Foo Fighters, ‘Medicine At Midnight’ - ★★★★✩ - Pop-rock antipandemico atteso un anno intero (senza effetti collaterali)
Se non ci fossero le stelline ma l’acronimo, l’acronimo sarebbe ‘Omg’ (Oh my God). A parole, sarebbe ‘Porca l’oca’. L’ex picchiatore di pelli dei Nirvana Dave Grohl e soci erano pronti a festeggiare i 25 anni da Foo Fighters, intesi come formazione ma anche (con virgolette) album d’esordio della band nato prima ancora che una band esistesse. Ma l’imprevisto che da un anno ci relega in poltrona con le cuffie anziché sotto il palco a scambiarci fluidi corporei ha spostato l’uscita di un disco bell’e pronto.
È vero. Se l’album iniziasse con la title-track (che dentro ospita pure Omar Hakim), a produrre il disco potrebbe pure essere Nile Rodgers, visto che Grohl si approccia spesso in modalità e tonalità Duca Bianco. Ma sebbene ‘Let’s Dance’ di Bowie sia lo spirito che dichiaratamente aleggia, ‘Medicine At Midnight’ canzone è solo la traccia cinque ed è solo un tassello di tutto quanto prodotto da Greg Kurstin, già con la band in ‘Concrete and Gold’ (2017), re del pop da cinque Grammy tra una cosa e l’altra di ‘25’ di Adele, altri due per Beck, un Country Music Award per Maren Morris, tre Ivor Novello Awards per Lily Allen. E poi Pink e soprattutto Sir Paul nel gioiello ‘Egypt Station’, che ‘McCartney III’ fa tanto rimpiangere. Non a caso, su ‘Medicine At Midnight’, è proprio di McCartney che trasuda ‘Chasing Birds’, traccia otto che plana verso fine album libera come un uccello (‘Free As A Bird’, gli ultimi Beatles prodotti da Jeff Lynne).
Quando, alla fine di tutto, arriva ‘Love Dies Young’ (una canna), la reazione in cuffia è la stessa di Grohl che ascolta il disco finito: “Ma siamo davvero noi?”.
Violet Grohl ha 14 anni, papà Dave la porta con sé sul palco a cantare ‘When We Were Young’ di Adele, ‘My Hero’ del babbo e altre cose alla reunion dei Nirvana. Violet è “quella che in famiglia canta meglio di tutti”, e sono suoi i “na na na” di ‘Making A Fire’, traccia uno che fa da garanzia a quel che su ‘Medicine At Midnight’ accade in seguito. E poi c’è la piccola Harper Grohl, che a papà Dave, in un giorno d’inverno del 2019, in piena escalation di tensione tra U.S.A. e Corea del Nord, chiede: “Babbo, ci sarà una guerra?”. E papà Dave si rende conto che la bimba vive la stessa sua infanzia di Cold war child, bimbo della Guerra fredda con tutti gli esistenziali ed emotivi annessi e connessi. “Ogni giorno ci si aspetta che il cielo ci cada addosso”, racconta il frontman alla stampa, “e invece c’è molto più da fare che metterci qui ad aspettare che esploda un conflitto”.
È così che la piccola Harper riceve in dono una canzone: retta da un’acustica pacifista, pacificamente british nell’armonia, aperta da un ricordo d’infanzia non meno pacifista – “Non ho mai voluto essere il numero uno, volevo solo amare tutti”, dice Grohl – ‘Waiting On A War’ è un inno nella migliore accezione degli inni sui fiori da mettere nei cannoni, destinato a rappresentare questo disco per il tempo, meglio se pacifico, a venire. Il tutto con coda alla ‘Give Peace A Chance’ che, al posto del regolare peace&love lennoniano, porta con sé un’accelerata prettamente grohliana (Yoko approverebbe?).
‘Medicine At Midnight Radio’ è il titolo della serie radiofonica in cui ogni membro dei Foo Fighters – per sei puntate a partire da domani su Apple Music Hits e sul canale Sirius XM della band – racconterà il processo creativo di un album che per qualcuno in Inghilterra è “musica per le pause toilette ai loro concerti” (The Guardian), mentre dall’altra parte del globo è “uno dei loro migliori lavori di questo secolo” (Wall Street Journal).
Tra rock anni 70 e new wave, spinto da un primo singolo sufficientemente atipico (‘Shame Shame’), tra intro AC/DC (‘Holding Poison’), casse in quattro che diventano punk (‘No Son Of Mine’) e il danzereccio bello di tutti quei gruppi che “quando eravamo giovani ci facevano ballare” (dice il frontman), il decimo album ci consegna sei Foo Fighters più sorridenti del solito. E comunque: vogliamo contestare Dave Grohl, uno capace di arrivare alla fine di una cover di ‘Let There Be Rock’ senza crepare d’infarto e senza fare troppo rimpiangere Bon Scott? Viva dunque il generale ottimismo cosmico in ‘Medicine At Midnight’. Sarà Seattle che diventa New York, sarà il battere a tempo del piede che chiama l’evasione. Certo, non è il vaccino, ma è un buon farmaco.