Scomparsa a inizio maggio, non è riuscita ad avere tra le mani il suo ultimo libro, opera straordinaria
Un triste addio prematuro e per di più con una beffa del destino. Biancamaria Frabotta se ne è andata all’inizio di maggio, mentre il suo nuovo libro, ‘Nessuno veda nessuno’, era in uscito nella collana dello Specchio di Mondadori. E così non ha neppure avuto la possibilità di averlo tra le mani...
Frabotta, che era nata a Roma nel giugno del 1946, è stata una figura tra le più solide e importanti della poesia in lingua italiana degli ultimi decenni, a partire dalla giovinezza e dal primo libro importante, ‘Il rumore bianco’, uscito da Feltrinelli nel 1982, con prefazione di Antonio Porta. Un carattere insolito, un pregio di quest’autrice è stato nel movimento evolutivo del pensiero che l’ha variamente mossa, come si avverte nelle fasi della sua poesia. Partendo da quella che potremmo ben chiamare una passione ideologica si è espressa cogliendo i valori di un sentimento dell’esistere, tra memoria e realtà presente, con un’energia (stilisticamente controllata) sempre più nitida, pur nel segno di una quasi classica forma di pacatezza riflessiva. E non dimentichiamo che Frabotta è stata anche docente universitaria di letteratura e dunque figura in grado di affrontare il testo a un alto livello di consapevolezza. In ogni caso è necessario rimandare alla raccolta di ‘Tutte le poesie 1971-2017’, uscita da Mondadori nel 2018, dove troviamo un felice nomadismo della mente, prima di arrivare a una condizione di normale stanzialità, del resto rinnovata giorno dopo giorno e sempre riacquisita in quella che Roberto Deidier, nel suo saggio compreso in quel volume riassuntivo, definiva "una stanza nuziale ampliata a dismisura". Ricordiamo allora una ritrovata e nobile normalità d’accenti, paradossalmente anticonformista, come in quello splendido attacco semplice: "Mio marito ha un cuore generoso"... Qui, tornando a Deidier, avveniva, mirabilmente, "la proiezione della propria identità nello sguardo dell’altro". Il che ci regala il senso di una umana saggezza generosa, nell’adesione partecipe (ma anche turbata) a quella che io definirei la solo apparente orizzontalità delle cose.
Ma è necessario arrivare ai tempi più recenti e dunque al libro da pochissimo uscito e che l’autrice non ha purtroppo potuto vedere stampato, appunto ‘Nessuno veda nessuno’. Un libro in cui si riafferma senza la minima incertezza, ma anzi, con ulteriori acquisizioni, la forza congiunta dell’intelletto e del vivo sentimento attivo dell’esserci, tipico della personalità umana e poetica dell’autrice. In questi testi incontriamo una non comune densità di situazioni, figure e personaggi, tra questi anche compagni di strada, poeti, accanto a tracce indelebili della stessa memoria familiare. E non di meno riferimenti a una considerevole ampiezza storica di presenze culturali, magari dal pensiero di Epicuro all’etica Ubuntu. In questo comporsi di personale e storico, nella "melma / del tempo che ci governa e affonda", si realizza il tessuto di un’opera, che, possiamo ben dire, è un lascito straordinario. Un’opera in cui troviamo, tappa dopo tappa, il cammino di una meditazione lirica condotta nel senso di un’adesione all’esistere, pur nella sua precarietà, e nel segno di una complessità interna reale e mai esibita, frutto di un rigore morale e di una esemplare onestà intellettuale a cui si continuerà, possiamo esserne certi, a ritornare.