laR+ Fuoriserie

Baby Reindeer, quando il cattivo è un malato di mente

Inaspettato successo grazie al passaparola degli spettatori, questa serie segna il passaggio dal true-crime a un genere ibrido basato sulla psichiatria

‘Baby Reindeer’ di e con Richard Gadd (Donny)
(Netflix)
27 aprile 2024
|

‘Baby Reindeer’ è una serie britannica in cui un barista di nome Donny diventa oggetto dell’ossessione di Martha, una squilibrata mitomane quarantenne che frequenta il suo pub e che prende troppo sul serio la sua gentilezza. Quando si incontrano per la prima volta, Martha sta piangendo ed è seduta al bancone anche se non può permettersi di ordinare niente. Anziché notare la stranezza della situazione, Donny le offre un tè. E da quel giorno, ogni giorno, le offre una Coca Cola con molto ghiaccio. Martha prende troppo sul serio tutto, a dire il vero: è incapace di cogliere il senso dell’umorismo nelle battute che fa Donny, più che altro per stare al gioco con i colleghi che iniziano a trattarli come una coppia. Donny è un aspirante stand-up comedian tra i venti e i trent’anni, è scozzese e vive a Londra, a casa della madre della sua ex ragazza. Il suo sketch peggiore è quello in cui dice di essere diventato vegano e per questo deve compiere dei sacrifici, tipo indossare un cappello con sopra incollato un peluche di visone anziché – questa è la battuta che non sembra arrivare al pubblico – un cappello di visone vero e proprio. Preso dalla sua sfiga, non vede nessun pericolo in Martha anche perché nella società in cui siamo sarebbe ridicolo, “poco uomo”, sentirsi minacciato da una zitella sovrappeso, no?

Forse questo sarebbe anche il punto di vista dello spettatore di Netflix, se non fosse che ‘Baby Reindeer’ comincia con Donny che si rivolge a un commissariato di polizia. Con questo espediente narrativo tutto di Martha ci appare minaccioso e non possiamo fare a meno di chiederci, praticamente ogni volta che Donny apre bocca o prende una decisione, perché sia talmente stupido da non capire in cosa si sta cacciando. Così facendo, però, siamo noi a cadere nella trappola di ‘Baby Reindeer’, una serie che parla sì di una stalker ma anche della complicità della sua vittima. Donny, appunto, un personaggio interpretato e scritto da Richard Gadd, che si è ispirato a una storia personale.

Verso un nuovo genere

‘Baby Reindeer’ – il cucciolo di renna del titolo è uno dei modi strani con cui Martha chiama Donny – è tratta dallo spettacolo stand-up che Gadd ha messo in scena. Nelle scorse settimane ha scalato velocemente le classifiche di Netflix tramite il passaparola, consigliata su Facebook dai boomer e su TikTok da giovani aspiranti psicologi che si sono affrettati ad appiccicare, diciamo così, etichette diagnostiche a entrambi i personaggi (le diagnosi vere e proprie le lasciamo al rapporto paziente-dottore). Non è nuovo vedere personaggi con qualche malattia mentale più o meno seria, come protagonisti di film o serie tv: Tony Soprano, in fin dei conti, era in cura per una forte depressione; Carrie Mathison, la protagonista di ‘Homeland’, era bipolare (Claire Danes, che la interpretava, ha recitato una donna in grande difficoltà anche in ‘Fleishman a pezzi’). Restando sulle donne viene in mente Gena Rowlands, fantastica per come mette in scena la disperazione di una casalinga degli anni 70 nel film di John Cassavetes ‘A Woman Under The Influence’; ma anche ‘Perfect Blue’, distribuito proprio in questi giorni nelle sale italiane, un film d’animazione giapponese del 1997 in cui una cantante e attrice vittima di stalking inizia a confondere la realtà con le sue allucinazioni.

Se la salute mentale è ormai un tema di moda, serie tv come ‘Baby Reindeer’ sembrano annunciare un passaggio di testimone dal true crime a un genere ibrido in cui i nuovi serial killer sono malati psichiatrici e le loro armi le stesse malattie (si potrebbe obiettare che anche i serial killer sono malati psichiatrici, ma qui parliamo di un tipo di violenza diverso, meno visibile e che non sfocia per forza di cose nell’omicidio). Dopo tutto, nella nostra quotidianità i disturbi mentali sono molto più presenti dei crimini violenti, nei nostri racconti privati gli uffici pullulano di capi manipolatori, ogni chat tra mamme ha la sua maniaca del controllo, e quelle tra colleghi che vogliono giocare a calcetto sono piene di molestatori. In casi come ‘Baby Reindeer’, poi, i tasti che sembra toccare negli spettatori sono esattamente gli stessi delle serie sui delitti cruenti: anche qui la curiosità di sapere chi fosse Martha nella vera vita ha spinto molti a un’inquietante ricerca nella vita di Gadd, studiando vecchi video e le sue pagine social, spingendolo a smentire alcune conclusioni a cui degli utenti erano giunti e a mettere in chiaro che alcuni dettagli della serie, trattandosi di un prodotto letterario, erano inventati. Il parallelo tra la stalker della serie e il pubblico contemporaneo come una specie di stalker collettivo non potrebbe essere più esplicito.

Vittime, complici e psichiatri della domenica

Il tema che ‘Baby Reindeer’ affronta sottotraccia, però – quello riguardo la complicità della vittima che (a volte, non sempre) è parte di queste storie – è più sottile e coraggioso di quelli solitamente affrontati da altri prodotti di consumo culturali. Anziché fare del suo alter ego, Donny, una semplice vittima, Richard Gadd sembra porsi la stessa nostra domanda: da dove viene la sua complicità? La risposta, come tutte le risposte sincere, che richiedono anni di ricerca per arrivarne a capo, è per forza di cose più complessa e toccante di quello che siamo pronti ad accettare. Forse per questo il successo di ‘Baby Reindeer’ ha portato alle ricerche su chi sia chi, su cosa fosse vero e cosa inventato. Perché è più facile trasformarsi in detective, o in psichiatri della domenica, che fermarsi al punto di una serie in cui vittime e carnefici sono l’una lo specchio dell’altro, in cui è difficile (senza un’adeguata cura) districare i fili che ci legano agli altri, ritrovare noi stessi dietro la coltre di traumi in mezzo a cui ci siamo abituati a vivere, mezzi ciechi, ma sicuri di vederci benissimo.