Le autobiografie del principino e del segretario di Ratzinger sfamerebbero il più insaziabile dei voyeur. Le abbiamo lette, ma non ditelo troppo in giro
Ci sono quelli che una volta nella vita vogliono provare un po’ di tutto, dal parapendio all’acido lisergico. Gli abitudinari come me hanno qualche dubbio sul tema – già cambiare bettola ci destabilizza –, ma insomma, con la mezz’età viene pur voglia di fare qualche pazzia. La prendo larga perché un po’ mi vergogno, ma anche perché mi chiedo cosa me l’abbia fatto fare. Vengo al dunque, signora mia: mi sono dato al gossip.
Per anni mi sono vergognato perfino di sbirciare le copertine di Novella 2000 sugli scaffali delle edicole, che al massimo lumavo di sbieco, come le locandine dei cinema a luci rosse. Nell’ultima settimana, invece, ho digerito due tomi capaci di saziare anche il più bulimico, morboso voyeurismo: ‘Spare’, l’autobiografia del principe Harry, e ‘Nient’altro che la verità’, analogo prodotto firmato da padre Georg Gänswein, segretario del defunto Benedetto XVI. La scusa per la coscienza, naturalmente, era quella di scriverci questo articolo: "Non lo fo per piacer mio", "smetto quando voglio" eccetera. Ma la verità è che volevo provare e che mi è pure piaciuto, almeno un po’.
Suppongo che la scarica di endorfine arrivi dal fatto di sogguardare il lato umano delle monarchie, altrimenti così lontane in quei loro mondi bislacchi, fatti di corone e mitre, cacce alla volpe e sigilli in ceralacca. Non saprei dire precisamente perché, ma è divertente scoprire che Ratzinger amava il Leberkäse, che preferiva il marmo alla moquette e non usò mai l’idromassaggio voluto da Paolo VI (anche l’immagine di papa Montini tra le bollicine non è male, peraltro). Così come stupisce sapere che Harry finì schienato sulla ciotola del cane dopo un litigio col fratellone William, che si faceva le canne, che frequenta i medium e che la sua prima volta fu su un prato dietro a un pub, con "una donna più grande" alla quale "piacevano molto i cavalli" ("Una rapida cavalcata, alla fine della quale mi aveva dato una pacca sulla schiena e mi aveva mandato a pascolare". Che classe.)
Il brutto è che i momenti "uh, questa non la sapevo" lasciano poi sempre l’amaro in bocca, perché entrambi i libri sono in realtà concepiti come vendette d’esclusi: quella del principino contro la corte che non lo ha mai tollerato e quella del "prefetto dimezzato" contro papa Francesco, reo di avere esautorato la purpurea zibretta che tanto fece per difendere il suo predecessore. Entrambi cercano di riguadagnare il centro della scena imboccando una scorciatoia fatta di accuse e vittimismo, lavando in pubblico i panni sporchi e finendo per sembrare, in fin dei conti, adolescenti mal cresciuti che sprecano il loro tempo in animose insinuazioni (con una differenza: lo stile del ghostwriter J.R. Moehringer, già autore dell’autobiografia di Agassi e del commovente ‘The Tender Bar’, rende il testo del regale cadetto assai più godibile).
Il tutto – contese teologiche e giri in Bentley color prugna – è ambientato in paesaggi lunari, universi paralleli in cui si riesce a litigare per la messa in latino o per la divisa che il protocollo impone di indossare a una cerimonia. Qui vien fuori anche la Schadenfreude, specie se si è ostinati repubblicani e dispettosi agnostici: si finisce spesso per pensare "guardali lì, questi storditi, manca solo che si sfidino a duello o si litighino le indulgenze". E forse aveva ragione quell’autrice dell’eccellente ‘London Review of Books’ quando anni fa – lo ricorda senza far nomi lo stesso Harry – paragonò la famiglia reale ai panda: costosi, inadatti all’ambiente moderno, ma così belli da guardare.
Ora smetto, signora mia, giuro che smetto. Prendo un Adelphi e me la faccio passare. Senza star qui a fare la lista delle rivelazioni, che tali non sono: se ne è già parlato ovunque e comunque si tratta di fattoidi buoni per retroscenisti e vaticanisti, due categorie delle quali è meglio diffidare. Ma chiudendo con un minimo di tenerezza, santocielo, per due persone condannate a stare in panchina, a fare i rincalzi – ‘spare’, appunto – in corti nelle quali la serenità pare non essere mai di casa. Comunque le scarpette rosse non erano di Prada, questo dovevo dirvelo.