‘L’Étoile Filante’: stupendo malgrado la collocazione temporale forse inopportuna. ‘Dammi’: superficiale, da tappeto rosso per una premiazione sfumata
In Piazza doveva essere l’inaugurazione con il divo ed è stata invece l’inaugurazione con il cinema, grazie soprattutto a un film: ‘L’Étoile Filante’ dei registi Fiona Gordon e Dominique Abel, che non solo lo hanno scritto e diretto, ma anche bellamente interpretato.
Il cielo plumbeo dal pomeriggio non prometteva nulla di buono, e ritornava alla mente l’indimenticabile Presidentissimo Rezzonico che con simili nubi correva a pregare alla Madonna del Sasso. Erano altri tempi, altri Festival, altre storie, e bastava guardare le facce dei fotografi nello stesso pomeriggio di ieri per scoprire la delusione per i grandi nomi promessi e il vuoto che si era aperto per colpa dello sciopero hollywoodiano. Uno sciopero che ha comunque messo in evidenza i pericoli insiti nel gioco di chiamare dive e divi per un premio che, in fondo, getta ampie zone d’ombra su quello che è un Festival come Locarno, un festival che è palcoscenico per scoperte di autrici e autori nuovi, per idee nuove di cinema, che valgono molto di più dei tappeti rossi. Un gioco che è comunque pericoloso perché, se annunci un Excellence Award Davide Campari, cosa ne penseranno quelli della Davide Campari se non viene consegnato?
Ma torniamo ai film, anzi al film della serata, ‘L’Étoile Filante’. In sede di presentazione parlavamo di un umorismo alla Jacques Tati, ma ben più forte è l’influenza del cinema di Aki Kaursmaki, soprattutto per la messa in scena e per diverse idee di regia; c’è comunque da apprezzare l’originalità di un film che celebra la cura della recitazione e una invidiabile, nella completa finzione, piena aderenza alla realtà. Non sappiamo quanto casuale sia la presentazione di questo film il 2 di agosto, data in cui la vicina Italia ricorda il più grave attentato della sua Storia del secondo dopoguerra, quello nazifascista alla stazione di Bologna.
In questo film, il protagonista, Boris, è un attentatore comunista che si nasconde da oltre trent’anni, facendo il barista in uno squallido bar, L’Étoile Filante del titolo, dove vive protetto da Kayoko, una compagna di lotta, e da un fedele amico, anch’egli reduce dalla lotta armata, un energumeno chiamato Tim. La loro precaria tranquillità viene rotta dalla comparsa di Georges, ferito nell’attacco terroristico nel 1986 compiuto da Boris. Georges irrompe nel bar armato e deciso a vendicarsi. Ma dicevamo dell’umorismo: Georges tiene la pistola con il braccio meccanico che ha sostituito il suo arto dopo l’attentato; il problema è che il braccio si incanta e si stacca, cadendo malamente a terra nel locale. Il trio, si organizza per cercare di salvare la vita di Boris, e il caso li aiuta: scoprono Dom, un uomo depresso, solitario, che è il perfetto sosia di Boris, e loro non lo sanno ma è l’ex marito di Fiona, una investigatrice privata. I tre cercano di trasformare Dom in Boris, per far sì che Georges elimini, insieme alla persona sbagliata, il passato di Boris. Ma le cose non sono così semplici. La solitaria vita, le sofferenze e il divorzio di Dom sono dovuti alla morte della loro bambina, e il loro dolore è inconsolabile.
La commedia è stupenda e l’amarezza si fonde in mille rivoli che comprendono, insieme al mistero, anche l’allegria. Se dire bravi a tutti gli attori, anche i comprimari, è poco, un cenno particolare va alla superba recita di Kaori Ito nella parte di Kayoko. La grande danzatrice e coreografa giapponese attiva in Francia, qui crea una completa coreografia, dove nulla sfugge al suo creare, con momenti di assoluta classe in cui il silenzio diventa assordante con i suoi gesti. Ecco, quello che sorprende nel film oltre alla pulizia del dire è la qualità dell’insieme, che ne fanno un film superiore, e per certi versi anche capace di leggere le dolorose realtà con un tocco che Lubitsch avrebbe approvato.
LFF
Riz Ahmed in ‘Dammi’
Il prologo a questo film era l’atteso cortometraggio ‘Dammi’ del regista Yann Mounir Demange, con interprete Riz Ahmed. Si tratta di sedici minuti di tanti trailer ben girati, e ci mancherebbe; anche la fotografia è di buon livello, ma la forma sperimentale e uno stile a metà tra il documentario e il film astratto – per presentare i volti parigini incontrati da Yann Mounir Demange nella vita reale e i personaggi importanti nella vita del creatore – non riescono a convincere; tutto resta superficiale e falso, anche l’interpretazione di Riz Ahmed. Meglio la compagna della storia d’amore del protagonista, l’attrice ed ex-ginnasta svizzera Souheila Yacoub, veramente intensa e da applausi, unico fiore del film, perché di poco conto sono le altre figure. A cominciare da un cameo di Isabelle Adjani. Peccato, ci sono miriadi di cortometraggi migliori, ma questo doveva servire solo da tappeto rosso per una premiazione che non c’è stata.