Il ragazzo e la tigre

Guardandoci col filtro innocente degli animali

A colloquio col documentarista e regista Brando Quilici, che parla della scomparsa delle tigri con il suo recente film. Proiezioni oggi e domani

Balmani e Mukti in cammino verso Tiger’s Nest
(Castellinaria )
25 novembre 2022
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«Mi piace molto fare film con gli animali, che diventano metafore. Rappresentano un filtro innocente e purissimo per guardare alla vita degli uomini. Poi, come aveva scritto Jorge Luis Borges in Aleph ‘tutti gli animali sono immortali perché ignorano la morte’». Con queste semplici e significative parole Brando Quilici traccia il manifesto dei suoi lavori cinematografici.

Lui è ospite di Castellinaria dove presenta il suo recente lungometraggio ‘Il ragazzo e la tigre’ (2022) e dove prenderà parte oggi a un incontro pubblico al Mercato coperto (alle 17). Il film invece sarà proiettato questa mattina nella sezione Concorso Kids, alle 9.15, e domani, sabato 26 novembre, alle 15.


Brando Quilici
Brando Quilici sul set

Cogliendo l’occasione; appena arrivato a Bellinzona con il treno, raggiungo il documentarista e regista nel bar dell’albergo dove alloggia per una chiacchierata (una bella conversazione, per dirla tutta) sul suo film e la sua genesi, sulle tigri (anche quelle del film) e sulla generazione futura, che avrà il difficile compito di porre rimedio ai pasticci ambientali causati dalle generazioni precedenti; da noi. Però subito chiarisce: «Se mi dai del lei, non rispondo ad alcuna domanda».

Prima di lasciargli campo libero, mi attardo con due notizie biografiche. Brando Quilici – figlio di Folco – è uno fra i più riconosciuti documentaristi al mondo: nella sua carriera ventennale ha lavorato a circa un centinaio di special per reti televisive quali National Geographic e Discovery Channel, giusto per citarne un paio. Fra i suoi progetti più importanti si ricorderanno ‘Iceman’, ‘Iceman - Murder Mystery’, ‘Kings Tut’s Final Secret’, ‘Nefertiti and the Lost Dynasty’.

La storia

La storia di Balmani e Mukti è il suo secondo film presentato lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma; il primo del 2014 è ‘Il mio amico Nanuk’, prodotto e diretto in co-regia con Roger Spottiswood. Ambientato in Nepal, racconta la storia di Balmani (Sunny Pawar), un bimbo di nove anni che rimane orfano a causa del terribile terremoto che ha scosso il Nepal, nel 2015. Finisce nell’orfanotrofio diretto da Hannah (Claudia Gerini), da cui scapperà intenzionato a tornare a Kathmandu, sua città natia. Subito si imbatte in una cucciola di tigre (che battezzerà Mukti) rimasta sola dopo che i bracconieri hanno ucciso la sua mamma e destinata al mercato nero. Il ragazzino salva Mukti e decide di condurla al famoso monastero Taktsang (Tiger’s Nest), un luogo mitico la cui nascita è raccontata da una leggenda popolare che la mamma raccontava a Balmani.

Con la sceneggiatura scritta a quattro mani da Rupert Thompson e Hugh Hudson, il film, per certi versi, riflette sulla conservazione della fauna selvatica e la scomparsa delle specie, sull’importanza di difendere la Terra e i suoi abitanti, raccontando la storia di due cuccioli rimasti soli e che insieme troveranno il loro posto nel mondo, attraversando una regione naturalisticamente straordinaria e molto varia: in cinquanta chilometri in linea d’aria si passa dalla foresta sub-tropicale alle nevi eterne della catena himalayana; dal livello del mare agli ottomila. L’idea di partenza è stata scritta nel 2015: per realizzare il lavoro ci sono voluti tre anni, di cui uno di riprese (iniziate nel dicembre del 2020).

Appassionare i bambini

Fra i maestri del documentario – e lo si vede anche in questo lavoro – Brando chiarisce le ragioni che lo hanno spinto a realizzare un lungometraggio per raccontare la scomparsa delle tigri (sono solo 3’900 gli esemplari in libertà, mentre in Nepal, luogo d’origine, sono meno di trecento): «Quello che differenzia un documentario – per sua natura scientifica un po’ più asettico – da un film d’avventura sono le emozioni, se si lavora bene sui dialoghi puoi crearne tante». E l’emozione crea empatia e quindi sensibilità. Il film è pensato soprattutto per i giovani: «È importante che sappiano che esiste questo mondo delle tigri, in pericolo». Una scelta quella di rivolgersi a loro dettata da motivazioni ben precise: «L’ambiente e il mondo in cui viviamo sta attraversando un momento critico, perché la mia generazione, tutta chiacchiere, ha fatto ben poco e lo ha "scassato". Poi sono arrivati i giovani della generazione di Greta – e per fortuna esistono – che hanno iniziato a farci riflettere su questa triste eredità che lasceremo alla generazione alfa, quella che ha il mondo a portata di dita e che sarà costretta a far fronte alle conseguenze delle nostre politiche ambientali. Pensando anche a loro, per me è molto importante raccontare storie semplici che mostrino il vero mondo e che facciano appassionare i bambini alla tematica ambientale», chiosa.


Brando Quilici
Sunny Pawar e Brando Quilici sul set

Un film, tante scintille

Le scintille della storia sono tante e anche lontane nel tempo. Da una parte c’è la leggenda che narra di Guru Rimpoche, uomo santo per i buddhisti, che volò in groppa a una tigre dal Tibet al Buthan per fondare il monastero Tiger’s Nest; dall’altra, il programma del Wwf ‘Save the Tigers’ (portato da Leonardo DiCaprio alle Nazioni Unite). Ma una prima scintilla – che rimarrà latente per anni – scocca nel 1995, quando Brando è in Nepal per seguire il ricercatore americano David Smith («un bel personaggio») che lavorava per il King Mahendra Trust per il censimento delle tigri nel Parco del Chitwan, ai piedi dell’Himalaya, dove c’è «l’erba più alta del mondo, arriva a sei metri!». Allora «avevo filmato le tigri in Nepal per Discovery Channel e avevamo seguito un esemplare che era stato indotto al sonno. Trovato addormentato in mezzo all’erba, il gruppo di nepalesi che era con noi guardava con occhi sgranati l’animale – erano meravigliati –, si avvicinavano e toccavano pelo e pancia, le zampe», ricorda con vivacità. Un timore quasi reverenziale che era dovuto a ciò che rappresenta il felino: «Le tigri sono simbolo di coraggio e forza. Secondo la tradizione Cinese sono protettrici degli uomini di buon cuore, mentre aggrediscono i malvagi».

Una grande fascinazione che "tradisce" anche Brando quando ricorda – trattenendo l’emozione – Dora e Diego, le due tigri del film. Un aneddoto: «Diego – il tigrotto piccolo – era pazzo per Sunny, che gli ha dato da mangiare sin dal suo primo mese e mezzo di vita. Il giovane attore è arrivato in Italia tre mesi prima delle riprese per allenarsi a dar da mangiare alla tigre. Il primo giorno il trainer gli ha spiegato come fare, ma appena il cucciolo si è attaccato al biberon in pochi secondi lo ha svuotato, come un’aspirapolvere (mangiano tantissimo!) e il ragazzino ha iniziato a gridare ‘aiuto, aiuto e adesso cosa devo fare?’. Sunny con la tigre era bravissimo» e l’intesa, nel film, si vede.


Brando Quilici
Sunny e Diego