Scomparso per un linfoma nella sua casa di Greenwich Village a Manhattan, a 87 anni, Frank Stella: ‘Ciò che vedi è ciò che vedi’ la sua massima
Le operazioni alla schiena, al ginocchio, all’anca negli ultimi anni ne avevano limitato la mobilità, non però lo spirito dei vent'anni che lo portava a cimentarsi da ottuagenario con l'irrefrenabile creatività che aveva dentro.
Poliedrico e celebre per non aver mai voluto interpretare i suoi lavori, Frank Stella, che traghettò l'arte americana del periodo postbellico dall'espressionismo astratto al minimalismo, è morto per un linfoma a 87 anni nella sua casa di Greenwich Village a Manhattan.
Fedele alla massima di "ciò che vedi è ciò che vedi" e alla convinzione che un quadro fosse "una superficie piatta con sopra pittura, niente di più", Stella non si era tradito neanche quando nel 2015 il Whitney gli aveva dedicato la retrospettiva inaugurale dopo il trasferimento sulla High Line.
C'era da raccontare una carriera di sei decenni, una produzione vastissima di oltre 3'000 opere in perenne reinvenzione, a partire dalle monumentali simmetrie e i Black Paintings della fine degli anni Cinquanta, poi la partecipazione al padiglione americano alla Biennale di Venezia del 1965, l'unico minimalista in una passerella di star della pop art da Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine e Claes Oldenburg.
Esposta per la prima volta da Leo Castelli nel 1967, la serie Protactor ispirata da un goniometro – 100 dipinti monumentali con semicerchi sovrapposti di colori fluorescenti intitolati ciascuno a città circolari visitate in Medioriente – lo rese "un dio del mondo dell'arte" sulla scala di un Bob Dylan per la musica o Andy Warhol, come scrisse più tardi il New Yorker. Nel 1970, ad appena 33 anni, Stella fu il più giovane artista a meritare una retrospettiva al MoMA.
I dipinti-scultura degli anni 70 e 80 – appassionato di corse automobilistiche, nel 1976 aveva dipinto una Bmw in gara a Le Mans da cui era nata la serie The Circuits del decennio successivo – avevano poi aperto la strada alle grandi commissioni di arte pubblica come i murali per la Gas Company Tower di Los Angeles del 1991.
Nel 1982 un soggiorno all'American Academy a Roma lo aveva portato a studiare Caravaggio: "La pittura del 20esimo secolo potrebbe imparare molto da lui", aveva detto due anni dopo in una conferenza ad Harvard. Quell'anno, proprio ad Harvard, Stella aveva conosciuto Italo Calvino: la serie Cones and Pillars – Giufà e la Statua di Gesso, Lo Sciocco Senza Paura, Corpo Senza l'Anima – prese a prestito i titoli dalle Fiabe Italiane.
Italo-americano middle class del Massachusetts – il padre, un ginecologo di origine siracusana che aveva imbiancato case durante la Grande Depressione, calabrese la madre Constance, pittrice dilettante – Stella era cresciuto in mezzo alla pittura.
Un artista che continuamente riscriveva le regole, sperimentando e reinventando sé stesso, Frank "annusava" le tendenze, come negli anni Sessanta, per la serie Benjamin Moore, che prese il nome di una celebre marca di pittura da interni, un decennio dopo coi colori della disco-music che ne ispirarono la tavolozza, poi, negli Ottanta i graffiti, più di recente con le nuove tecnologie da cui erano nate intricate creazioni di metallo e lattice generate dal computer e gigantesche stelle monocrome, una delle quali nel 2021 è stata installata davanti al n. 7 del World Trade Center.