Dalla storia raccontata dall’illustratore Gabriel Pacheco (scoperta per caso), ai suoi lavori, approdando al Paese delle fiabe (che esiste davvero)
Mi chiederai perché un monociclo. Beh, non lo so; fattostà che piuttosto che volare su una scopa di saggina, la Strega pedalava maldestra su una ruota cigolante. Era strana ed eccentrica, soprattutto agli occhi delle altre streghe della comunità, che guardavano alle sue bizzarrie con sospetto e sufficienza, a iniziare da quell’inconsueto e poco pratico mezzo di trasporto. Durante le uscite era sempre l’ultima dello stormo, lo rallentava e col rumore metallico annunciava il suo passaggio. Il silenzio durante le scorribande era sacrosanto: condizione imprescindibile alle faccende di strega.
Una notte d’aria ferma con uno spicchio di Luna appiccicato al cielo livido, il nugolo di fattucchiere partì alla volta del raduno annuale: un viaggio lungo (è noto, le streghe volavano solo nottetempo) e per nulla facile, figuriamoci a cavallo di un trabiccolo come quello. La Strega arrancava e le sue compagne non si prendevano di certo il disturbo di aspettarla. Distratta dal passaggio di un passero, la Strega perse il controllo del monociclo e precipitò rovinosamente in una selva scura: le sue compagne presero la palla al balzo per disfarsi di quella che consideravano un impiastro e continuarono il viaggio senza di lei. La Strega mogia le guardava sparire fra le nuvole e la nebbia. Non era la sola però a osservare quella fuga, anche lo Spaventapasseri seguì con lo sguardo la turba di ramazze che si allontanava. Amava il cielo, trascorreva giornate intere col naso all’insù sognando di volare. Del resto, oltre a spaventare i passeri (che invidiava), poteva fare ben poco, essendo piantato in terra.
Gabriel Pacheco / Fondo de cultura economica
Lo Spaventapasseri incontra la Strega
Vagando fra gli alberi, la Strega giunse in una radura con una casa rossastra. La Luna fioca pareva più fulgida e rischiarava lo spiazzo facendo brillare i colori: gli occhi dei due si incrociarono per un istante; poi la Strega tornò sui suoi passi, sconsolata per quel grande pasticcio e senza un mezzo per riprendere il viaggio. Improvvisamente un forte vento spazzò il bosco, scompigliando rami secchi e pensieri. Abbandonandosi alle forti folate, lo Spaventapasseri perse consistenza e si disfò, liberando nell’aria la paglia fine e leggera di cui era fatto. La Strega continuava a vagare nel bosco, ma a un tratto il suo volto cereo s’illuminò, sotto al suo naso puntuto trovò un bastone e alcuni ciuffi di paglia. A gambe incrociate e di buona lena, si mise al lavoro e in quattro e quattr’otto costruì una scopa di paglia bianca e leggerissima con un forte manico di legno bluastro. Vi montò a cavalcioni e scomparve.
Gabriel Pacheco / Fondo de cultura economica
Con la scopa
Chissà se l’illustratore Gabriel Pacheco si era immaginato così la storia de ‘La strega e lo spaventapasseri’, dedicata a "quelli che guardano il cielo". Probabilmente no, ma è la bellezza di questo libro silenzioso – uno dei primi concepiti e pubblicati dall’artista messicano – che senza parole permette all’immaginazione di costruire una trama, facendo sì che il lettore si faccia coautore.
La prima edizione (in spagnolo, ‘La bruja y l’espantapájaros’) della ventina di tavole dell’album illustrato sono state pubblicate nel 2011 (Fondo de cultura economica), la versione italiana (Logos Edizioni) è dell’anno successivo. Senza dire troppo – almeno non più di quanto già raccontato nelle righe iniziali, inventate di sana pianta –, la storia ha due personaggi principali che vivono esistenze distinte, ma che a un certo punto si intersecano: è solo grazie al sacrificio dello Spaventapasseri che la Strega potrà tornare a volare. E con lei, anche lui, liberato della sua condizione terrestre. (Lo spoiler è clamoroso, ma il libro è un’opera bella e commovente da sfogliare di continuo).
