Fino al 2 novembre a Lugano, è la nuova esplorazione di Sonnenstube. Tocca al georgiano Andro Eradze, con racconto di Stella Succi
Sonnenstube continua la sua esplorazione tra arte visiva e narrazione con ‘Fausta’, la mostra personale dell’artista georgiano Andro Eradze, visitabile ogni sabato fino al 2 novembre. Curata da Giada Olivotto e accompagnata dal racconto di Stella Succi, la mostra ci porta a riflettere sul non-umano, esplorando i limiti della percezione umana in un contesto dove l’uomo non è più centrale, spingendoci a rivedere il nostro eterno protagonismo. «La scelta del nome Fausta è direttamente collegata alla programmazione 2025 di Sonnenstube», spiega Giada Olivotto, curatrice della mostra. «Quest’anno volevamo esplorare l’ambito letterario e immaginifico attraverso racconti, coinvolgendo scrittori e scrittrici. Tutte le mostre portano nomi di persone, che sono stati consegnati agli autori come spunto per creare i racconti che accompagnano le esposizioni».
Eradze, classe 1993, si è già ritagliato un posto di tutto rispetto nell’ambiente artistico internazionale, con la sua presenza alla Biennale di Venezia e al New Museum di New York. Eppure, non si può dire che il suo lavoro si pieghi facilmente alle letture superficiali. «Abbiamo scoperto Andro alla Biennale del 2022», ricorda Olivotto. «In quell’anno ha vinto un premio molto importante con ‘Raised in the Dust’, il video che verrà esposto anche a Sonnenstube. Abbiamo visto il suo lavoro e ci è piaciuto tantissimo, quindi quest’anno abbiamo colto l’occasione per invitarlo. Era imperdibile poter collaborare con questo artista georgiano». Il suo ‘Raised in the Dust’ è una meditazione visiva sul liminale, dove fuochi d'artificio illuminano animali imbalsamati, creando un cortocircuito tra vita e morte, tra naturale e artificiale. Questa poetica dell’ambiguità pervade tutta la mostra, che si sviluppa attraverso una serie di video che Eradze ha realizzato nel corso degli anni. «La sua videocamera segue situazioni che vanno dai fuochi d’artificio a un falò fumante, da una foresta tempestosa a un campo da calcio allagato», racconta Olivotto. «Il tutto è accompagnato da colonne sonore trascendenti. I suoi video possono sembrare una compilation di momenti di transizione, di lungometraggi che lasciano nello spettatore un senso di attesa». Come se qualcosa stesse per accadere, ma non fosse nostro il compito di capirlo.
Sonnenstube presenta tre video di Eradze, tra cui il già citato ‘Raised in the Dust’ e due video più corti che riflettono sul periodo pre e post-Covid a Tbilisi, con un’attenzione particolare ai cani randagi. «La sua lente cattura frammenti di vita quotidiana, come fuochi d’artificio che illuminano animali imbalsamati all’interno di paesaggi naturali», spiega la curatrice. «Le opere sono allo stesso tempo fataliste e cariche di una mitologia animale che risuona con un certo senso di inevitabilità».
A fianco delle opere visive, il racconto di Stella Succi offre una narrazione parallela, non una spiegazione. Non c’è la pretesa di dare una risposta interpretativa all'arte, piuttosto, funge da espansione immaginativa dell’universo di Fausta e amplia il terreno di gioco. «Quello che esce da questa intersezione tra arte e letteratura sono nuove chiavi di lettura», riflette Olivotto. L’approccio multidisciplinare di Sonnenstube, che ha caratterizzato anche le precedenti mostre, come Gaudenzia, Alde e Orestina, continua qui con Fausta, esplorando le infinite possibilità di dialogo tra parola e immagine.
Con ‘Fausta’, Eradze sembra suggerire che l'universo non ha bisogno di noi per funzionare. Non ci sono distopie da fine del mondo o monologhi angosciati sul cambiamento climatico. Il mondo va avanti, che lo guardiamo o meno. In un certo senso, il suo lavoro ricorda quello di artisti come Pierre Huyghe, con la loro capacità di far dialogare il mondo naturale e quello artificiale, o di creare narrazioni in cui l'umano è solo uno degli attori, non il protagonista principale. Questo tipo di animismo non ha nulla di nostalgico o di utopico, ma piuttosto sfida il nostro bisogno di centralità. C’è quindi un messaggio nascosto tra gli animali imbalsamati e le piante rigogliose: è che potremmo anche prenderci una pausa dall'essere sempre al centro del discorso.