Il film d’animazione di Alessandro Rak racconta una storia ricca di spunti
La Piazza ritorna a riempire il suo schermo di disegni animati: dopo ‘Belle’ di Mamoru Hosoda, ecco ‘Yaya e Lennie - The Walking Liberty’ di Alessandro Rak, che oltre ad aver scritto la sceneggiatura, ha firmato la fotografia e ha contribuito alle musiche del film insieme a Dario Sansone e Enzo Foniciello, Il regista presenta il film con queste parole: “Lo spunto è nato dal desiderio di investigare i concetti di libertà, regola e convivenza tra gli individui, giocando con il mito del buon selvaggio in uno scenario paradossale, post apocalittico”. Così ci porta “in un futuro non molto lontano” in cui Napoli a causa di una serie di catastrofi ecologiche si è trasformata in una foresta tropicale impenetrabile dove incontriamo una strana coppia composta dalla vivace sedicenne Yaya e un giovane energumeno di poca intelligenza, Lennie. I due sono legati dall'affetto che portano verso una vecchia zia che li amava entrambi. Nel loro vagare verso il Paese della Musica, la loro Isola che non c'è, si trovano ad affrontare pattuglie dell’Istituzione, un mondo rinato dopo la catastrofe, una specie di Metropolis dove sono costretti a schiavitù gli adulti che cercano di combatterla e dove vengono portati i bambini spersi nella foresta per essere istruiti e inquadrati nel sistema. I due amici cercano di sfuggire alla cattura, ma una notte per una sua sciocchezza Lennie viene attaccato da cani selvatici e ferito molto gravemente, al punto che l’unica soluzione è farlo diventare prigioniero dell’Istituzione dove è possibile curarlo. Rimasta sola, Yaya viene salvata da dei bruti da un giovane cresciuto nell’Istituzione che aveva conosciuto in precedenza perché figlio di una famiglia che non si è arresa alle lusinghe dell’organizzazione. Tra i due scoppia un fugace amore in cui lei si concede a lui, che vile chiama l’Istituzione a prenderla perché vuole che capisca il senso di essere indottrinati e sicuri, ma… un amico quando c’è bisogno c’è!
Ben raccontato e colorato, il film ha dialoghi inadatti per colorata volgarità a un pubblico più giovane, presenta però spunti di interesse, non solo ecologici, ma anche legati ai personaggi: lei è una adolescente come tante, vogliosa di vita e amore, il ragazzo dell’Istituzione mostra in pieno il peso di un’educazione e di un ambiente sbagliato. Per sottolineare il suo detto, il regista usa ampi stralci del discorso finale di Chaplin da “Il grande dittatore”, e a chi non serve oggi quella lezione? “Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, neri o bianchi. Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti, la natura è ricca ed è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell'oca, verso l'infelicità e lo spargimento di sangue”. Ecco basterebbe questo e la voglia di capirlo, un grazie a Alessandro Rak per avercelo ricordato.