplificazioni da social network, eruttazioni e spacconate che parlano alla pancia dell'elettorato, risparmiandogli la fatica di pensare. Prata non ha dubbi: "La politica non può stare da sola, soprattutto perché rappresenta la collettività: deve avvicinarsi a manifestazioni come questa. Il cinema può fare da ponte e la politica deve saper approfittare di questo ponte. Di sicuro la gente è pronta, e in particolare lo sono i giovani. Le proiezioni scolastiche, affollate e partecipate, lo dimostrano chiaramente: i giovani hanno voglia di esprimersi e di partecipare, e se hanno uno spazio in cui poterlo fare, non si tirano indietro. Bisogna chiedere alla politica di avere un atteggiamento più vicino a questo tipo di linguaggio e di sguardo, che è quello dei giovani. Se la politica annaspa e sembra alla deriva, allora va ringiovanita". Va in questa direzione la scelta di realizzare un festival diffuso, che alle proiezioni nei cinema Corso, Iride e Lux art house affiancherà l'Oltre Festival, una serie di eventi collaterali ospitati da ristoranti, bar e associazioni culturali, come un reading musicale a cura del poeta Fabio Pusterla e del musicista Terry Blue (il figlio Leo) martedì 24 allo Spazio L'Ove. Desta una certa curiosità l'iniziativa del Caffè dei Diritti: ospiti e staff del Festival frequenteranno il Mamitas nei pomeriggi dal 25 al 28 per dialogare con il pubblico. "I film sono impegnativi", spiega Prata, "e spesso anche gli ospiti sono di una certa caratura. Sentendosi in soggezione, non tutti gli spettatori al termine di una proiezione hanno il coraggio di avvicinarsi al regista e di comunicargli le loro impressioni, per cui crediamo in questa formula di bere un caffè con gli artisti o con qualcuno di noi, semplicemente per dire cosa si pensa, esprimersi, raccontarsi. E lo dico a ragion veduta, perché prima di buttarmi in questa esperienza io stesso non avevo sviluppato una sensibilità particolare al tema dei diritti umani".

Cinema come scelta politica

Sono tutti film con qualcosa da dire, che sensibilizzano e fanno riflettere, eppure l'arte non dovrebbe aver bisogno di veicolare alcun messaggio. Risponde Prata: "Per questo abbiamo introdotto la novità del concorso internazionale dei lungometraggi, che propone, in anteprima svizzera, otto film che concorreranno per il Premio della giuria, il Premio del pubblico e il Premio Amnesty International. In questa sezione si guardano e si giudicano i film e basta. Io però credo nell'arte come gesto politico, concetto su cui ha insistito un regista come Ken Loach al Festival di Locarno. Gli artisti, l'arte e il cinema non possono prescindere da una scelta politica. Non viviamo in una campana di vetro, ma siamo immersi tutti, compresi i registi, in questo mondo, e la realtà ci spinge a osservarla, a giudicarla e a esprimere un'opinione. Non credo in un cinema solitario". Tra le proposte più interessanti, ‘If only I could hibernate’, film mongolo che racconta i sogni e la lotta di un adolescente povero della capitale Ulaanbaatar, un genio della fisica che punta sulle sue capacità per ottenere una borsa di studio, ma è costretto a ricorrere a forme illegali di guadagno per prendersi cura dei fratelli più piccoli: "È il primo film realizzato in Mongolia da una donna", spiega Prata "e devo dire che non ci sono state particolare difficoltà diplomatiche con i Paesi da cui provengono film che ne evidenziano i problemi, nonostante spesso si tratti di posti in cui vigono la censura e la persecuzione. Invece dobbiamo rafforzare, non solo per questa manifestazione ma in generale, il rapporto con la nostra classe politica, per ottenere più spazi di espressione. A Lugano si parla tanto di cultura dal basso: per me vuol dire che la politica deve mettersi a disposizione, con vero spirito di servizio verso la collettività che l'ha votata e di cui è espressione, per garantire non solo la diffusione della cultura, ma anche l'incontro e il dialogo, cosa che non è sempre scontata. Serve un atteggiamento di responsabilità che vada oltre le contingenze elettorali e il tornaconto personale. È indispensabile uscire dall'individualismo, che non fa bene a nessuno".