Scompare uno spazio vitale, l'ennesimo, che ha segnato la vita artistica cantonale. Avrebbe compiuto quarant'anni di attività proprio nel 2021
Il nuovo anno si apre con una notizia triste per gli amanti dell’arte: la chiusura della Galleria d’arte ‘La Colomba’ di Viganello. Per quanto ce lo si potesse aspettare, la notizia non può che lasciare amareggiati e un poco anche sgomenti: perché non è solo una questione anagrafica, degli anni che passano pure per i galleristi. Il fatto è che questa chiusura capita in un momento tale da conferirle significati e valenze che la trascendono, quasi fosse l’epilogo di un ciclo che parte da lontano. Il riferimento è alla storia artistica del Cantone Ticino, in particolare alle sue gallerie storiche, quelle nate negli anni ’60 -’70, che hanno contribuito alla divulgazione dell’arte, alla crescita del collezionismo locale, alla promozione degli artisti.
Erano gli anni in cui le condizioni socio-economiche del Paese già stavano mutando, mentre gli artisti – dopo le grandi difficoltà del periodo bellico – si ritrovavano ancora a operare in un cantone sprovvisto di infrastrutture in grado di promuoverli e sostenerli. In mancanza di istituzioni cantonali e musei cittadini, supplivano le poche benemerite gallerie operanti nel territorio che, per intrinseche difficoltà economiche, non di rado duravano però lo spazio di poche stagioni. Il pensiero torna alla Galleria del Negromante diretta da Virgilio Gilardoni, alla Nord-Sud di Lugano, alla Mosaico di Chiasso, a L’Immagine di Mendrisio, alla Matasci di Tenero (diventata oggi una Fondazione), alla Dabbeni di Lugano e a non poche altre succedutesi negli anni. Le quali, con mezzi e orientamenti diversi, hanno comunque contribuito a promuovere l’arte non solo sostenendo i nostri artisti, ma facendo conoscere artisti e correnti sviluppatesi altrove, aprendo su orizzonti più vasti. Capitava allora che in sol pomeriggio si potessero visitare tre o quattro gallerie, tra Chiasso, Lugano, Locarno ed Ascona.
La Colomba era certamente una di queste. Fondata nel 1981 da Luisa e Giovanni Galetti avrebbe compiuto quest’anno 40 anni di attività. Le sue mostre, anche quattro all’anno, i suoi raffinati cataloghi hanno indubbiamente segnato un periodo non irrilevante della storia artistica cantonale sia per gli artisti che per gli appassionati d’arte: gli uni e gli altri potevano infatti contare su una sorta di patto non scritto per cui, salvo incidenti di percorso, sapevano che, passati alcuni anni, sarebbero tornati con una nuova personale, accompagnata da relativo catalogo, così da dar conto, anche fuori dai confini cantonali, del tragitto percorso. Impegni e oneri che, oggi, nessuno più farebbe suoi, ma che anche allora erano peculiarità di pochissime gallerie, cui va riconosciuto il giusto merito.
Grazie alle attività delle gallerie quelli furono anni di indubbia crescita per il Ticino artistico; un apporto che unitamente a tanti altri, in diversificati settori e tempi diversi, ha contribuito a mutare la realtà del Cantone determinando un vero e proprio cambiamento epocale. Basterebbe confrontare il Ticino degli anni ’40 con quello di cinquant’anni dopo: con repentino passaggio da una società rurale e alpina fondata su una debole economia di sussistenza; a quella del secondario e terziario, dello sviluppo viario, della mobilità internazionale e del turismo. Ma questo nuovo Ticino è anche quello della Biblioteca cantonale e della Orchestra della Svizzera Italiana, della scolarizzazione diffusa, delle biblioteche e dei musei cittadini, dell’Usi e dell’Accademia di architettura, degli istituti di ricerca avanzata, della Facoltà di Biomedicina e, per tornare a noi, del LAC.
Una progressione su cui, di questi tempi, cala un’ombra pesante: non solo per via del lockdown che spegne i contatti, chiude musei, gallerie, teatri e compagnie teatrali; di quotidiani e riviste che riducono drasticamente i loro servizi; di criticità che riguardano il futuro tanto dell’Osi quanto di Rete 2 i cui servizi non si possono sbrigativamente classare come un superlusso in quanto utilissimi per conoscere il nostro mondo e la nostra storia. Osservata da una prospettiva storico-artistica e sotto una tale luce, per quanto circoscritta possa essere la chiusura della Colomba finisce allora per acquisire un significato più vasto e amaro, sia perché scompare l’ennesimo spazio vitale per non pochi artisti della nostra regione per i quali la sopravvivenza si farà d’ora in poi ancor più difficile; sia perché suona in qualche modo come l’epilogo di un lungo cammino le cui finalità non sono state per nulla riprese dalle nuove gallerie installatesi nel Cantone, le quali sorvolano sul territorio e la sua storia artistica, avendo tutt’altre mire e puntando sull’internazionale.
Poche quelle che se ne fanno ancora carico, tra grandi difficoltà. Ma in un simile contesto il “locale” rischia davvero di scomparire davanti all’avanzata dell’internazionale. Non si tratta di tornare su posizioni acriticamente regionalistiche; certo è che la progressiva desertificazione di gallerie da una parte disincentiva quei nostri artisti che non vedono davanti a sé reali possibilità espositive; dall’altra responsabilizza ancor più le istituzioni pubbliche – non solo artistiche – del nostro Paese che sono chiamate a sopperire a tali vuoti e a reinventarsi: per esempio creando, compatibilmente con le loro disponibilità logistiche, spazi espositivi dove si susseguano agili mostre di breve durata, a lato del palinsesto ufficiale, accompagnate da un semplice foglio esplicativo, senza biglietto d'ingresso così da promuovere i migliori giovani emergenti ma sapendo anche dare la debita attenzione a coloro che hanno segnato la storia dell’arte cantonale.
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