Umanità e talento fotografico erano propri del fotoreporter milanese, di fama internazionale, cui Palazzo Reale di Milano dedica una retrospettiva
“Se ho scelto di fare il fotografo e non il giornalista è per pigrizia: chi scrive deve faticare di più”. Mario Dondero la sapeva lunga (il virgolettato è tratto da un’intervista pubblicata su www.ilreportage.eu) e ha scelta una Leica come compagna di vita. A lui, fotoreporter italiano di fama internazionale, è dedicata un’ampia retrospettiva, con ingresso gratuito, a Palazzo Reale di Milano, nelle stanze dell’Appartamento dei Principi. Intitolata ‘Mario Dondero. La libertà e l’impegno’, l’esposizione curata da Raffaella Perna – visitabile fino al prossimo 6 settembre e accompagnata da un catalogo – si propone di raccontare la sua lunga carriera attraverso un centinaio di opere, dagli scatti celebri a quelli inediti.
© Mario Dondero
Ragazzi a Belfast, 1968
A questo scopo, il criterio installativo è al contempo cronologico e tematico: a ciascuna delle dieci sale è dedicata una tappa del lungo viaggio, oltre sessant’anni, di Dondero nella fotografia. Un periplo dalle prime fotografie scattate negli anni Cinquanta arriva fino all’altro ieri. Ciascuna sezione è pensata come una narrazione nella narrazione e, oltre al tempo, attraversa anche lo spazio di Dondero che ha letteralmente girato il mondo: dall’Europa all’Africa, dal Continente americano alla Russia, al Medioriente e all’Oriente.
Di là della cartografia, il fotografo, animato da una grande curiosità verso l’altro, è andato alla scoperta di una vasta umanità raccontando attraverso reportage in bianco e nero (“il colore della verità”, ebbe a dire) pubblicati su innumerevoli quotidiani e periodici (fra cui ‘Avanti’, ‘l’Unità’, ‘Milano Sera’, ‘Le Ore’, ‘Le monde’, ‘France Observateur’, ‘L’Express’, ‘L’Humanité Dimanche’; ‘il Manifesto’, ‘Diario’) raccontando fenomeni sociali che hanno caratterizzato i suoi tempi, quindi la migrazione interna italiana, il processo di alfabetizzazione, il lavoro rurale e le manifestazioni sociali e sindacali. Insomma la strada, “il grande teatro della vita”. Insieme a tanta gente comune, Dondero ha anche ritratto personalità intellettuali e del mondo dello spettacolo, in Italia come all’estero, fra cui Pier Paolo Pasolini, Laura Betti (attrice, regista e cantante italiana), Carla Fracci, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Vittorio Gassman, Samuel Beckett, Francis Bacon, tanto per citarne alcuni. Ha immortalato anche i grandi avvenimenti politici internazionali.
Ancora prima del giornalista, voleva fare il marinaio; ma poi Dondero è inciampato nella fotografia, diventata il suo mestiere ispirato fortemente dal lavoro, dall’umanità e dall’indole di Robert Capa. Nato il 6 maggio del 1928 a Milano, Dondero è appena sedicenne quando si unisce alla lotta partigiana nella Repubblica dell’Ossola, partecipando alla liberazione della sua città natia, è pleonastico scriverlo, il 25 aprile 1945. A Milano, nel quartiere di Brera, bazzica al Bar Giamaica – luogo di ritrovo di intellettuali, letterati, artisti, politici e gente di spettacolo –, mentre lavora già come fotogiornalista per diverse testate.
A metà anni Cinquanta si trasferisce a Parigi, città d’elezione, dove – sempre mosso dalla curiosità per la vita e le faccende umane – documenta la realtà parigina, dai movimenti sociali del Sessantotto alla politica. Di quel periodo, diventa celebre lo scatto che ritrae gli esponenti del Nouveau Roman (1959) con penne della caratura di Samuel Beckett, davanti alle Éditions de Minuit.
A inizio anni Sessanta, il fotografo torna per una manciata di anni in Italia, stabilendosi a Roma e documenta quello che si dice “il bel mondo”. Tornerà a Parigi, dove, a conti fatti, vivrà per circa tre decenni, ma viaggerà anche in tanti Paesi del mondo, lo si scriveva qualche riga più su: le sue foto e i suoi reportage raccontano Portogallo, Spagna, Inghilterra, Irlanda, Algeria (celebri gli scatti dei prigionieri della guerra algero-marocchina), Francia (i moti del Sessantotto, l’occupazione della Sorbona, delle fabbriche), Mali, Senegal, Guinea-Bissau, Cambogia, Germania (la caduta del Muro nell’Ottantanove), Brasile, Cuba, Russia e Afghanistan (realizzando reportage da Kabul e negli ospedali di Emergency). Alla metà degli anni Ottanta risalgono le mostre personali, sia in Italia, sia all’estero.
Dondero è morto a Fermo, nelle Marche (dove si era stabilito negli anni Novanta e dove oggi c’è il suo archivio), il 13 dicembre 2015, a 87 anni. Quell’anno, esce il documentario ‘Calma e gesso - in viaggio con Mario Dondero’ del regista e antropologo Marco Cruciani che per cinque anni ha spesso viaggiato al fianco del fotografo.
© Mario Dondero
L’uomo che voleva raggiungere la luna, Festa del Maggio, Accettura, Lucania, 1994
“Il fotografo non è un operatore neutro, è qualcuno che guarda la realtà con le sue passioni e con i suoi sentimenti, anche con il suo amore per gli altri e con la sua indignazione” (da: ‘Calma e gesso’).
Ogni sua foto è legata a una storia. E il fotogiornalista è stato testimone dei passaggi cruciali della storia recente: come per molti suoi colleghi, la fotografia ha rappresentato un mezzo di informazione, per raccontare la realtà e soprattutto la verità. Per lui, lo diciamo con il direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina, “la macchina fotografica è stata il modo – il suo modo – di conoscere la gente, di raccontare la vita con uno stile che non si è mai lasciato irretire da capricci estetizzanti perché lo scopo del fotoreportage, per Dondero, è quello di creare un racconto per immagini il più semplice, diretto e schietto possibile”.
A muoverlo è sempre stata la curiosità verso gli altri: “Penso che un bravo fotografo – si legge in un’intervista – debba possedere una buona cultura generale, leggere tanto, informarsi il più possibile, ma la cosa davvero importante, quella senza la quale tutto il resto vale poco, è che deve amare il mondo”, affermando consapevole che “fotografare è un atto violento”, perché si prevale spesso sulle persone: “Però le mie fotografie raccontano la vita. La ricchezza di questo mestiere è conoscere il mondo; conoscere gli esseri umani”.
© Mario Dondero
Mario Dondero, seconda metà degli anni sessanta
Informazioni: www.palazzorealemilano.it; www.mariodondero.fototecafermo.it.