Trecento capolavori della Graphische Sammlung, collezione d'arte del Politecnico di Zurigo, in mostra al Masi sede Lac, dal 10 settembre al 7 gennaio
Trecento pezzi di fronte a un corpus di 160mila, sintesi di seicento anni di Storia dell’arte, chiamano una prima, ansiotica curiosità su cosa sia rimasto nei cassetti a Zurigo, ancor più se la selezione d’immagini a uso stampa variamente monocromatica, che ci permette di mostrare in questa pagina un minimo di cotanta ricchezza, lascia fuori – il parere è personalissimo – il meglio del Rembrandt esposto in sala, non contempla il Picasso dal segno quasi primitivo del Salto con la Garrocha, è pudica verso Die Jungfrau di Egon Schiele – preferendole la più casta Sitzende Frau, vestita e vista da tergo. A garantire che il Masi extra muros al Lac pulsi emotivamente più di quanto si possa dire su questo foglio di carta, viene in soccorso lo splendido catalogo in tre lingue edito da Scheidegger&Spiess ed Edizioni Casagrande, oggetto artistico a sé con doppia copertina, la prima trasparente a fondere il Rinoceronte di Dürer con la crema di funghi di Warhol che, logisticamente, chiude una esposizione iniziata alla fine del XV secolo e che va ben oltre il 1968 della Campbell’s Soup.
‘Da Albrecth Dürer a Andy Warhol – Capolavori dalla Graphische Sammlung Eth Zürich’, dal 10 settembre fino al 7 gennaio 2024 al Museo d’arte della Svizzera italiana, Sede Lac, è mostra scaturita dalle scelte della curatrice Linda Schädler, che della Graphische Sammlung è direttrice. “È una selezione frutto della mia concezione, non interamente soggettiva, non interamente oggettiva”, annuncia nel breve momento pubblico che ha visto, poco prima di lei, il direttore del Masi Tobia Bezzola parlare di ‘Tesoro nascosto’. “Da tempo – ha proseguito la curatrice – stiamo portando la collezione, che continua ad arricchirsi, a un pubblico più ampio. Qui, diversamente che a Zurigo, dove disponiamo della metà dello spazio che le sale del Lac ci offrono, possiamo realizzare pienamente il nostro percorso nei secoli”. Brevi cenni storici seguono.
Graphische Sammlung Eth Zürich
Rembrandt van Rijn, Autoritratto con Saskia (1636)
La Graphische Sammlung del Politecnico di Zurigo è collezione per caso. Nasce un secolo e mezzo fa con l’intento di essere collezione di studio, dagli scopi puramente didattici, fino alla ‘visione’ del suo fondatore, Gottfried Kinkel, professore di Storia dell’arte e archeologia all’Eth, lapalissianamente convinto che “il docente d’arte moderna ha bisogno di un gran numero d’illustrazioni, giacché a tutte le opere d’arte figurativa ci accostiamo più con l’occhio che con l’orecchio”. Da cui il suo impegno nel discutere di fondi. Un sussulto, agli albori del Novecento, viene con il lascito del banchiere zurighese Heinrich Schulthess-von Meis, prodigo di 12mila antiche stampe, decisivo per le trasformazione della collezione universitaria in collezione d’arte. Oggi la Graphische Sammlung funge da sintesi della storia della stampa, dalla xilografia al digitale, e a differenza di molte realtà museali si fa forza del suo appartenere a un’università, garante del confronto tra arte e ricerca scientifica.
