...e che sta nel libro 'Lugano la bella sconosciuta'. Dice il suo autore: 'È una piccola Europa messa dentro una città'
La spiegazione: «A volte maltrattiamo un po’ la storia, nel senso che non ci rendiamo conto di avere una storia anche noi come qualsiasi altra grande città, pur essendo più piccoli. Ma le chicche, le piccole storie, le vicende umane, quelle non ci mancano». La motivazione: «Lavorando al telegiornale della Rsi ho la fortuna di viaggiare, e quando conosci quello che ti sta attorno, apprezzi di più quel che hai subito fuori di casa. E poi, sono sempre stato un appassionato di storia del territorio e mi sembrava un vero peccato tenermi tutto per me».
Sono il come e il quando di un volume che ha l’immediatezza dell’Enciclopedia del Rock e la serietà di un libro di storia, camuffato – complice il formato – da guida turistica. Jonas Marti ha sintetizzato in ‘Lugano la bella sconosciuta’ (Fontana Edizioni) un viaggio tra le vie di Lugano e nel Luganese durato un anno. «Metà delle cose le conoscevo già, l’altra metà l’ho scoperta io stesso esplorando il territorio». A partire dalla copertina: «Mi sono detto che nel libro avrei dovuto parlare del Municipio e così, per la prima volta in 34 anni, mi sono fermato a guardare la facciata di Palazzo Civico, scoprendo una statua che assomiglia alla quella della Libertà. Ho fatto ricerche e scoperto che è la Statua della Religione, ma poco importa perché l’iconografia è la stessa». Una statua scolpita quarant’anni prima di quella che sta a Manhattan, inserita in una facciata che è una raccolta di allegorie.
«Questo per dire quante cose vediamo ogni giorno e alle quali non facciamo più caso. Colpa della nostra distrazione», dice Marti. O colpa della mancanza di qualcuno che facesse ordine in una storia sorprendentemente ricca. Dall’Operazione Sunrise al primo piano del ristorante Bianchi, oggi Grand Café al Porto, dove ufficiali nazisti e agenti statunitensi negoziarono la resa dei tedeschi nel Nord Italia, alla Lugano «luogo d’incontro e scontro che è sempre esistito tra il Mediterraneo e l’Europa continentale, tra gli Etruschi e i Celti per esempio, vedi l’alfabeto di Lugano», ovvero l’adattamento dell’alfabeto nord-etrusco per mano dei Celti abitanti il Luganese dell’età del Ferro, che presero in prestito il vocabolario ai vicini di casa ‘padani’.
Si va per le 351 pagine del libro «un po’ come si mangiano le spagnolette o le patatine al bar», dice il suo autore. E cioè partendo da dove ci pare. Dalla musica, per esempio, che ben prima di Estival Jazz era già riecheggiata dalle parti di Piazza Riforma: il 18 agosto del 1838, a casa Airoldi in Piazza Manzoni 8, il 27enne Franz Liszt improvvisò un concerto. Lo dicono una targa e il capitolo ‘Le dolci note di Franz List’, condito da gossip storico sulle storie (tese) pendenti tra la giovane stella della musica – che a Lugano, tra un bagno e al lago e una cavalcata, ci stava da dio – e la compagna Maria de Flauvignes, contessa d’Angoult, che descriveva la città in questi termini: “Assoluta solitudine. Il lago è triste. La città è uno sporco buco”.
