Nella fiction, interamente girata nel Canton Ticino, la città fa da sfondo a una serie di delitti. A colloquio con Gian Marco Tognazzi e con i registi
“Nell’assassino devono infuriare grandi burrasche di passioni - gelosia, ambizioni, odio, vendetta - che faranno del suo animo un inferno: ed è appunto dentro a tale inferno che noi dobbiamo scrutare”. Per venire a capo degli omicidi di giovani donne commessi nei giorni del carnevale di Bellinzona, al commissario Blum non basterà assecondare l’invito di Thomas De Quincey: è nel proprio personale inferno che dovrà scendere, guardandolo negli occhi. Blum, interpretato da Gian Marco Tognazzi, è il protagonista di ‘Alter Ego’, prima serie svizzera interamente girata nel Canton Ticino e in italiano: sei episodi che saranno visibili su Play Suisse dal 5 dicembre, data da cui verranno trasmessi dalla RSI al ritmo di due per sera.
Gian Marco Tognazzi, presentaci il tuo personaggio.
Leonardo Blum è una via di mezzo tra un uomo altolombardo e uno ticinese, molto dedito al lavoro, un solitario, chiuso nel suo appartamentino ancora pieno di scatoloni. Non si è perdonato di non aver intuito certe cose, dodici anni prima, in un caso che lo ha portato anche a rischiare la vita, ha messo in crisi le sue certezze e ha mandato a monte la sua vita familiare. Troppe coincidenze gli fanno temere che negli ultimi delitti il suo vecchio incubo si stia riproponendo, come se dovesse confrontarsi con l’alter ego, con la doppia faccia di un assassino che è tornato a colpire. In più le vittime sono ragazze della stessa età di sua figlia, con la quale ormai ha un rapporto distaccato perché lei ha eretto un muro col padre, uomo buono e onesto ma con grandi difficoltà ad aprirsi. Un uomo che non accetta che le cose non siano chiare, pulite e nette come lui, e quando si trova di fronte a situazioni poco trasparenti non la prende bene.
Come sei entrato nel ruolo?
Il lavoro da fare è sempre lo stesso, che sia teatro, cinema o fiction; poi ognuno lo affronta a seconda della sua attitudine. L’attore è un esecutore, al servizio di un regista e di una produzione. Io posso collaborare facendo un’analisi approfondita del testo, di quello che mi convince e di quello che per me è incoerente, posso confrontarmi con i registi e cercare di capire, al di là di quello che c‘è scritto, cosa serva per rendere al meglio il mio personaggio e il suo vissuto. Cerco sempre di andare verso i personaggi anziché portare i personaggi verso di me: so di essere anacronistico in una società in cui è importante essere famosi indipendentemente da quello che si fa, magari riproponendosi ossessivamente - come a volte purtroppo accade nella cinematografia e nella serialità -, ma nessuno può pensare di avere un carisma tale da prevaricare sui personaggi, cosa che invece potevano permettersi Ugo, Sordi, Manfredi. Ugo portava su Ugo, ma il più delle volte andava verso i personaggi. Oggi, invece, riprodurre sé stessi oggi è diventata un’esigenza di sistema.
Perché lo chiami Ugo?
Perché Ugo è mio padre, ma è di tutti. E poi Ugo rispondeva alla parola d’ordine ’Ugo‘. Se volevi avere la sua attenzione ti conveniva chiamarlo Ugo. Se lo chiamavi papà non reagiva. Siccome era un continuo “Ugo!”, “Ugo!”, “Ugo!”, non avevi scelta.
Torniamo a Blum: in che rapporti è con i colleghi?
Ha fiducia nei sottoposti, ma mentre loro cercano di stemperare le asperità, lui è sempre nel tunnel del suo incubo, ha la sensazione che qualcosa non torni e vorrebbe arrivarci da solo. Invece gli affiancano un criminologo e quando serve un medico legale pretende quella di cui si fida di più, ma questo non lo salva dal disequilibrio emotivo: gli ultimi eventi gli hanno fatto tornare a galla il senso di colpa per il fallimento di dodici anni prima, perché è convinto che altrimenti i nuovi delitti non ci sarebbero stati.
E con l’ambiente intorno?
Cerca di tenere le distanze in una piccola comunità, un paesone che non è città e non è metropoli, dove ci si conosce tutti, anche se si nascondono i dettagli delle vicende personali e tante cose si rivelano sorprendenti. Un posto in cui è difficile comunicare certe notizie, perché fanno saltare degli equilibri.
Non è, in fondo, un’occasione per riflettere sulla relazione dell’uomo con ciò che lo circonda?
Ma è proprio il bello dell’attore, vivere altre vite con aspetti che non ti appartengono, ma che possono darti anche soluzioni su cose di te che non vedi. A volte per costruire i personaggi rischi di dimenticarti chi sei tu, perché dopo tre mesi tu diventi lui e non sempre te ne liberi subito: io devo viverla così, non posso cavarmela recitando delle battute e basta. Certe volte i personaggi ti rivelano cose che non riesci ad ammettere, anche se sei stato tu a metterle nei personaggi: devi renderti conto che fanno parte di te.
Tornando ad ’Alter Ego‘: com’è stato lavorare in una realtà come questa, per uno che viene da grandi produzioni?
È stato meraviglioso. Ho trovato una qualità che mi auguravo, ma che non aspettavo che venisse così, perché tutto va rapportato ai tempi e ai mezzi che hai. Immagina di essere un prototipo che gareggia in Formula 1 e che ci aspetti da te che sia competitivo come la Ferrari. Ma se la Ferrari può contare su altri investimenti, devi colmare quel gap con un grande lavoro di squadra.