Arianna Quaglio si è occupata dello sviluppo del progetto per il Masi. «È vero, a fatica si riesce a scegliere tra un quantitativo di opere grafiche così elevato, di certo qualche capolavoro sarà rimasto fuori. Il Masi non ha interferito nella scelta della curatrice, anzi, ha chiesto esplicitamente che fosse lei a selezionare, conoscendo la collezione meglio di noi». Per il Masi si tratta di «un’occasione straordinaria il poter vedere più di trecento opere in una volta sola, ancor più se si pensa che si tratta di una sorta di première. Mai è successo a Zurigo, benché l’attività espositiva sia vasta ed estesa. È la prima volta che più nuclei della stessa collezione vengono esposti in contemporanea, nella stessa sede e nello stesso momento». All’interno del ventaglio di mostre del Masi, l’elemento distintivo è qui rappresentato dalle tecniche specifiche, quelle grafiche: «Oltre ai dipiniti, alla fotografia, vogliamo mostrare un’altra faccia della Storia dell’arte».
Succession Picasso
Pablo Picasso, Femme au corsage à fleurs (1958)
All’insegna dello ‘stile Pietroburgo’, ‘Ermitage’, il viaggio da Dürer a Warhol si apre con ampia offerta di autoritratti d’artista a occupare l’intera parete di fronte all’ingresso. Su supporti diversi, con tecniche diverse, tra gli altri, si dipingono Rembrandt insieme alla moglia Saskia o si fotografano Lüthi e Fischli/Weiss. La mostra inaugura il suo percorso in nome della cosiddetta ‘incisione di traduzione’, la modalità con la quale in epoca non fotografica la riproduzione delle opere d’arte rappresentava l’unico mezzo per portarle a conoscenza di un più vasto pubblico. Sempre in questa prima sezione, denominata stanno il suddetto rinoceronte (Dürer ne ritrasse uno dal vivo a Lisbona, evento eccezionale per il 1515 in Europa) ma anche l’ampia documentazione naturalistica di Maria Sibylla Merian, dallo stretto legame con gli insetti. Così come Dürer, Rembrandt, con affascinanti giochi di luci e ombre, è il protagonista della stanza dedicata a Heinrich Schulthess-von Meis, l’autore della ‘Donazione importante’, titolo della sezione; quello del Canaletto (Giovanni Antonio Canal) oggi si chiamerebbe iperrealismo, e domina la sezione dedicata alle forme di collezionismo, che nel caso del Canaletto, equivalevano a scattare una fotografia nel luogo visitato.
Graphische Sammlung Eth Zürich
Egon Schiele, ‘Sitzende Frau, Rückenansicht’ (1917/
Un ‘Focus Switzerland’ apre una generosa parentesi dedicata alle opere della Grapische Sammlung legate alla Svizzera, con le Alpi di Escher Von Der Linth e Caspar Wolf più o meno onnipresenti, eccezion fatta per le Pecore a riposo nella stalla di Rudolf Koller. Siamo a un passo dal XIX secolo, momento di sviluppo delle tecniche di stampa e di comparsa della fotografia, che portano nuovi concetti come l’edizione limitata, di cui le xilografie di Félix Vallotton, dalle matrici frantumate e stampate su foglio aggiuntivo per testimoniare all’acquirente la certezza dell’unicità di quanto appena acquistato, sono l’esempio. La stanza dei disegni a mano libera regala una Angoscia di Edvard Munch e l’autoritratto; con quella dei Grandi formati siamo negli anni ’60, momento di definizione dei nuovi standard. Warhol, che non è solo piselli, ma anche sedie elettriche, apre alle nuove tendenze, che la mostra – parlando di digitale – identifica in Vera Molnar, che prima di sviluppare insieme al marito il programma ‘Molnart’, aveva prodotto ipnotiche ‘Lettere di mia madre’, esposte in numero di sei. Quanto alle trottole di David Weiss, alle pistole di Sylvie Fleury, all'indagine fotografica di Shirana Shahbazi, quanto a Goya, Degas, Botta, Le Corbusier, Piranesi – guadagnando l'uscita – è il percorso a ritroso di quel che non si è detto (e non scappa, fino al 7 gennaio).
Graphische Sammlung Eth Zürich
Edvard Munch, Angstgefühl (Angoscia) - 1896