Un secolo di libreria e 75 anni di edizioni, un volumetto autobiografico e i ‘Tascabili’ per festeggiare. Parla Fabio Casagrande, ricordando Libero
Ai lati “Libreria, cartoleria, legatoria, cartonaggi” e al centro “M. Casagrande”, dove M sta per Marino. È il 1924 quando in via Codeborgo (al tempo via Porta Ticinese), Marino Casagrande – lo dice l’insegna – apre una libreria-cartoleria con annesso spazio rilegatura libri e fabbricazione cornici. Non è proprio una novità: già tre anni prima, nel laboratorio di falegnameria del padre Giuseppe in via Nocca, Marino aveva fondato una legatoria di libri. Il negozio ne è la prosecuzione. Con l’arrivo di Gianni e Pierino, l’azienda diventa Fratelli Casagrande e la Libreria Casagrande è oggi la più antica del Canton Ticino.
Sfogliamo le prime pagine di ‘Cent’anni di libri e libertà’, sorta di autobiografia (con fotografie) di Casagrande, della libreria che compie cent’anni e delle omonime Edizioni – fondate da Libero Casagrande – che di anni ne compiono settantacinque. Il volumetto è una delle iniziative nate per celebrare la doppia ricorrenza, illustrate in Galleria Benedettini, nella Sala della libreria, dal direttore di entrambe le realtà Fabio Casagrande insieme ai redattori Matteo Terzaghi e Sara Groisman e ai librai Sandra Soldini Pagliarani (Libreria) e Luca Pascoletti del LacShop (“Lo avete chiamato bookshop, ma è una libreria!”, parole sue).
Il centenario porta con sé anche una nuova collana, i ‘Tascabili’, una manciata dei titoli più amati, in formato e prezzo ridotti. Si comincia da ‘La disdetta’ di Anna Felder (scomparsa nel novembre dello scorso anno, e in conferenza stampa Groisman ne rimarca la grandezza) e da ‘Il fondo del sacco’, il ‘classico’, curato da Matteo Ferrari e Mattia Pini. Al di là delle pubblicazioni, la festa inizia sabato 14 settembre alle 21 nella Bellinzona di Babel, Festival di letteratura e traduzione da sempre vicino alle Edizioni Casagrande, nella Tenda Babel all’esterno del Teatro Sociale, introdotta dallo storico della cultura Alberto Saibene, cui seguiranno letture degli scrittori Claudia Quadri e Fabio Pusterla, della traduttrice Maurizia Balmelli e di Michael Fehr, con estratti da ‘Hotel Bella Speranza’, libro in uscita per Casagrande lo stesso giorno. Sabato 30 novembre alle 17, dal contenuto ancora segreto, un secondo incontro in libreria. Chiudono la celebrazione la ‘Piccola Libreria Casagrande’ sugli scaffali della Posta e la borsa celebrativa.
Archivio Casagrande
Dove tutto è cominciato
Fabio Casagrande, questa non è una ricorrenza qualunque: una cosa è un decennale, un’altra è un secolo intero…
Il pensiero va a chi c’è stato prima di noi, i miei nonni, mio padre, al quale abbiamo dedicato il libro. C’è anche una soddisfazione personale per quel che è successo nel 2010, quando abbiamo avuto difficoltà aziendali e siamo riusciti a uscirne e a rinnovare la libreria di Bellinzona e quella di Lugano, insieme alla famiglia Salvioni, e la casa editrice, che ha saputo superare questo periodo e rinnovarsi completamente.
C’è chi giura di avere acquistato libri Casagrande perché attratto dalla grafica, per la riconoscibilità che è di Adelphi, Einaudi. Insomma, anche la forma conta…
La parte grafica si deve anche alla capacità di Marco Zürcher di CCRZ, con il quale lavoriamo dall’anno Duemila. Fino al Duemila non avevamo il logo, lo abbiamo creato insieme a lui, omaggiando Virgilio Gilardoni del quale in casa editrice conserviamo un progetto incompiuto, una ricerca sull’arte popolare (a pag. 85 è raccontata l’intera e anche spassosa storia, dai risvolti noir, ndr). Il logo piace moltissimo, anche in Italia, la grafica è molto particolare, provoca una certa attenzione, dopo qualche problema iniziale avuto con i lettori. La grafica è importante e qualificante per una casa editrice, quando ci presentiamo in Italia suscita l’interesse di chi si avvicina al nostro stand. Io credo si deva anche alla tradizione della grafica svizzera. Zürcher è allievo di Bruno Monguzzi, del quale abbiamo pubblicato ‘La mosca e la ragnatela’. Monguzzi è il maestro di un’intera generazione di grafici come Consuelo Garbani, che lavora internamente da noi, che di Monguzzi è allieva.