L’atmosfera delle tavole è onirica e surreale, rarefatta nei toni di grigio che plasmano un paesaggio lunare, se non fosse che siamo sulla Terra che la Luna irradia con la sua luce fioca e fredda. Pochi gli accenti di colore, anzi rari e quindi aggettivati di significato, soprattutto legato alle emozioni dei personaggi, creando fra loro connessioni e interpretazioni, dando il tono drammatico. Questi elementi dell’ambiente e della caratterizzazione cromatica (nei toni di grigio, rosso e blu, e poi il nero che è dove nascono i sogni) sono una costante fra le più forti nelle opere dell’illustratore messicano, caricate di poesia. Così come il processo creativo, descritto da Pacheco in alcune interviste come un ballo fra intuizione e riflessione: appuntando alcune parole e disegnando forme, senza sapere dove queste lo portano.
Un inciampo, così Gabriel Pacheco racconta il suo approdo all’illustrazione. Nato a Città del Messico nel Settantatré, da alcuni anni vive e lavora in Italia, dove è parte del corpo docenti della Scuola internazionale di illustrazione della Fondazione Štěpán Zavřel a Sarmede, il cosiddetto Paese delle fiabe (ma lì ci torneremo in seguito). Dopo essersi diplomato in scenografia all’Istituto nazionale di belle arti, si forma in disegno e figura umana alla scuola Enap, come riporta il portale della scuola.
Torniamo agli esordi, a quell’inizio casuale. Dopo essere stato assistente di un maestro scenografo, inizia a lavorare in televisione. Tuttavia, l’esperienza si rivela molto negativa, come ricorda in diverse interviste. Allora, entra in gioco la sorella disegnatrice che gli chiede di illustrare una storia. La sua formazione nel teatro di certo influisce nella costruzione dei fili narrativi per immagini, come una fonte di nutrimento che alimenta uno sguardo.
Illustratore colto, oltre ai suoi progetti personali Pacheco si è confrontato e si confronta con le storie classiche, illustrando fra gli altri Il libro della giungla, Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Cappuccetto rosso, il mito di Icaro. E ancora, illustra libri di narrativa e poesia – fra gli altri di Octavio Paz, Federico García Lorca –, realizza copertine, murales, si dedica anche alla pittura. Il corpus di lavori conta decine di titoli tradotti e pubblicati in diversi Paesi del mondo: oltre al Paese natio e all’Italia, anche Brasile, Stati Uniti, Spagna, Portogallo, Russia, Corea e Giappone. Una diffusione ampia che si riverbera anche nei premi ricevuti per la sua carriera, fino alla nomina all’Astrid Lindgren Memorial Award (rinfreschiamo la memoria a chi non lo ricorda, Lindgren è la mamma di Pippi Calzelunghe).
Eccoci allora a Sarmede, nella provincia di Treviso, e alla Fondazione Štěpán Zavřel: pittore, illustratore e scrittore ceco che dalla Praga assediata giunse in Italia. Siamo alla fine degli anni Cinquanta, dopo aver vissuto varie peripezie e viaggiato per l’Europa, Zavřel torna a Rugolo di Sarmede, dove acquista una cascina abbandonata. Una presenza che, si legge nella storia della Fondazione (www.fondazionezavrel.it), fa da catalizzatore a una rete creativa di artisti provenienti da tutto il Continente. Nel 1983 grazie al suo impulso nasce la Mostra internazionale d’illustrazione (oggi Le immagini della fantasia) e cinque anni più tardi viene aperta la scuola. La rassegna, giunta alla quarantesima edizione (in corso fino al 19 febbraio 2023) con la direzione artistica di Pacheco, presenta quest’anno trecentocinquanta opere realizzate da oltre trenta illustratrici e illustratori provenienti da quindici Paesi. Oltre a ciò, un programma con attività didattiche per bambini e ragazzi, così come laboratori scolastici.