Sembra Manhattan, ma è Piazza Riforma
Nei giorni del Molino, il libro di Marti ci ricorda che Lugano ha una sua storia di demolizioni e del Castello di Trevano, piccolo gioiello cancellato nel 1961 con 230 kg di esplosivo, l’autore può ricordare il poco rimasto, come la fontana dal getto alto 10 metri costruita vent’anni prima del Jet d’eau di Ginevra. «Quella del Castello di Trevano, forse dopo quella del Sassello – dice Marti – è stata la carneficina più grande messa in atto a Lugano. Una villa incredibile vittima della miopia dei tempi. Demolire, in quei giorni, significava andare verso il futuro, non capendo in realtà quanto conservarlo, invece, sarebbe stato da visionari. Il problema è che queste cose capitano anche oggi e questo libro vorrebbe anche sensibilizzare sul fatto che Lugano ha anche ricchezza. E siccome ci è rimasto poco, conserviamolo e valorizziamolo». Marti cita il Sassello, quartiere sovrappopolato, con problemi igienico-sanitari ma pullulante di attività, del quale non resta nulla se non il nome di una via. “I luganesi dell’epoca (…) sono entrati nel ventre molle del ‘paziente’ affetto dal colera – scriveva lo storico Carlo Agliati – e lo hanno estirpato… ma senza capirlo fino in fondo”.
‘Lugano la bella sconosciuta’ è una storia di cose non esattamente luganesi (il cancello di Parco Ciani, che viene da Mendrisio), di alberi sul tetto (provocazione di Mario Botta), fontane ambulanti (quella di Piazza Dante, che non è sempre stata lì), viadotti fantasma (svincolo Lugano Sud, abbandonato dal 1970) e madonne che sganciano bombe (Chiesa di Santa Maria a Pregassona). E – sempre pescando a caso – l’Arciconfraternita della Buona Morte, che per secoli si prese cura dei condannati a morte: «Prima della Rivoluzione francese – racconta l’autore – a Lugano si impiccava, alla Forca di San Martino; poi, sulla spinta del ‘rispetto’ per i diritti umani caldeggiato dagli illuministi, si optò per le decapitazioni, alla Foce di Lugano, perché l’impiccagione portava con sé troppa violenza (sorride, ndr)». Da eseguirsi con la spada, non disponendo di ghigliottina. I dettagli dell’ultima condanna a morte, 16 maggio del 1849, sono custoditi al Museo San Salvatore, «e nei diari di un contadino di Breno pubblicati dal Museo del Malcantone c’è il racconto del suo viaggio a Lugano con la bimba di pochi anni per andare a vedere la decapitazione di un povero ragazzo, cosa che ci fa capire come le esecuzioni fossero davvero uno spettacolo cui assistere con birra e popcorn». A completamento della sezione ‘Crime’, a Capo San Martino venne con ogni probabilità giustiziata l’ultima strega in Ticino: era il 24 aprile del 1759 e la strega si dice fosse Giovanna Penna, una che voleva “far abbruciare tutta quella bazzarona di Lugano”, raccontano i testimoni.
Simbolo di Lugano, ma prima stava a Mendrisio
Di tutto quanto raccolto, Marti ha amato «le storie dedicate agli alberi, perché una città è fatta di monumenti, ma anche il verde urbano racconta storie. Nell’Ottocento, tutto il Luganese era disseminato di gelsi bianchi, a migliaia; in territorio di Lugano, oggi ne sono rimasti solo due, davanti alla Masseria di Cornaredo, due gelsi bianchi davanti ai semafori a raccontare la storia dell’industria della seta, una specie di corsa all’oro dei contadini che, per arrotondare, allevavano bachi da seta, aprendo una pagina oscura della nostra storia, quella dello sfruttamento minorile. Perché per lavorare la seta, le mani piccole erano meglio di quelle grandi...».
Metà delle storie contenute in ‘Lugano la bella sconosciuta’, diceva all’inizio, le conosceva già. Dopo avere scoperto il resto, Jonas Marti ha capito che «Lugano è una città piccola, magari ai margini della grande storia, ma che all’Europa è sempre rimasta connessa. Lugano sta nel cuore d’Europa, è una piccola Europa dentro una città, con tutte le dinamiche europee degli ultimi tremila anni». E ha anche capito, Marti, dalla risposta al libro, «che la gente ha fame di storia e di storie. Purtroppo, e torno all’inizio, la storia del Ticino è stata scritta in modo ‘svizzero’, con prospettiva svizzera, mentre dovremmo ricominciare a riappropriarci della nostra storia più intima, che è sì svizzera, ma anche italiana e mediterranea».