La svolta del pittore svizzero dall'8 ottobre al Masi (sede Lac), paesaggi di confine che sono ‘un’ossessione, una devozione e una passione’
Facendo il verso alla ciclicità delle opere, ‘Thomas Huber – Lago Maggiore’ sorge l’8 ottobre prossimo e tramonta il 28 gennaio dell’anno che verrà. A Lugano, al Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi), sede Lac, sono esposte settanta lavori tra tele di grandi, a volte grandissime dimensioni e acquerelli dell’artista svizzero classe 1955, fresco di transito dalle architetture irreali e dall’onirico in un più rassicurante ‘diario visivo’ di paesaggi legati alla sua giovinezza. Per Huber, zurighese di nascita e berlinese acquisito, galeotta fu la casa acquistata qualche anno fa sul confine italo-svizzero – Cinzago, per la precisione, pressoché equidistante da Brissago e Cannobio – la cui vista ha aperto al ciclo ‘Lago Maggiore’, esposto a Lugano.
Foto: Marlene Burz, © Huber & Skopia
‘Ohne Titel’, 2022 - acquerello e matite su carte
Thomas Huber è figlio di architetti, la madre ha lavorato con Le Corbusier, fa sapere l’artista a chi, al termine della presentazione della mostra, gli chiede le origini di quanto si è appena visto. Perché colori e forme distintivi della sua produzione più ‘architettonica’ si estendono anche alle ambientazioni lacustri di questa serie. Dalla Kunstgewerbeschule di Basilea, alla fine dei Settanta, Huber è volato a Londra, poi all’Accademia di Düsseldorf: è il 1984 quando, nella città tedesca, la partecipazione alla collettiva ‘Von hier aus’ attira su di lui l’attenzione della critica internazionale, aprendo alle esposizioni nei musei più importanti d’Europa.
La svolta, il cambio di paradigma di Huber si colloca a cavallo tra il 2018 e il 2019, per quello che è lo “spartiacque nella parabola biografica e artistica (…) in cui si riorganizzano questioni quali il vecchio e il nuovo, il dentro e il fuori, la lontananza e la vicinanza, la cultura e la natura”, scrive Barbara Alms nel catalogo trilingue che accompagna la mostra. E dunque l’uomo che si era messo “in fuga dalla Svizzera” ritagliandosi ampie parentesi inglesi e tedesche, decide di ritarare la sua distanza dal territorio elvetico. La vista di cui gode da Cinzago ha il lago al centro, le Alpi da una parte e i monti che danno sulla Pianura Padana dall’altra. Qui, “l’ordine è scandito da tratti geografici”, scrive ancora Alms: “Posizione, stagione dell’anno e condizione meteorologica sono parametri che generano infinite possibilità nella rappresentazione di un quadro”.
Il percorso espositivo è stato ideato dallo stesso Huber e organizzato da Ludovica Introini, tramite del cambio di paradigma di cui sopra, calatasi – prima che l’autore in persona conduca i presenti di quadro in quadro – sui due diversi significati dei titoli delle opere: il primo legato al tempo intercorso tra lo schizzo ad acquerello (il Masi al Lac ne ospita all’interno di una stanza, e la stanza è citazione) e il definitivo a olio, distanza che in alcuni casi è nell’ordine degli anni e il titolo può essere una semplice data; il secondo significato è legato alla ciclicità naturale, e il titolo segue cambiamenti meteo, variazioni stagionali, anche di ora in ora, come un alba e un tramonto.
M. Burz
‘1.1.2022’, 2022 - Olio su tela
La parola chiave del progetto è ‘Heimkehr’, opera che riassume – ospitando elementi architettonici e naturali – l’esigenza di cambiare prospettiva, paesaggio, e apre all’intero ciclo che è, parole dell’autore tratte dalle note introduttive alla mostra, “un’ossessione, una devozione e una passione”. Chiediamo a Huber il perché dell’assenza di esseri umani in tutto quanto esposto: «Amo portare persone davanti ai miei dipinti. In questi incontri mi occupo di preparare sedie, panche, quant’altro, ma ognuno è libero di vivere il momento come crede. Io parlo di fianco al dipinto e il mio scopo è sempre quello che durante il mio discorso la gente non resti davanti o nei pressi di esso, ma vi possa entrare. Ho sempre pensato che se dipingessi uno o più individui, il luogo sarebbe occupato, addirittura affollato. Il luogo del dipinto, al contrario, dev’essere libero, perché chi guarda possa entrare a farne parte». Lo stesso intento si applica ai paesaggi, ancor più quelli di grandissima dimensione, caratterizzati dalla quasi totale assenza di insediamenti umani, intesi come strutture, edifici. Fanno eccezione un battello (’27.3.2022’), le luci di Locarno e Brissago nel quasi notturno ‘Abend 2023’. «È vero, non ci sono villaggi, cittadine. Il dipinto, anche da questa distanza, è pronto perché chi guarda lo possa popolare».Musica
Senza l’intervento umano a rompere l’equilibrio, a riempire stanze e luoghi è alla fine solo un profondo e taumaturgico senso di pace, nelle albe e nei tramonti di, a volte, identici scorci in cui l’ora del giorno è comprensibile soltanto guardando alla provenienza della luce, nell’inganno perenne della cosiddetta ‘magic’, quel momento del giorno caro ai fotografi che potrebbe essere mattina prestissimo o verso l’imbrunire. E in Huber la pace chiama la musica, l’effetto emolliente di un suono, o di una voce.
Gli facciamo il nome di James Taylor, lui ci risponde «Ennio Morricone»; indica ‘Le soir’, completato nel 2022, iniziato due anni prima, e dice: «Era il 2020, annunciarono la morte del Maestro. Ricordo di aver dipinto tutto il giorno con la sua musica nelle orecchie» (www.masilugano.ch).
Foto: Julien Gremaud © Huber & Skopia
‘Heimkehr’, 2021 - olio su tela