Castellinaria

‘The Store’, se il nostro futuro è sugli scaffali

In concorso nella sezione Young, una spietata e inconsueta critica sociale, senza nascondersi dietro allo stereotipato candore svedese

Scritto e diretto dalla regista Ami-Ro Sköld
22 novembre 2023
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Dalla collaborazione tra Svezia e Italia nasce il film ‘The Store’, scritto e diretto dalla regista Ami-Ro Sköld, caratterizzato da passaggi in animazione, con la tecnica dello stop-motion, oltre che da una visione pessimistica della società, soprattutto riguardo il settore lavorativo. La Scandinavia del benessere e della salute cede il posto alla lotta per la sopravvivenza, grazie alla costruzione di un ambiente spietato, ultracompetitivo e che trascina i personaggi nella disperazione e depressione. Un senso di abbandono e di solitudine traspare da quest’opera, che ribalta i luoghi comuni riguardo la grande capacità di gestione sociale del nord Europa, eclissando i concetti di gentilezza e altruismo in favore dell’egoismo, che qui risulta però necessario.

Eleni è una giovane neomamma, esentata dal lavoro a causa della maternità ma, rischiando di essere retrocessa da capo del personale a impiegata, si trova costretta al rientro anticipato. È inizialmente ben vista e rispettata dai suoi colleghi, tuttavia forzata dai quadri della catena alimentare Smart a massimizzare le prestazioni lavorative della sua filiale, riducendo le ore di lavoro dei suoi sottoposti, già a rischio indigenza, e optando maggiormente sul lavoro su chiamata. Ad aggravare il compito, si aggiunge la necessità di allontanare un gruppo di senzatetto che, la sera, prende dai container dei rifiuti le merci invendute o avariate, andando contro le direttive aziendali. Tra i colleghi, l’amica Jackie ha da poco scoperto di essere incinta, mentre Aadin fatica a sostenere le sue due figlie, che cresce da solo sotto l’ombra costante degli assistenti sociali, quindi Eva, già avanti con gli anni, fatica ad adeguarsi alla nuova politica produttiva perché abituata all’interazione con i clienti.

La situazione peggiora progressivamente fino a diventare insostenibile, tutti vengono annichiliti dallo stress, costretti anche a rimanere sul posto in attesa della chiamata al lavoro, finché un’impiegata si ferisce alla testa per una disattenzione, inasprendo l’odio reciproco del personale, soprattutto nei confronti di Eleni. Dal confronto tra la classe bassa e quella più povera, tra gli impiegati e il campo dei vagabondi, emerge l’uguaglianza tra le persone; tutti soffrono, cercando di sopravvivere e per questo sono più simili tra loro di quanto pensino, tuttavia il gruppo di mendicanti riesce a trovare il sorriso anche nella miseria, uniti nell’avversità e lontani dalla freddezza dei soldi. Eleni cambia perché sopraffatta dalle responsabilità, diventando sempre più aggressiva e intransigente perché anche lei, come tutti, è solo un ingranaggio di una ruota inarrestabile. Una spirale discendente, una piscina che si riempie portando l’acqua alla gola a tutti i personaggi e solo l’amore sembra generare uno spiraglio in cui intravedere una fine all’ansia: Jackie ha l’appoggio del compagno, Eva quello della figlia, Aadin instaura un rapporto di sostegno reciproco e amore con Zoya, giovane donna della comunità di vagabondi, mentre Eleni, ostracizzata dagli altri, viene abbandonata persino dalla madre e rimproverata di trascurare la sua neonata.

Lo stile visivo dello stop-motion sottolinea la forte critica alle multinazionali, o allo sfruttamento dei lavoratori in generale, che è un ritratto svedese inconsueto e mostra un lato purulento, ammuffito, una mercificazione annichilente e agorafobica, dove gli esseri umani diventano delle merci senz’anima, abbandonate sugli scaffali su cui sono state poste.

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