Era la Pasqua del 1960. Fino al 5 novembre 2023, alla Fondazione Marguerite Arp, una mostra ricostruisce il pellegrinaggio storico-culturale della coppia
La breve ma intensa mostra allestita nel nuovo spazio espositivo della Fondazione Marguerite Arp, a Locarno, racconta la storia di un viaggio che i coniugi Arp hanno intrapreso nel Vicino Oriente in occasione della Pasqua del 1960. La meta non è casuale come lascia intendere un voluminoso album di fotografie e ricordi conservato presso la Fondazione che porta come titolo ‘Pasqua in Terrasanta’. Si tratta di un viaggio storico-culturale, guidato dallo storico dell’arte basilese Robert Stoll, alla scoperta del patrimonio artistico e culturale del Vicino Oriente. Il gruppo di cui essi fanno parte si reca dapprima al Cairo e a Giza, dove visita il Museo Egizio, le piramidi, la Sfinge e numerosi altri monumenti, quindi a Menfi e Saqqara. Si sposta quindi a Gerusalemme per partecipare alle celebrazioni della Pasqua. Il che non può che sollecitare la questione della complessa relazione che Jean Arp aveva sia nei confronti della dimensione spirituale dell’uomo sia dei rapporti con la fede cristiana e della Chiesa in quanto istituzione. Il tutto si connota inoltre come una sorta di pellegrinaggio, realizzato da un uomo in tarda età, quando la sua fibra già dava segni di cedimento, sui luoghi e nelle città all’origine della nostra storia civile e religiosa: come testimonia quella bellissima foto che lo ritrae pensieroso seduto davanti alla grande Sfinge. Poi, il 24 aprile il gruppo rientra in Svizzera.
Non così Jean e Marguerite che hanno già programmato di restare in Israele per ricongiungersi con il vecchio amico Marcel Janco, artista di origini rumene e tra i fondatori del movimento Dada a Zurigo nel 1916 con Arp, Tzara, Ball, Hennings e Huelsenbeck. Nel 1941, per sottrarsi ai nazisti, egli era fuggito in Palestina dove si è poi stabilito contribuendo, nel 1948, alla nascita di un moderno indirizzo artistico con il Gruppo Nuovi Orizzonti. La cosa si rafforza nel 1953 quando egli fonda il Villaggio degli artisti di Ein Hod, sulle pendici del monte Carmelo, nei pressi di Haifa, e riprende contatto con alcuni amici artisti del periodo Dada: tra questi, appunto, Jean Arp che adesso gli rende visita con Marguerite. E qui è anzitutto il piacere di ritrovarsi tra vecchi amici Dada a distanza di quarant’anni e più; anni lontani ma richiamati in mostra – sulla prima grande parete – da preziose testimonianze artistiche di un’epoca che di colpo sembra rifiorire durante i giorni trascorsi insieme. Fin qui la storia; la domanda è perché e come quell’incontro con Janco e i suoi collaboratori abbia un suo spessore e significato nella storia artistica dell’artista alsaziano.
Fondazione Arp
Hans/Jean Arp - Petit sphinx (Piccola sfinge), 1942 - Bronzo 4/5, 19 × 41 × 11 cm
Prima di rispondere a tale interrogativo è opportuno spendere due parole sulla tipologia delle mostre e dei cataloghi che da tempo in qua la Fondazione offre ai suoi visitatori per evidenziarne il taglio e quanto li precede. Anche questa, infatti, al pari di altre mostre già viste alla Fondazione, non è una rassegna di taglio storico-estetico mirante a far vedere il meglio della produzione arpiana, ma una mostra di studio che aggiunge un tassello per una conoscenza più completa dell’artista Arp. Quanto vi si vede o legge in mostra, le opere che vi sono esposte, la sua stessa disposizione è infatti frutto di accertamenti e ricerche che muovono dalle carte e dai documenti conservati nel ricco archivio della Fondazione stessa, e mirano ad aggiungere elementi di novità o a confermare aspetti singolari della poetica di Arp. Si tratta insomma di una mostra di studio, ma che è anche di vita e di pensiero… non priva di opere sorprendenti, ma che soprattutto conferma alcune caratteristiche del modo di concepire e di fare arte da parte di Arp.
La prima delle quali, ancora una volta, è la profonda coesione e unità, sia di forme sia di pensiero, che attraversa e unifica la poetica di Arp nel susseguirsi del tempo, per cui le sue opere sono tutte coesistenti e vive al di là dell’usura del tempo ed egli può sempre riattingere a un repertorio di immagini o rilievi o sculture coesistenti dentro di lui e riattivarli, riportarli nel flusso della vita. Ma c’è anche dell’altro. Da creativo qual è, sempre curioso di cimentarsi con il nuovo e di sperimentare tecniche non ancora praticate, nonostante fosse ormai riconosciuto come uno dei maggiori artisti del suo tempo (aveva vinto il primo premio alla Biennale di Venezia del 1954, tenuto la grande retrospettiva al Moma di New York del 1958, ricevuto importanti committenze da enti pubblici quali l’Università di Caracas nel 1956, il Palazzo dell’Unesco di Parigi nel 1957), Arp non esita infatti a frequentare gli atelier di tessitura e di ceramica, di lavorazione dei metalli e di oreficeria quale allievo dei maestri artigiani che vi operano. Questo è un altro aspetto di notevole conferma non solo dell’innata umiltà di Arp, ma anche del suo concetto di arte totale e di collaborazione interdisciplinare non solo tra le arti ma anche tra artisti e maestri artigiani o semplici scalpellini – senza distinzioni o gerarchie –, come dimostra a più riprese la sua storia artistica, non ultima quella concernente gli ultimi suoi anni di creazione presso gli atelier di Remo Rossi a Locarno. Nascono così le sue prime creazioni di gioielli in argento (più tardi anche in oro) per le quali egli riattinge al repertorio delle sue opere precedenti ma approdando pure a soluzioni assai originali. Per queste ragioni l’incontro con Janco e la realtà di Ein Hod, capitolo indubbiamente interessante, ma a oggi ancora tutto sommato sconosciuto all’interno della produzione artistica arpiana.
R. Pellegrini
Hans/Jean Arp, Aviva Margalit Mambush - Le prophète, 1960 - Keramikrelief, 56.5 × 42.5 cm