È quello di sempre, che getta acqua sul fuoco anche se la sua Milano, per 'L'Umarell', gli ha appena tributato il riconoscimento più alto per un milanese.
«Pronto? Buongiorno, sono Ambrogino. Mi dica». E ancora: «Non ce la faccio più: e prima il Montale, e poi l’Ambrogio...». E adesso cosa arriverà? «Ma non lo so. Io mi sono proposto come sindaco. Vediamo…». È il Fabio Concato di sempre, quello che getta acqua sul fuoco anche se Milano gli ha appena tributato il riconoscimento più alto per un milanese. A qualche mese dal Premio speciale Montale fuori di casa, il suo ‘Umarell’, canzone nata durante il lockdown già premiata in luglio a nome del grande poeta, è arrivato l’Ambrogino d’Oro, attribuito dall’amministrazione meneghina al Concato più social. Nel senso di sociale, il Concato di ‘Un puntino’, di ‘051’, ‘Bella Italia’, ‘Oltre il giardino’, ‘Tutto qua’, quello empatico, critico e dolcemente spietato. Senza mai alzare la voce, ma a voce alta. Proprio come in ‘L’Umarell’, l’anziano dei cantieri che è tutti gli anziani al tempo della prima ondata pandemica, ma anche una statuetta a forma, appunto, di umarell che nell’isolamento del primo lockdown parla al musicista. E lo sprona a reagire, a creare. ‘L’umarell’ che tanto è piaciuto alla sua Milano, quella che in ‘Domenica bestiale’ dorme ancora, che sonnecchia e a guardarla ci si accorge che è bella. Bella come il suo premio.
«Sì, il premio è molto bello. Mi era già successo di trovarmi nella rosa dei papabili negli anni passati, in due o tre occasioni. Quest’anno sapevo che avrei potuto vincerlo. Forse il fatto che fosse cantata in dialetto probabilmente ha colpito ancora di più, anche se il cartone animato con la traduzione l’ha resa ancor più comprensibile. Ho avuto messaggi d’amore e di stima dalla Puglia, dalla povera Calabria. Questo premio ha rimesso in pista l’umarell, che mi fa piacere. Quello che non mi fa piacere è che sia ritornata la seconda ondata».
Dell’amarezza non solo per la sua Milano, ma di tutte le persone “andate via così, gratis”, il cantautore ci aveva parlato a maggio, regalandoci una versione inedita de ‘L’Umarell’ ascoltabile in ‘Generi di conforto’, il podcast de laRegione. Amarezza che è tornata tale e quale. Anzi no: «La sto vivendo molto peggio della prima. C’è un po’ di rabbia che monta tutti i giorni. Ci avevano ampiamente anticipato che sarebbe arrivata la seconda ondata e mi sembra invece che ci siamo svegliati come al solito fuori tempo massimo. Adesso siamo addirittura a caccia di bombole d’ossigeno e caschi per i pazienti. È qualcosa che mi fa un po’ disperare. Penso che non siamo protetti, che non siamo rassicurati da niente e da nessuno».
Non se la sta passando bene nemmeno l’umarell: «È un po’ sul depresso anche lui. Non che abbiamo smesso, né lui né io, di sperare che qualcosa possa cambiare, ma farci sorprendere di nuovo così impreparati, pur sapendo esattamente di cosa si tratta. Io e lui facciamo fatica a capire tante cose. Tipo queste colorazioni diverse tra regioni…».
Ma ci sono anche le colorazioni diverse tra lavoratori. C’è il lockdown del mondo dello spettacolo italiano, mentre altri lavorano, che non è poi così diverso da quello ticinese («Cinque posti in sala? Bello. Chissà il biglietto quanto sarebbe costato…»): «Questo secondo lockdown fa un po’ male», dice Fabio. «Sì, Franceschini (Ministro della Cultura e del Turismo del Conte II) ha cercato di recuperare, però quando ho sentito parlare di “professionisti sacrificabili” e dentro c’erano i musicisti, gli attori, i lucisti, i fonici, stiamo parlando di centinaia di persone, mi sono detto “E allora no!”. Anche perché se c’è una cosa veramente di ‘pronto soccorso’ è proprio l’arte in tutte le sue manifestazioni. Se togliamo anche quella, è come spararci nelle dita dei piedi. Che uno non possa andare al cinema a vedersi un film, a teatro a vedersi uno spettacolo di prosa o andare a un concerto in un periodo così buio… Credo che sarebbe il massimo del conforto…». Fabio, ma c’è la televisione: «Ma certo! Come dice un mio amico milanese (la voce è quella dell’Enzino, Jannacci, ndr) “C’è tutti i film qui ormai sulla televisione, e allora guardati i film sulla televisione, cosa rompi! C’è Netflix e, come si chiama lì, Amazòne…».
Prima del nuovo stop, la musica di Concato era tornata a farsi sentire dal vivo, in settembre. «Ti dirò. È andata bene. Quei duecento si sono divertiti, hanno cantato, hanno partecipato. Ma mi è sembrato tutto più triste. Il fatto di non poter scendere in platea, cosa che mi piace fare, soprattutto nei teatri. Trovo che il contatto fisico, e non solo nel momento di firmare i cd, sia una cosa importantissima per il pubblico e anche per noi che questo mestiere lo facciamo. Per carità, altro non si poteva fare e serve la massima attenzione. Di certo c’è che abbiamo lavorato in sicurezza, evidentemente, perché due mesi dopo non abbiamo avuto notizia di contagi. Ma anche tutta l’attenzione a ogni cosa, a chi ti si para davanti, a chi ti apre il camerino, a quello senza mascherina perché se l’è scordata. È un lavoro in più da fare, parte di una professione che in questo momento non è più così facile, divertente, naturale».
Da Springsteen i fan si aspettano sempre la nuova ‘Born to run’, da Samuele Bersani la nuova ‘Giudizi universali’ e da Concato la nuova ‘Domenica bestiale’. Che non ce ne sarebbe bisogno, perché per tutti i grandi ce n’è abbastanza in carriera. Eppure ‘L’Umarell’ sembra avere in questo momento un potere identificativo non meno forte di quel sempreverde dell’82: «Credo che, musicalmente parlando, ‘L’Umarell’ non abbia la stessa forza, però sul fatto che sia identificativa non ci sono dubbi. È una canzone che mi rappresenta molto, tra l’altro molto autoterapeutica. Una volta scritta e terminata sono stato meglio. È stato un modo per me di convogliare alcuni pensieri, alcune riflessioni, e tentare di reagire a quel clima così buio. È sicuramente una creatura che amo molto e che è tornata tristemente di attualità. L’Ambrogino le sta dando una mano, ma, lo dico in totale sincerità, credo di averlo meritato e che non sia stato un regalo di nessuno».
Sembrano proprio felici, Concato che di questi tempi si coccola la nipotina Nina ("dolce amore") e l’umarell ("semper lì"). Anche perché la canzone è di quelle col valore aggiunto. Quelle ‘social’: «Sì, è la parte più sociale della mia produzione. Ogni tanto mi capita, per fortuna, ma credo che la musica debba occuparsi anche di questo, e quando capita sono sempre molto felice. Forse la canzone non è allegrissima, ma d’altra parte la nostra esistenza in questo momento non è che sia proprio una festa».