E com’è stato vivere per tre mesi da ticinese?
Qui mi sono trovato benissimo e mi auguro che da parte dei committenti e del pubblico ci sia la voglia di andare avanti. Mi dispiacerebbe che queste sei puntate rimanessero un esercizio di stile che si apre e si chiude qui. Personaggi così complessi, e non mi riferisco soltanto al mio, meritano di avere un’evoluzione. In ogni caso, tornerò a Bellinzona al Teatro Sociale il 25 e il 26 gennaio 2024 con ’L’onesto fantasma‘. Sono molto legato alla Svizzera, perché amo le qualità degli svizzeri, molto diverse da quelle degli italiani: la pignoleria, la precisione, la cultura del lavoro sono valori in cui mi ritrovo, oltre a una professionalità e una serietà che mi entusiasmano.
‘Ci siamo ispirati a Dürrenmatt’
Ora passiamo ai registi della fiction, Erik Bernasconi (EB) e Robert Ralston (RR).
‘Alter Ego‘ è ambientata durante il carnevale e sfrutta la metafora delle maschere, dietro cui nascondiamo il nostro vero volto.
RR: Nel crime devi smascherare il killer, ma noi volevamo andare un po’ oltre, raccontando qualcosa della società in un’atmosfera da film nordico. E poi nel carnevale c’è violenza e insieme piacere, ci nascondiamo in una maschera per fare quello che normalmente non potremmo fare.
EB: Quando è diventato chiaro che avremmo girato a Bellinzona, anche se l’idea di un doppio, di un alter ego è sempre stata nelle nostre idee, il carnevale è entrato nella sceneggiatura in un secondo momento, offrendoci lo spunto per il contrasto tra un divertimento forse fin troppo esplicitato e l’assenza di gioia che è data dai crimini.
È stato uno svizzero, Dürrenmatt, a mostrare come l’indagine su un crimine possa diventare un’indagine sulla società.
EB: In effetti Dürrenmatt è stato un nume tutelare del nostro lavoro. Abbiamo usato il genere poliziesco per scavare non solo nella società, ma anche nell’animo umano.
A quali altre fiction vi siete ispirati?
EB: La cosa interessante è che non avevamo mai lavorato assieme e nessuno di noi due aveva mai girato un thriller. Quando abbiamo cercato dei punti di partenza comuni, io parlavo a Robert di una serie danese intitolata ’The Killing‘ e lui mi parlava di una serie danese intitolata ’Il commissario Lund‘. Alla fine abbiamo capito che era la stessa serie.
Che scenario è stato Bellinzona?
EB: Io sono di Bellinzona, per cui sono responsabile iniziale del fatto che siamo arrivati qui. Se penso al mio primo film, ’Sinestesia‘, c’era tutta una geografia emotiva in cui Bellinzona era calda come la conosco. Ma con gli occhi di Robert, che viene da un’altra città, con gli occhi dello scenografo e del direttore della fotografia abbiamo cambiato un po’ l’aspetto della città e ci siamo resi conto che era adattissima, per la materia che ha, per la roccia, per la struttura da cittadella medievale: perfetta per raccontare alcune asperità dell’animo umano.
RR: In questo posto che è circondato da mura e da montagne non senti il pericolo o la paura, ma nel subconscio c’è qualcosa che ti colpisce. Bellinzona mi ha ispirato perché vengo da Coira, che ha una struttura geografica molto simile. Penso che abbiamo fatto bene a togliere tutta la luce, il sole e il caldo di questo posto per rinforzare la storia.
E infatti ne è venuta fuori una fiction invernale, notturna, cupa. Sottranedo la luce di Bellinzona, vi siete concentrati sul suo aspetto noir.
RR: Abbiamo cercato di creare un contrasto con i colori del carnevale.
EB: Per il Ticino il resto della Svizzera è la parte mediterranea, la Sonnenstube. Abbiamo voluto sottolineare un aspetto diverso, prendendo il cliché e ribaltandolo, ma sempre per servire il thriller che richiedeva questo.
E su cos’altro avete fatto un lavoro di sottrazione?
EB: Abbiamo centellinato i possibili elementi di commedia: c’è qualche momento di leggerezza, ma siamo stati molto radicali nell’aspetto trhiller, così che anche quei pochi momenti di comicità saltano fuori come un breve momento di liberazione prima di farti ripiombare nella tensione.
Che cosa ha di svizzero questa fiction?
RR: Si sente molto la presenza della montagna, ma al di là della geografia è un prodotto molto internazionale.
EB: C’è la caratteristica dello svizzero di cercare di dire che tutto va bene, nascondendo le magagne, anche se non va bene niente. Forse non è esclusivo della Svizzera, ma penso che sia una caratteristica della nostra società.
RR: Sicuramente sappiamo essere gentili quando preferiamo non dire subito le cose direttamente, ma questo può causare uno stress, perché ci si tiene dentro qualcosa di brutto senza farlo uscire, e questo fare finta in fondo significa indossare una maschera.
Allora, fuori dai denti, come vogliamo concludere l’intervista?
EB: Dicendo che finalmente abbiamo ottenuto da parte della SRG una certa attenzione per realizzare un prodotto di questo tipo nella Svizzera italiana, ma non dimentichiamo che tutto ciò è permesso dal canone attuale. Una ridefinizione del canone potrebbe mettere tutto a rischio.