Tra ‘Ombre’, estro/introflessioni e metronomi, la prima retrospettiva svizzera dedicata all’artista italiano, dal 24 marzo al 7 luglio
Nel collocare temporalmente l’esperienza degli artisti può essere di conforto fare riferimento di tanto in tanto ad ambiti storici che non siano il fuggire dall’una o dall’altra guerra. Nel presentare la retrospettiva su Enrico Castellani al Museo d’arte Mendrisio (24 marzo-7 luglio), curata insieme a Francesca Bernasconi, Federico Sardella e organizzata in collaborazione con la fondazione che porta il nome dell’artista, la direttrice del Museo Barbara Paltenghi Malacrida chiama in causa la musica ed è un bel sentire. Del suo dialogo stretto con essa, nella stagione ultima della sua carriera, di Castellani scrive più approfonditamente Paolo Bolpagni nel catalogo edito da Casagrande, la cui copertina ‘cita’ la ricerca di estrarre ombra dalla luce che fu propria del pittore italiano; a Mendrisio poi, testimonianza ancor più diretta è quel ‘Muro del tempo’ concepito dall’artista nel 1968, otto (a volte sette) metronomi con bpm diversi ma azionati nello stesso momento, per “una sorta di annullamento del tempo, o di presa di coscienza del suo carattere relativistico” (Bolpagni).
Del tempo storico di Castellani si fa invece tramite Paltenghi Malacrida, identificando nel 1959, l’anno di realizzazione della ‘Superficie nera’ (acrilico su tela esposto nella prima sala), un momento rivoluzionario non soltanto per le arti visive: è il 1959 di ‘Kind Of Blue’ di Miles Davis, di ‘Time Out’ del Dave Brubeck Quartet e di ‘The Shape Of Jazz To Come’ di Ornette Coleman, un guardare alla musica in modo differente, nella libertà che solo l’improvvisazione regala. E mentre John Cage, la musica, già l’aveva liberata dalla gabbia del pentagramma, in Castellani quel cercare l’ombra sulla tela senza usare il disegno è simile a quanto lo sperimentatore statunitense fa con il silenzio in ‘4’33’’’, opera del 1952 nella quale si ascolta tutto tranne le note. “Mentre New York sostituiva Parigi nel ruolo di capitale dell’arte, a Milano – commenta la direttrice – la tela per Enrico Castellani poteva essere qualcosa di diverso, da sfilacciare, piegare, gonfiare, plasmare, senza più l’obbligo di rappresentare il reale”. Dopo lo spazialismo di Fontana, uno al quale la tela già stava stretta dieci anni prima.
Enrico Castellani Estate
Superficie nera, 1959 - Acrilico su tela 40 × 50 cm
Enrico Castellani (1930-2017) nasce a Castelmassa, in provincia di Rovigo, e muore a Celleno, nel Viterbese, dopo una vita dedicata a lavorare sul concetto di spazio e di tempo e relativa rappresentazione. Nel 1952 si trasferisce in Belgio, dove lascia l’Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles per laurearsi, quattro anni più tardi, in architettura a La Cambre. Poi torna in Italia e incontra Piero Manzoni, con il quale fonda la rivista ‘Azimuth’ e l’omonima galleria. A partire dalla fine degli anni 50, le tele monocrome la cui superficie viene alterata armonicamente da estroflessioni e introflessioni sequenziate attirano l’attenzione del MoMA di New York e della Biennale di Venezia, divenendo poi presenze regolari in mostre nazionali e internazionali. Nel 2010 a Tokyo, l’artista italiano ritira il Praemium Imperiale per la pittura, il Nobel dell’Arte, a suggello della straordinaria carriera.
In quella che è la prima retrospettiva di Castellani organizzata dopo la sua morte e allo stesso tempo il primo momento espositivo svizzero a lui dedicato, a Mendrisio sono esposti dipinti, superfici a rilievo, opere su carta, installazioni, sculture, stampe; in ordine cronologico, dalle ‘Ombre’ di fine Cinquanta che hanno dato il là alle estroflessioni/introflessioni di cui sopra alle ultime opere in alluminio aeronautico, per una visione non parziale del suo lavoro. Cinque, per voce di Paltenghi Malacrida, gli obiettivi della mostra: raccontare, appunto, l’intera parabola artistica di Castellani; confutare le accuse di monoespressività e monotonia; controbattere “l’inesatta valutazione sulla sua rilevanza storica”, il fatto che al di fuori dei confini italiani egli non occupi una posizione d’eccellenza; svelare, in tal senso, la sua figura a un pubblico non italiano o di lingua italiana; aprire infine all’uomo riservato, “che parlava poco e scriveva ancora meno, ma sapeva bene quel che voleva”.
Enrico Castellani Estate
Superficie bianca, 1973 - Acrilico su tela 180 × 180 cm - Collezione privata, Milano
Federico Sardella è il critico d’arte varesino cui si deve, insieme a Renata Wirz, il Catalogo ragionato di Castellani, sul quale la mostra di Mendrisio si basa. Aveva vent’anni quando ha conosciuto l’artista, era il 2001 dell’esposizione alla Fondazione Prada di Milano, mostra che partiva dalle origini ma non andava oltre il 1970 del cosiddetto ‘Ambiente bianco’. “Il mio primo approccio con la sua opera è stato parziale”, spiega Sardella. “Da allora, nessuna occasione espositiva è mai stata comprensiva di così tante opere” come quella di Mendrisio, nella sensazione “gratificante” che “avrebbe gratificato anche Castellani, perché non tradisce il suo lavoro, le sue intenzioni”. Anche lo spazio strutturale, dice, non è dissimile dal suo studio, più falegnameria che atelier. “È come se qui le opere fossero a casa”. Opere il cui essere sparse per il mondo fa sì che il critico ne veda alcune per la prima volta, aprendo a un momento ulteriore di innamoramento “laico” condiviso con la direttrice: “L’innamoramento si sviluppa approfondendo l’artista”, chiude Paltenghi Malacrida. “In Castellani non sono riuscita a trovare un difetto: sempre pertinente, nessun deragliamento nel suo percorso, un uomo che non ha mai tradito e non si è mai tradito, e che si è ritirato per fare del proprio lavoro una missione”.
Abbiamo iniziato con il jazz ed è con il jazz che chiudiamo, segnalando ‘Una composizione per Castellani’, l’inedito commissionato dal Museo al compositore italiano Carlo Boccadoro: la partitura ‘Il muro del tempo’ sarà eseguita nelle sale dal batterista Jeff Ballard e dal timpanista Lorenzo Malacrida, in prima assoluta, il 27 aprile. Altra arte in campo il 6 luglio con l’esecuzione di ‘Danza per Castellani’, performance inserita nell’ambito di ‘Ticino in Danza’.
Schauwerk Sindelfingen/Enrico Castellani/Collezione Roberto Casamonti, Firenze
Veduta di una sala. Da sinistra: Superficie rossa, 1963 - Acrilico su tela; Superficie rigata bianca e blu, 1963 - Vinavil su tela; Dittico rosso, 1963-1964 - Acrilico su tela