Dopo oltre vent’anni di intensa attività artistica in Brasile, fino al 6 ottobre allo Spazio Maillet di Verscio, nel rinato atelier del padre Leo
Formatosi allo Csia di Lugano e come incisore presso lo studio del padre Leo, già allievo di Beckmann, Daniel Maillet (1956) si è poi diplomato nel 1988 all’Accademia di Brera sviluppando soprattutto l’arte del ritratto nel solco della tradizione rinascimentale. Da quel momento le due anime convivono in lui: le radici dell’espressionismo nordico che approda poi nella Nuova Oggettività e l’osservazione del vero, la ricerca sul corpo umano, l’arte del ritratto di ascendenza rinascimentale, soprattutto di certi grandi maestri fiorentini tra Quattro e Cinquecento. Ne parla in un suo scritto facendo illuminanti rinvii ad artisti cui ha senza dubbio guardato con interesse: “La mia pittura rivela un tratto secco e preciso, da incisore, dovuto anche alle mie origini paterne. In questo senso mi sento affine al realismo, crudo e senza abbellimenti del moderno come in Christian Schad o al disegno fiorentino del 400 e 500, di un Pollaiolo o di un Bronzino”. Fin dai suoi esordi, infatti, oltre all’incisione o la puntasecca, egli ha privilegiato il disegno con cui ritrae dal vero e a grandezza naturale personaggi anche noti ma decontestualizzati, su ampi fondi bianchi. Ci si sente dietro l’intenzione di riconnettersi con l’alta tradizione dei maestri ma non per copiarla, bensì per riposizionarla criticamente nel tempo presente, riattivando quel filo spezzato dalle avanguardie che ci legava al passato.
Da allora sono trascorsi una quarantina d’anni, metà dei quali vissuti tra Milano e il Ticino, gli ultimi ventidue in Brasile. La mostra ne dà conto a schegge esponendo in una sala alcune opere esemplari della sua produzione europea, nella successiva quella realizzata in Brasile caratterizzata soprattutto da tre elementi: l’esplosione della luce e del colore nelle pitture di paesaggi tropicali rispetto al disegno in bianco e nero che dominava nella prima parte; l’incontro con altri popoli che ritrae in dipinti e sculture dove dà corpo alla nobile fierezza della gente afro-brasiliana e asiatica; l’innovativo passaggio dalla bidimensionalità del quadro alla tridimensionalità della scultura.
Se ne deve concludere che dell’artista rinascimentale egli non conserva solo le forme ravvisabili nell’osservazione dal vero, in particolare nel corpo umano e nel ritratto, ma anche il bisogno della sperimentazione e della variazione. Come si vede nelle due sale: nella prima, nella serie dei grandi nudi femminili, in quel suo girare attorno a uno stesso corpo per prenderlo da prospettive e scorciature diverse; oppure nel mantenere inalterato il disegno, ma per declinarlo poi in soluzioni formali diverse come ben si vede nella serie dei doppi ritratti (tra cui lo scultore Brüderlin) prima a disegno in bianco e nero e poi in serigrafie a colore su lastre di metallo termolaccate in carrozzeria. Ma la cosa si fa ancor più marcata nella sala successiva dove esplode il colore e si rivela l’innovazione nella sua scultura.
‘Ninfa II’ - Cunha 2009 - Scultura in grandezza reale. Cottura in forno a Gas a 1280 gradi Celsius
“Ci sono artisti che, una volta trovato il proprio stile, si limitano a produrre” – scrive Maillet. “Io, invece, sono di quelli che si stufano, sempre alla ricerca di nuove sfide e così, per complicarmi la vita, ho conosciuto l’alta temperatura, ma questo richiede un forno speciale in ceramica e soprattutto un terreno per poterlo costruire”. Ciò che ha fatto in Brasile, realizzando poi sculture – ritratti o figure umane anche a grandezza naturale – in terracotta o gres lavorate e cotte grazie agli insegnamenti e alla frequentazione dei grandi maestri giapponesi che lì operano, specialisti nella cottura ad altissima temperatura (1’300°). A questo punto il fuoco porta i minerali alla sinterizzazione e cioè alla fusione dei granuli e delle molecole tanto da creare alchemicamente una sorta di blocco granitico di estrema compattezza simile alle rocce metamorfiche e magmatiche. A quel punto il forno diventa un vulcano difficilissimo da governare se non si ha pratica sufficiente per evitare che l’eccesso di calore porti allo scioglimento dell’opera. Qui Estremo Oriente, Sud America ed Europa si incontrano: desiderio di Maillet sarebbe di poter far conoscere e diffondere tale metodo di cottura anche alle nostre latitudini.
L’altra novità è l’utilizzo di colori fosforescenti e fluorescenti nelle sue pitture, anche di grande formato, in aggiunta agli acrilici di base. Uno stesso dipinto può allora esser visto in modalità assai diverse come nel caso del suo grande polittico sulla foresta tropicale: alla luce naturale del giorno oppure al buio, quando si spengono le luci di casa e il quadro di colpo si fa notturno e misterioso perché il fosforo assorbe la luce che rilascia poi a poco a poco, e infine nell’esplosione surreale dei colori fluorescenti colpiti dalla luce nera. È l’uno e il molteplice nello stesso oggetto. In definitiva Maillet non si è mai adagiato in alcuna forma acquisita, ha sempre esplorato strade nuove o complementari, incrociando l’antico con il moderno anche tecnologico, il lavoro nell’atelier e la natura. “In Brasile – scriveva – ho acquistato un lembo di terra lontana dal trambusto urbano e immersa nel silenzio profondo nella natura, tanto che sembra di sentire il rombo della terra; il piccolo e l’immenso si approssimano, l’ambiente si armonizza, cuore e ragione si uniscono, si sciolgono i contrari e mi accorgo quanto la maggior parte delle persone sia lontana dalla fonte che ci ha creato”.
‘Mohamed Hussen e Federica Rovati’ - Grafite 3B e matita grassa colorata su CM 1 carta patinata opaca 240 g/m³ cm 176 x 240 cm Agosto 1987, Verscio, Ticino, Svizzera