In Piazza Grande l’ultimo lavoro del maestro del cinema Gleb Panfilov, tratto da un romanzo di Solženicyn
Bisogna fare attenzione al titolo: ‘Sto minut iz zhizni Ivana Denisovicha’, ‘Cento minuti della vita di Ivan Denisovič’ (ma il titolo internazionale è solo “100 Minutes”), il film che Gleb Panfilov ha scritto e diretto non traducendo in immagini lo storico romanzo breve ‘Una giornata di Ivan Denisovič’ di Aleksandr Solženicyn che nell’Unione Sovietica del 1962 Nikita Chruščëv usò per seppellire il mito staliniano, ma provando a renderlo più comprensibile al pubblico di oggi, probabilmente meno impegnato a comprendere il detto di Solženicyn. Spiega il regista: “Il film, tratto dal romanzo di Solženicyn, è il vivace ritratto di un uomo che sopravvive a circostanze estreme come la guerra, la cattura e durissimi lavori forzati, e al contempo riesce a mantenere la propria umanità nonostante le traversie”. Ecco allora che Panfilov aggiunge alla sua lettura del romanzo alcuni capitoli che risultano fondamentali per rendere la sua opera originale rispetto alla versione letteraria. Nel film vediamo il protagonista Ivan Denisovich (un bravissimo e magistrale Philipp Yankovsky) alla guida di un camion che traina un cannone prima ad una sfilata a Mosca poi sul campo di battaglia innevato, dove riesce a distruggere un buon numero di carri armati nazisti finendo infine catturato. Riesce a guadagnarsi libertà grazie all’apparizione di una bambina che lo conduce salvo attraverso un campo minato ma il nostro eroe si trova a confrontarsi con la giustizia staliniana che considerava un crimine la cattura e di più il salvarsi e tornare. Per lui è quindi pronta la via del gulag. Questa premessa non c’era nel romanzo che non prevedeva neppure che lui avesse a casa ad aspettarlo due figlie, di cui una incinta. Con queste aggiunte e un paio di salvifici miracoli, proprio il carattere e le aspettative di Ivan cambiano. Ci siamo chiesti se valeva la pena spiegare il romanzo; di sicuro Panfov lo ha reso più leggibile e comprensibile e il suo Ivan Denisovič è più moderno nel suo essere stretto in un campo di lavoro. Inutile dire che il nostro è un vero maestro del cinema, ed è bello ricordare che la sua carriera cominciò proprio qui al Festival di Locarno del 1969 dove vinse il Pardo d’Oro con ‘V ogne broda net? (Non c'è guado nel fuoco), in quella che fu una strana edizione con ben quattro Pardi d’oro – con lui c’erano infatti ‘Szemüvegesek? di Sándor Simó, ‘Tres Tristes Tigres’ di Raoul Ruiz e unico ad avere l’unanimità della giuria ‘Charles mort ou vif’ di Alain Tanner – e Panfilov fu l’unico a non poter venire a Locarno a ritirare il premio che ora è esposto all'interno del Museo Lenfilm. In quell’occasione successe anche, fatto originale e mai ripetuto, che la giuria con i propri soldi comprò a Inna Churikova, la protagonista del film e moglie del regista, un ciondolo d’oro con cammeo. Storie d'altri tempi.
Una cosa importante ancora a proposito del rapporto tra il film e il libro, il cui titolo originale, ‘Sč-854’ (numero di matricola nel Gulag del protagonista) che nel film diventa quasi un’ossessione, venne sostituito prima della pubblicazione perché i censori sovietici ne avevano capito la potenza. Si può dimenticare Solženicyn? A sessant’anni dalla pubblicazione di questo romanzo che sconvolse l’Unione Sovietica, Panfilov con il suo film ci urla di non dimenticare, il suo Ivan vive ancora oggi in troppi gulag di questo mondo, forse non è uno che si ribella, ma è uno che non smette di sognare, e questo è già un gran passo in un mondo che non vede futuro.