Il Museo d’arte Mendrisio dedica un’antologica al pittore ticinese che ha nella realtà che lo circonda l’urgenza creativa. Da domenica al 25 giugno
«Avevo quattordici anni. Era il 1955 ed era la prima volta che andavo al mare con i miei genitori, a Camogli, che mi è rimasta nel cuore. Fuori dall’albergo, fra il porticciolo e la chiesa, c’era un pittore che dipingeva. Istintivamente, ero affascinato e desideravo restare lì a osservarlo; a debita distanza per non disturbare. Mi interessava di più guardare lui che andare al mare. Tornati a casa, abitavamo a Bellinzona, senza dirmi nulla, mia madre mi ha comperato cavalletto, scatola di colori e tele… come il pittore di Camogli. Da lì ho iniziato e non ho più smesso».
Ti-Press
Nel suo atelier a Lugano
Sono sessant’anni, anzi qualcosa di più se si considerano quegli esordi in adolescenza, che Cesare Lucchini dipinge. Il suo vivido racconto, seppur sia trascorso tanto tempo, rende il ricordo fresco, come se fosse accaduto pochi giorni fa. Al pittore ticinese, che con il suo lavoro ha travalicato i confini cantonali e nazionali, il Museo d’arte Mendrisio dedica un’esposizione antologica (vale a dire una panoramica della sua produzione dagli inizi fino a oggi) intitolata ‘Cesare Lucchini. La terra trema’. La mostra, curata dalla direttrice del museo Barbara Paltenghi Malacrida, apre la stagione espositiva 2023 e sarà visitabile da domenica 26 marzo a domenica 25 giugno. La vernice si svolgerà sabato prossimo, dalle 17.
Sbrigate le informazioni di servizio, torniamo al racconto dell’artista nato a Bellinzona nel 1941, presente questa mattina alla conferenza stampa, durante la quale gli ho rubato sette minuti. «Nel frattempo – siamo tornati a metà anni Cinquanta; ndr – mi ero iscritto alla scuola di commercio, ma soprattutto dipingevo», tutti i giorni. A quei tempi e in quel contesto di provincia non era scontato poter seguire una formazione nel campo artistico, soprattutto per la concezione che se ne aveva, perché di arte non si campa(va).
Diplomatosi, nel 1961 si iscrive all’Accademia di belle arti di Brera a Milano, con il supporto, non solo economico, di mamma Alice e papà Alessandro. «Nel 1965, finita Brera (con una tesi sull’opera di Nicolas de Staël, ammirato qualche anno prima a Torino; ndr), ho preso lo studio a Milano e per un po’ sono rimasto lì». Il periodo milanese (i luoghi vissuti sono centrali nella crescita espressiva del pittore) è durato una ventina di anni, fino al 1989.
Prima di decidersi per la Germania, «sono partito alla volta di New York con l’idea di trasferirmi lì, avevo anche trovato uno studio. Ci sono stato due volte: la prima, con l’atteggiamento “da turista” ed ero rimasto affascinato dai musei, dalla città e dal suo ritmo». La seconda, a un anno di distanza, era quella buona, ovvero quando avrebbe dovuto cominciare a lavorare, ma «iniziavo ad avere uno sguardo critico rispetto alla vita che si conduceva, scoprendo viepiù l’egoismo e l’atteggiamento di dover avere sempre il coltello fra i denti, che non mi piaceva. Mi sono sentito troppo europeo e mi sono detto: no, qui non ci sto».
Durante il volo di rientro, arrabbiatura a parte, Lucchini decide di cercare un atelier in Germania. Così è stato: va a Düsseldorf e a Colonia (facendo comunque il “pendolare” col Ticino). La Germania «era la nazione con il maggior numero di musei. E io volevo imparare. Ogni giorno ne visitavo uno e alla sera, quando ero a casa, iniziavo a lavorare. Era una forma di diario». In Germania ci starà fino al 2008, quando decide di rientrare e stabilirsi definitivamente a Lugano.
© Cesare Lucchini
Interno-atelier 1978, olio su tela
Lucchini è uomo del suo tempo e i titoli delle sue opere la dicono lunga su ciò che lo anima: dalla crisi climatica e i suoi disastri alla migrazione e i suoi drammi, dalla guerra ai bambini soldato. I drammi dell’umanità e l’attenzione per i marginali trovano spazio su tele di medio e grande formato (una settantina quelle esposte a Mendrisio, fra grandi opere e lavori su carta; soprattutto dell’ultimo periodo). Il titolo di viscontiana memoria ‘La terra trema’ è tratto dal ciclo delle tele più recenti realizzate da Lucchini fra il lockdown e oggi.
La grevità dei soggetti, salta subito all’occhio, entra in contrasto con la leggerezza delle cromie: i toni delicati (fra azzurri e rosa) sono dinamizzati da un «gesto istintivo, seppur calibrato», delinea Paltenghi Malacrida, un tratto che tradisce il coinvolgimento emotivo perché «l’urgenza morale non trova riposo». La luce dipinta da Lucchini presagisce tuttavia un barlume di speranza, in una cupa prospettiva futura dove il vuoto prende spazio e l’essere umano si fa sempre più piccolo. «Lucchini – ha aggiunto lo storico dell’arte Matthias Frehner, che ha curato la retrospettiva sull’artista al Kunstmuseum di Berna nel 2016 – non dipinge per piacere. Dipinge per vivere; per agitare le acque».
L’esposizione intende ripercorrere i capitoli principali della sua produzione – lunga sessant’anni – “dagli esiti post-informali degli anni 60 e 70 all’influenza della pop art per arrivare al confronto con i Neuen Wilden tedeschi”, si legge nella presentazione, in un allestimento trasversale che segue la cronologia ma la rompe con l’aggiunta, in ogni sala, di un’opera tardiva che possa entrare in dialogo con quelle storiche.
© Cesare Lucchini
Il muro 2020, olio su tela
L’antologica è accompagnata da un catalogo monografico di quasi duecento pagine con tre saggi introduttivi scritti dai critici e storici dell’arte Giuseppe Frangi, Matthias Frehner e Barbara Paltenghi Malacrida.
Quello che desidero rappresentare è una situazione di precarietà: non cerco di essere figurativo per descrivere ma esprimere qualcosa che appartiene alla coscienza di tutti. (Cesare Lucchini)
Chiudo con la segnalazione di alcuni appuntamenti collaterali alla mostra, una consuetudine mendrisiense che propone eventi realizzati ad hoc per approfondire la figura di Lucchini, oltre alle visite guidate dedicate ad adulti e bambini. Si inizia quindi domenica 26 marzo, alle 10.30, con la puntata dedicata all’artista ‘Voci dipinte’ trasmessa in diretta da Rete Due dalle sale del museo. Il 10 maggio, alle 20, il Museo ospita la Festa danzante con lo spettacolo coreografico messo a punto da Sophie Claire Annen e Vittoria Caneva.
Il programma completo di queste attività e informazioni circa la mostra sono consultabili al sito www.museomendrisio.ch.