A pagina 129, alla data dell’11 febbraio 2023, c’è la foto di suo padre…
Avrei preferito che fosse lui a portare l’azienda a questo anniversario. Credo che ci abbia lasciato un senso di libertà, quella del lavorare in autonomia e bene, cercando di fare sempre il meglio. Curava personalmente alcuni libri, poteva passare anche mezze giornate su di un frontespizio, a curare la spaziatura tra le lettere, la capacità e il gusto grafico vengono anche da lui. La grafica è stata mediata tra Zürcher e mio padre, così da ottenere un equilibrio tra la grafica editoriale, che deve avvicinare i lettori, e quella pura, risparmiando la troppa creatività a un pubblico allargato, che è quello che noi cerchiamo in libreria.
“Ho sempre pilotato un po’ di testa mia tutte le operazione dell’azienda. Anche quando arrivavano per esempio le piegatrici in tipografica, le studiavo ed ero poi in grado di rendermi utile quando gli operai avevano dei problemi. Quello di aiutare tecnicamente era un principio ma anche un’abitudine, una partecipazione personale. In fondo era il mio modo di vivere”. Sono parole di Libero.
Mio padre è sempre stato un’autodidatta. Ha montato da solo la tipografia nel retrobottega della cartolibreria e da lì ha cominciato i primi lavori. Non ha mai frequentato una scuola di tipografo o di meccanica, per la tecnica e la meccanica aveva una gran passione, la stessa avuta poi per l’informatica, con il suo avvento negli anni Ottanta. Eravamo agli inizi, serviva capire questo linguaggio e lui si è calato per mesi su manuali. È vero, conosceva ogni aspetto, ogni passaggio di questo lavoro. La questione della piegatrice viene dalla prima fase, quella meccanica; con l’avvento dell’informatica, a parte piccole cose, non era lui a programmare direttamente, avevamo i programmatori, ma papà sapeva comunicare con loro.
Gli anni Ottanta sono stati fondamentali, il legame tra tipografia, casa editrice e informatica ha portato anche ad alcune pubblicazioni molto importanti come le grandi bibliografie del Settecento e dell’Ottocento, realizzate con programmi sviluppati da noi e forniti agli autori, che immettevano i dati. Ora il mondo è cambiato e siamo cambiati anche noi, ma sempre con in testa l’idea di fare buoni libri, cartacei e digitali, con uno sguardo al futuro e sempre credendo nel libro ‘fisico’: abbiamo conferme dai giovani che frequentano nuovamente le librerie, o le fiere, è innegabile che ci sia un ritorno al libro.
La sfida potrebbe tornare a essere quella di convincere la gente a leggere, al di là della sfida cartaceo-digitale…
Sì può leggere su un dispositivo elettronico o sul cartaceo. Io resto convinto che il cartaceo conceda più calma, concentrazione, possibilità di apprezzare i contenuti del testo. Ci crediamo, e la tendenza è in atto, di libri cartacei se ne vendono sempre di più.
Leggo, infine, dalla prefazione: “Da alcuni anni è entrata a far parte del nostro piccolo team Sara Groisman. Per introdurla all’ambiente, Matteo e io (...) di tanto in tanto le raccontavamo qualche aneddoto editoriale”. Possiamo averne uno anche noi, di aneddoto editoriale?
Ne posso raccontare uno che riguarda la libreria. L’80% dei libri viene dall’Italia e la dogana è stata sempre un problema. Non essendoci distributori locali, ci si rifornisce a Milano e mio nonno, di Milano, conosceva le strade a memoria perché visitava decine di punti vendita o di editori. Al tempo non c’era ancora l’autostrada, si pernottava a Milano per raccogliere quanto possibile e ‘servire’ la popolazione. I libri erano tanti, a volte un furgone non bastava. Alla fine si trovò un modo per riunirli all’Ortomercato di Milano, dove arrivava la verdura da tutta Italia e da lì veniva distribuita nei negozi. Un noto importatore locale trasportava, sotto cassette di insalata e frutta, quintali di libri che venivano poi venduti in libreria.
Trasportati ‘alla luce del sole’…?
Esattamente non saprei, questo è un aneddoto…
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