Arte

Idee e visioni in ‘Sacro e profano’ di Mario Botta

L’architetto ticinese è stato invitato a presentare una sintesi della sua ricerca progettuale al MAXXI di Roma, visitabile fino al 4 settembre prossimo

La mostra allestita nella sala Gian Ferrari al MAXXI di Roma
(©Enrico Cano)
28 giugno 2022
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Mario Botta è approdato al MAXXI (Museo Nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma che, progettato da Zaha Hadid, non è solo una grande opera architettonica dalle forme innovative e spettacolari, ma è pure il primo museo nazionale di architettura presente in Italia. Il fatto che Mario Botta sia stato invitato a presentare una sintesi della sua ricerca progettuale non può che suonare come un ulteriore qualificato riconoscimento del suo lavoro. La mostra si intitola ‘Sacro e profano’ è curata da Margherita Guccione e Pippo Ciorra; ed è visitabile fino al 4 settembre prossimo.

Botta ha realizzato un’installazione estremamente concentrata ma al tempo stesso altamente significativa. All’interno di una grande sala rettangolare (la Gian Ferrari) ha presentato undici suoi progetti. Sette dedicati allo spazio sacro (sei chiese e una sinagoga) e quattro allo spazio profano: due musei (il Mart di Rovereto e il Musero Bechtler del North Carolina), le terme di Baden e il ‘Fiore di pietra’ sul Generoso. Si tratta di maquette, schizzi, disegni, fotografie che girando sulle pareti lunghe creano una sorta di orizzonte visivo, come fossero edifici posti sulla sommità di una cerchia collinare; racchiusi, sulle pareti corte, da un modello ligneo (scala 1:2) dall’abside della chiesa di Mogno, la prima da lui edificata dopo anni di contenzioso e, su quella opposta, da un tappeto con le piante di otto edifici sacri come a voler sottolineare lo sviluppo progettuale che ne è derivato. Ci si muove quindi all’interno di una dimensione soprattutto mentale e simbolica, anche se l’architettura in sé è un manufatto fisico dentro uno spazio reale.

Dalla forma visibile e concreta alla dimensione astratta del pensiero

L’intento è di far emergere, grazie al confronto, non solo il mutare o l’arricchirsi delle forme lungo il corso degli anni, ma di favorire anche il passaggio dal visibile e concreto alla dimensione astratta del pensiero, così da coglierne i principi o la visione che stanno a monte: quell’idea o visione che l’architetto cerca di concretizzare nella fisicità e nelle spazialità delle forme in sé stesse ma anche in relazione al contesto. Sono aspetti, questi, che Mario Botta non cessa mai di sottolineare e che, in parte, ha anche esplicitato nel suo sito (da visionare) sotto la voce ‘Principi’.

Ne richiameremo uno solo, ma di fondamentale importanza concettuale e programmatica: "L’architettura deve avere un fine etico piuttosto che estetico. La finalità del fatto architettonico è quella di offrire valori abitativi di qualità contrapposti a immagini puramente estetiche. La ricerca di una migliore qualità di vita passa attraverso la ricerca di una migliore qualità dello spazio di vita" così da dar vita a "spazi identitari". Tali concetti vengono ripresi sia nei testi in catalogo che nell’intervista rilasciata a Fulvio Irace in cui si coglie però anche un sentimento diffuso di precarietà dovuto soprattutto alla situazione, complessa e drammatica, del tempo presente: la pandemia, il lockdown, i cambiamenti climatici, la guerra in Ucraina (in particolare a Leopoli dove, nonostante i bombardamenti, sta costruendo una chiesa greco-ortodossa), la perdita di identità, la globalizzazione indifferenziata. Una strisciante persistente condizione (anche esistenziale) di impermanenza a cui non si deve cedere. "E l’architettura – dichiara Botta – resta ancora una forma di resistenza alla società immateriale".

L’architettura come forma di resistenza

Ecco la funzione etica nei confronti di quella società che ha dimenticato, perso o distrutto, il senso della storia, della stratificazione urbana come testimonianza non solo di avvenimenti, interventi e opere, ma anche di significati, simboli e valori, succedutisi nel tempo. Contro "l’architettura dell’immediato e le opere di consumo […] mi piacerebbe che l’archittettura parlasse di questa sfida". "La cancellazione del concetto di ‘luogo’ è un annientamento mortale per l’architettura; come lasciare i pesci senz’acqua". "L’azzeramento delle distanze e dei tempi per l’architetto diviene assenza di un contesto fisico, di un territorio, di un paesaggio con una propria qualità ambientale e modellato con la storia. Dobbiamo invece costruire luoghi identitari in opposizione alla globalizzazione" in grado di dialogare ancora con le preesistenze ambientali, culturali, sociali e simboliche del luogo.

Gli esempi, anche suggestivi, in mostra non mancano. Ma soprattutto Botta lo afferma con un’idea di ‘casa’ tanto condensata da farsi simbolo: per cui la posiziona al centro della installazione. È il luogo della privacy o, meglio ancora, del raccoglimento e del pensiero. Ha la forma di una clessidra aperta, radicata al suolo e protesa al cielo, ma è anche luogo di convergenza di forze ctonie e di energie celesti. Al suo interno nient’altro che un tavolo che corre lungo il perimetro e due sgabelli, elementi di accoglienza e dialogo che alludono all’incontro, mentre in quella alta le aste lignee prendono forma di una immaginaria biblioteca: è la dimensione del pensiero, la storia e la memoria della civiltà.

Quella ‘casa’ è il luogo deputato per ogni uomo che pensi e mediti, per chiunque metta sublimamente a contatto la finitezza della terra con l’infinito che lo pungola dentro. Lì microcosmo e macrocosmo si incontrano nella centralità dell’uomo: allusione a un’idea di uomo e di società consona alle necessità del vivere e dell’abitare insieme.