Carrà, Campigli, Manzù, Rosai, Scipione e Sironi in mostra a Lugano da domenica 22 maggio al 29 gennaio 2023
Veniamo guidati da Cristina Sonderegger, curatrice, nelle stanze di Palazzo Reali per vivere ‘Una raccolta d’arte moderna italiana – Carrà, Campigli, Manzù, Rosai, Scipione, Sironi’, mostra che si apre domani al Masi di Lugano per chiudersi il 29 gennaio 2023. Otto mesi per ammirare una trentina di capolavori dell’arte italiana fruibili grazie alla collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, opere tutte collocabili tre le due Guerre, opere dall’essenzialità propria della pittura e della scultura che copre i decenni 1920-1950, il periodo detto del ‘Ritorno all’ordine’, quando molti artisti virarono dalle sperimentazioni avanguardiste verso un ritorno a soluzioni più classiche.
A eccezione di Manzù e Scipione, nati nel primo decennio del Novecento e dunque dalle diverse esperienze, Sironi e Carrà (nati negli anni ’80 dell’Ottocento) e Rosai e Campiglio (classe 1895) sono uniti dal futurismo, spesso dalla scrittura e non di meno dalla Guerra. A cominciare dal berlinese di nascita Massimo Campigli (1985-1971), più tardi fiorentino e infine milanese acquisito, partito per il fronte nel 1915, rientrato in Italia per collaborare con il Corriere della Sera e poi finire – nel 1919, quale corrispondente – a Parigi, città nella quale s’avvicina alla pittura.
Ma è a Roma che Campigli resta affascinato dall’arte etrusca durante una visita al museo di Villa Giulia: è lo spunto per una ridefinizione stilistica che porta a ‘Le amazzoni’ (1928), primo momento importante della mostra e quadro di riferimento dell’artista. A fianco vi è ‘La figlia del carceriere’ (La carceriera), dipinto un anno più tardi, dove la donna – statica nella precedente opera come il resto delle figure – recita un ruolo più attivo. La ricorrenza della figura femminile in Campigli ha conferme nelle ‘Donne con ombrello’ (Figure, 1932), ‘Donna ingioiellata (1942) e ‘Donna velata’ (1946), nelle quali l’autore è identificato più che per le precedenti due. Nella sezione di Campigli c’è il primo Giacomo Manzù in mostra, il ‘David’ del 1950, il bronzetto di un ragazzino foriero di riconoscimenti, rimando a un omonimo lavoro del 1938.
Fondazione Musei Civici Venezia
Massimo Campigli, Donna ingioiellata
Figlio di architetti, artisti e musicisti, Mario Sironi (1885-1961) s’avvicina all’arte in modi diversi da Campigli. Gli alti e bassi dovuti alla depressione ne condizionano l’intera esistenza, un disequilibrio culminato nella caduta del Fascismo al quale Sironi aderisce nel 1919 per rimanervi fedele sino all’ultimo (sposa la Repubblica di Salò nel settembre del 1943; fermato dai partigiani, deve la vita a un lasciapassare consegnatogli da Gianni Rodari). La solitudine derivante è rappresentata nei paesaggi nell’ultima sala del Masi, mentre ‘Il bevitore’ (1923-1924) è la materializzazione dei concetti della critica d’arte Margherita Sarfatti, teorizzatrice del ritorno a una pittura semplificata. Il ritorno al classicismo di Sironi può stare dunque tanto in ‘Pandora’ (Il mito di Pandora, 1924), quanto nella scarna raffigurazione di persone ai margini come il bevitore del quadro, lontano dall’epicità di ben più acculturati soggetti ritratti in precedenza e più vicino alla condizione dell’artista.
Fondazione Musei Civici Venezia
Mario Sironi, Il bevitore, 1923-1924
Altre storie che s’intrecciano. Il passato futurista di Ottone Rosai (1895-1957), quello ancor più futurista di Carlo Carrà (1881-1966), redattore con Boccioni e Marinetti del ‘Manifesto’. Tornato dalla guerra, il fiorentino Rosai trova il proprio linguaggio ai margini della Firenze che egli frequenta, dando vita a lavori di piccolo formato che contengono la semplificazione assoluta degli spazi, regalati a personaggi solitari – la dolcezza di un figlio che dipinge il padre in, appunto, ‘Mio padre (Il babbo, 1920) – o gruppi di persone – ‘I giocatori di toppa’ (1920), dalla grande intensità pittorica –. L’esigenza di un ritorno alla realtà naturale si fa largo per l’alessandrino Carlo Carrà (1881-1966) anche in questo caso dopo la Guerra. Le estati producono paesaggi marini e lacustri, fino a una pre-sintesi intitolata ‘Casine sul Sesia’ (1924), che sfocia nella definitiva ‘Mattino sul mare’ (1928).
Fondazione Musei Civici Venezia
Carlo Carrà, Mattino sul mare (1928)
Fondazione Musei Civici Venezia
Giacomo Manzù, Cardinale (1952)
Nel corridoio sta, pacifica, la ‘Ragazza sulla sedia’ (Bambina sulla sedia, 1949) di Manzù, scultura a grandezza naturale dalla postura che è anche quella dei celebri Cardinali, uno dei quali siede – altrettanto pacificamente – nell’ultima stanza, ove si chiude il percorso su Sironi, interprete solitario delle periferie milanesi ritratte in ‘Paesaggio urbano con figure’ (1922-1924), ‘Paesaggio con gasometro’ (1943-1944) e in una potente ‘Periferia’ (1944).
Di fianco al Cardinale, Scipione (Gino Bonichi, 1904-1933), maceratese di nascita, romano d’adozione, qui in un doppio ‘Studio per il Cardinal Decano’, parte di un dualismo interiore tra fede e trasgressione che lo portano a raffigurare tanto la santità quanto l’esatto opposto: prova ne è l’inquietante ‘Cortigiana romana’. Chiudiamo con la curiosità di Sonderegger su quale sarebbe potuto essere il futuro di Scipione se, ricoverato in un sanatorio, non fosse morto per tubercolosi a soli 29 anni (www.masilugano.ch)
Fondazione Musei Civici Venezia
Scipione, Bozzetto per il ritratto del Cardinal Decano, 1930