Fino al 16 aprile 2023 l’esposizione sulla figura dello scultore e la vita quotidiana di una famiglia equamente divisa tra Lombardia e terra d’origine
Il Titta è tornato a casa. Una delle due, perché era tanto milanese quanto bleniese di Malvaglia. Nato a Milano nel 1896, lo scultore Battista Ratti detto Titta «è legato alla storia della cultura lombarda ed è cresciuto proprio in questa dimensione. E al contempo – ci spiega Giulio Foletti – è figlio anche di una migrazione di mestiere (il padre aveva un’avviata bottega di verdure in Via Montenapoleone), che ha sempre mantenuto un contatto ben stretto con la realtà della valle e del paese d’origine. E si vede. Una migrazione che in realtà viveva il proprio doppio mondo con molta naturalezza: non staccavano né da uno né dall’altro. Avevano due case, mantenendo lo stesso legame con entrambe».
All’artista di Malvaglia, dove si stabilì definitivamente nella casa paterna della frazione di Crana solamente in tarda età, è dedicata la mostra inaugurata sabato 10 dicembre. Organizzata dalla Fondazione Elisa e Titta Ratti, coincide con tre anniversari: il trentesimo dalla morte dell’artista, il ventesimo dal decesso della sorella Elisa e dalla costituzione della Fondazione, il decimo dall’apertura dell’Atelier.
Dopo quella del 2002 che di Ratti ricostruiva maggiormente l’evoluzione stilistica, l’esposizione attuale – ci illustra il curatore – vuole «mostrare, attraverso il materiale fotografico conservato nell’archivio dell’Atelier e alcuni gessi conservati nei depositi, la figura, l’immagine e il mestiere dello scultore. In altre parole si è voluto evidenziare la vita quotidiana di una famiglia equamente suddivisa tra Milano e Malvaglia e alcuni aspetti della sua personalità. Titta era uno sportivo, gli piacevano lo sci e la montagna. Personaggio decisamente interessante, era una persona affabile e aperta al contatto, pratica ed empatica, amante del buon vivere; anche in un certo tipo di Milano, la vivace Milano della Belle Époque e del primo dopoguerra. Allora si viveva soprattutto di scultura funeraria, anche se non mancavano commissioni dirette (come quella del busto di Brenno Bertoni) e concorsi pubblici (in mostra ci sono i gessi di alcune marmotte, elaborati per un concorso della Confederazione, e una fontana destinata alla piazza d’armi del Monte Ceneri e oggi a Brissago)». L’esposizione mostra inoltre l’abilità tecnica dello scultore, che aveva una solida base artigianale, essendo formato come incisore e avendo praticato la scuola degli orafi, prima di frequentare l’Accademia di belle Arti di Brera, dove era stato allievo prediletto di Ernesto Bazzaro. «Una base artigianale che si nota, in particolare in certi aspetti tecnici come la capacità di modellare, tipica della scuola lombarda».
Il suo lavoro più conosciuto è ‘Il mito di Iris’, bassorilievo che si trova sul Palazzo delle Poste a Lugano. «Per talento, capacità tecniche, fedeltà creativa nel solco della tradizione della cultura lombarda, Titta Ratti è una bella e importante figura nella storia artistica tra la fine della Prima Guerra Mondiale e gli anni Sessanta-Settanta del Novecento».
Oggi ‘il Titta’ non si può dire che sia poco conosciuto. Nella serie di quattro volumi curata da Rudy Chiappini ‘Arte in Ticino 1803-2003’ (Salvioni Editore), la figura del bleniese è presente. «È piuttosto la storia dell’arte del Novecento – riflette Giulio Foletti, già a capo del servizio inventario all’Ufficio cantonale dei beni culturali – che, tutto sommato, è ancora poco frequentata e dovrà essere riscritta compiutamente».
Inaugurato nell’ottobre 2012, dopo un lungo periodo decisionale, l’Atelier è un angolo di arte e cultura nel nucleo di un villaggio valligiano ben distante dal fervore (e dai numeri) delle grandi città. Volutamente non un museo in cui semplicemente depositare gessi e materiali dello scultore, bensì una struttura aperta alle diverse esigenze della regione. Perché anche ‘fuori mano’ si può fare e proporre arte e cultura. «Per quanto, data la sua particolarità, questa sia un’esperienza che possiamo definire a rischio, considero il bilancio di questo primo decennio positivo», afferma Matteo Baggi, dal 2020 presidente della Fondazione Elisa e Titta Ratti. «Quanto svolto prima della pandemia è stato sicuramente proficuo. Dopo un anno e mezzo di pausa forzata abbiamo ricominciato con relativo successo, proponendo una mostra di opere di Pedro Pedrazzini e organizzando corsi di disegno per bambini e adulti. L’attività c’è, dunque».
Attività culturale che, per statuto, è duplice: conservare e catalogare le opere di Ratti («ed è ciò che facciamo»), promuovere l’attività culturale e artistica delle valli superiori del Ticino e dei giovani artisti. «Per cercare di portare avanti questo secondo compito, la Fondazione si prefigge l’obiettivo di organizzare ogni anno un’esposizione di un artista più rinomato e alternativamente ogni anno un’esposizione di un giovane artista (in passato abbiamo promosso il lavoro di Carla Ferriroli e Matilde Beretta) e un’esposizione dedicata ad artisti amatoriali e artigiani, cercando in questo modo di creare un collegamento tra l’arte professionale e quella amatoriale. Queste ultime sono anche le attività che riscuotono il maggiore interesse del pubblico». Già in agenda della Fondazione per l’autunno 2023 c’è la mostra di Lucia Derighetti, «la quale oltre a essere artista-restauratrice affermata, è pure bleniese».
Più corposo è il progetto di recupero della casa della famiglia Ratti, in cui visse Titta. L’edificio in zona Crana è da poco stato acquisito dalla Fondazione, che intende metterlo a disposizione per attività legate all’Atelier.
‘Titta Ratti. Vita, opere, mestiere’ è aperta fino al 16 aprile 2023 le domeniche 8 e 22 gennaio, 5 e 19 febbraio, 5 e 19 marzo, 2 e 16 aprile (ore 14-17). È possibile organizzare visite su appuntamento chiamando il n. 079 604 19 79 o scrivendo a info@ateliertittaratti.ch.