A colloquio con lo scrittore e poeta romano, ospite di ChiassoLetteraria sabato 13 maggio, allo Spazio Officina
Bisogna pur farne qualcosa di questa esistenza, soprattutto quando essa sembra perdere senso, andare in direzioni casuali e confusionarie. Soprattutto quando la sofferenza rischia di schiacciare qualsiasi iniziativa vitale. Nel 1992 usciva per Mondadori ‘La poesia salva la vita. Capire noi stessi e il mondo attraverso le parole’, un bel saggio firmato da Donatella Bisutti il cui titolo sembra quasi un mantra da tener ben presente per non smarrire la strada. La poesia salva la vita ma, più in generale, si potrebbe aggiungere che anche la scrittura assolve alla stessa funzione. Lo sa bene Daniele Mencarelli, scrittore e poeta romano classe 1974 che ha trasformato il proprio vissuto in opera letteraria, mettendo al centro dei propri romanzi se stesso, la sua storia, la sua fragilità. Trasformare la vita in parole diventa un modo per darle un significato, per dare una forma e una misura a qualcosa d’incontenibile. Dopo aver pubblicato diverse raccolte di poesia, Mencarelli passa alla narrativa ottenendo fin dal primo romanzo un immediato successo. Nei suoi libri racconta il suo passato di tossicodipendenza, il ricovero in psichiatria, il tormento di un adolescente alla ricerca di se stesso.
‘La casa degli sguardi’, uscito per Mondadori nel 2018, vince il Premio John Fante Opera Prima, il Premio Volponi e il Premio Severino Cesari opera prima. Questo esordio è il racconto di un giovane in caduta libera, incapace di obbedire ai riti cui sembra sottostare l’umanità. ‘Tutto chiede salvezza’ (Mondadori 2020) arriva in finale al Premio Strega vincendo nella sezione giovani, mentre ‘Sempre tornare’ si aggiudica il Premio Flaiano per la narrativa 2022.
Nel suo ultimo libro, uscito a gennaio 2023 per Mondadori, Mencarelli per la prima volta abbandona il filone autobiografico per narrare una storia di pura finzione. ‘Fame d’aria’ è il racconto di un viaggio, di un’auto in panne in mezzo al nulla, di un padre alle prese con un figlio autistico. In occasione del suo intervento a ChiassoLetteraria sabato 13 maggio, abbiamo raggiunto l’autore per qualche domanda.
Una parte importante della sua opera letteraria è stata, a oggi, autobiografica, in presa diretta sul suo vissuto. Si tratta quindi di un preciso punto di vista col quale ha operato nella scrittura. Cosa e come di quel punto di vista si conserva oggi nel suo passaggio alla finzione?
Francamente non credo molto a questa divisione tra fiction e autofiction. Penso piuttosto che bisognerebbe parlare di buona e cattiva scrittura. Nel mondo editoriale, una bandella che recita “tratto da una storia vera” rende senza dubbio il prodotto più appetibile e i miei tre libri sono autobiografici a tutti gli effetti. Il protagonista porta il mio nome e le vicende che racconto le ho davvero vissute sulla mia pelle. Esiste sempre però una quota d’invenzione che si traduce anche nella capacità di rendere interessante ciò che accade, di saper raccontare la realtà. È la scrittura, in fondo, che genera il libro. Paradossalmente sono stato molto più emotivamente coinvolto nella stesura di ‘Fame d’aria’, in cui la storia è di pura fiction, che non nei miei precedenti tre romanzi dove il protagonista ero io.
Dal suo secondo romanzo, ‘Tutto chiede salvezza’, è stata tratta una serie in onda su Netflix. Cosa può dire di questa trasposizione cinematografica? Com’è avvenuta?
Ho lavorato come editor in Rai per venti anni e, a dirla tutta, non avevo tutta questa voglia di tornare in questo mondo. Poi è nata l’ipotesi di trasformare il romanzo in una serie (anche se all’inizio si pensava di farne un film) e Netflix ha manifestato un immediato interesse. La grande fortuna è stata trovare, a partire dal regista Francesco Bruni, una squadra di persone che con me ha scritto la sceneggiatura, riadattandola dal romanzo. Daniela Gambaro e Francesco Cenni hanno affrontato questo lavoro con una passione e una serietà straordinarie. La malattia mentale, che è al centro del mio libro e della serie, è ormai un tema che tocca almeno sei famiglie su dieci. Molte persone hanno parenti o amici che hanno avuto o hanno disturbi psichici, soprattutto nell’epoca che stiamo vivendo. Ciò che racconto si rivolge quindi a un vasto pubblico. Rispetto al romanzo abbiamo operato degli adattamenti. Cambiando lingua si è reso inevitabile prendersi qualche libertà che però non definirei come tradimenti. Il libro ha la voce del pensiero e le vicende si svolgono nel ’94. La serie è ambientata nel 2022, abbiamo dovuto introdurre tutti i riferimenti al mondo digitale che allora non esistevano.
La 17esima edizione di ChiassoLetteraria è dedicata alla dissidenza: come si inscrive la sua opera all’interno di questo tema?
Per un autore credo che la vera grande sfida sia portare temi che sono stati totalmente esiliati dall’immaginario collettivo. Penso soprattutto a ‘Fame d’aria’, il mio ultimo libro, in cui parlo di autismo a basso funzionamento. Un argomento scomodo che nessuno vuol guardare veramente. Si è dissidenti quando non ci si schiaccia sui pochi temi che occupano tutti gli spazi culturali.
Tutti i suoi libri affrontano tematiche scomode, per così dire. Perché hanno avuto così tanto successo?
A prescindere dall’argomento trattato, la grande scommessa è stata cercare di parlare di esistenza, andare in profondità facendo emergere gli elementi archetipici ricorrenti in ognuno di noi: la morte, il tempo, il destino. Queste sono tematiche che toccano tutti. Perché certe vite toccano ad alcuni e ad altri no? In ‘Fame d’aria’ il protagonista vorrebbe tanto incontrare Dio per chiedergli perché abbia scelto lui per accudire un figlio così difficile da sopportare e da amare. Le mie storie generano sempre delle domande, cercano continuamente un significato in ciò che accade, una causa.