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‘Rosy’ nella piccola biblioteca del crimine

È il secondo romanzo di Alessandra Carati, finalista al Premio Strega 2022, nuovo capitolo di un genere letterario nato dalla cronaca giudiziaria

Libro nato dai colloqui intercorsi con Rosa Bazzi (in foto) nel carcere di Bollate
(Keystone)
27 marzo 2024
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Nel 1956 Meyer Levin con il suo ‘Compulsion’ sanciva un nuovo genere letterario, trasformando il racconto dell’omicidio di un bambino in una travolgente cronaca giudiziaria. I due ricchi imputati diciottenni, Nathan Leopold e Richard Loeb, dichiararono di averlo fatto per compiere il delitto perfetto. Il processo, svoltosi nella Chicago degli anni ’20, fu un evento clamoroso in cui giudici, avvocati di accusa e difesa e imputati diedero prova di incredibili abilità retoriche. Nel 1965 Truman Capote pubblicava ‘A sangue freddo’, reportage incentrato sul quadruplice omicidio di una famiglia in Kansas. Il suo romanzo ottenne subito un successo spaventoso, eclissando quello del suo predecessore. Nel 2000 Emmanuel Carrère pubblicava ‘L’avversario’, romanzo capolavoro frutto della sua corrispondenza con Jean Claude Romand, l’uomo che uccise moglie, figli e genitori quando la grande menzogna attorno a cui aveva impostato la propria esistenza stava per essere scoperta.

In questa piccola biblioteca del crimine andrebbe inscritto anche il caso di Pierre Rivière, l’idiota del villaggio che nel 1835 trucidò madre, sorella e fratellino per salvare il padre dalle angherie della moglie. Dichiarò le sue ragioni in una lunga e sgrammaticata confessione, ripresa negli anni ’70 dal filosofo Michel Foucault e dai suoi studenti per redigere una più ampia analisi sul rapporto tra individuo e istituzioni.

‘Rosy’, il secondo romanzo della finalista al Premio Strega 2022 Alessandra Carati, è senza dubbio figlio e nipote degli autori sopracitati. Ma con una grossa, sostanziale differenza: contrariamente a ciò che avviene nelle cronache dei suoi illustri predecessori, qui la scrittrice mette in dubbio il corretto svolgimento del processo, ripercorrendo con precisione una vicenda sanguinosa, che in Italia fece molto scalpore per la sua efferatezza.

Il libro nasce dai colloqui intercorsi nel carcere di Bollate dal 2019 al 2020 con Rosa Bazzi, condannata all’ergastolo insieme al marito Olindo Romano per la strage di Erba, in cui furono barbaramente assassinati Raffaella Castagna con il suo bambino, la madre di lei e due vicini di casa accorsi in soccorso. I due coniugi, dopo un lungo e serrato interrogatorio, confessarono gli omicidi, incoraggiati dalla prospettiva di un sostanzioso sconto di pena in caso di collaborazione con le indagini e intimiditi dal sicuro ergastolo prospettatogli.

Carati non si limita a parlare con Rosa. Riprende in mano le carte del processo, accede a registrazioni, testimonianze, intercettazioni interpellando gli avvocati e parlando con chi quel caso l’ha vissuto da vicino. Ciò che emerge è un quadro inquietante: prove sostanziali pare che non ce ne siano. I documenti che metterebbero in dubbio la colpevolezza degli imputati non vengono ammessi al processo. Resta la confessione dei due che, nella versione originale qui riportata attraverso la parziale trascrizione degli audio, risulta contraddittoria e piena di errori. Con gli stessi strumenti usati da Levin, Capote e Carrère la scrittrice fa una cronaca giudiziaria precisa, riuscendo a restituire, nella scansione dei fatti accaduti ormai 17 anni fa, il ritratto di una coppia simbiotica, isolata, che ha trovato nella vita insieme il modo per compensare i propri deficit.

L’ultima parte del libro, meno incisiva e forse in parte superflua, è dedicata a lei, Rosa/Rosy, che inchioda Alessandra Carati al racconto della sua storia con una stretta di mano valida come contratto, perché lei “non sa leggere né scrivere”. Ciò che è davvero interessante nell’operazione non è tanto la voce di questa donna, quanto la vicenda di cui è diventata protagonista. La sua è una vita come tante a cui si aggiungono una sofferenza psichica e una difficoltà intellettiva che trasformano le conversazioni in un flusso disomogeneo e spesso confuso. Carati si mette comunque al suo servizio, la ascolta senza ricavare granché ai fini della sua inchiesta ma riuscendo comunque a estrarne un profilo, vivendo sulla propria pelle una vicenda che tocca corde profonde, apre a molteplici riflessioni sui meccanismi psicologici e sociali in cui siamo immersi.

La questione è delicatissima. L’istanza di revisione del processo è stata ammessa poche settimane prima che uscisse il libro, per valutare se “davvero c’è stata una combinazione di circostanze sfavorevoli che ha portato due innocenti in carcere”, come afferma la difesa. Rosy non è solo un’appassionante cronaca giudiziaria, è un romanzo che sembra suggerire un’altra verità rispetto a quella dichiarata dalla giustizia italiana: due persone sprovviste di risorse e mezzi diventano, per una serie di errori grossolani, facile capro espiatorio, colpevoli fino a prova contraria. E tutto questo non si può leggere con la scioltezza con cui si affrontano le “rassicuranti colpevolezze” raccontate da Truman Capote o da Meyer Levin.

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