L’artista italiano ha portato un nucleo di lavori site-specific per il progetto ‘Golden Age’
Un omaggio al Monte Verità delle origini, a quella comunità che a inizio Novecento abitò la “collina dell’utopia”, sognando di tornare alla natura per superare la tensione fra capitalismo e comunismo: ieri si è inaugurato il progetto ‘Golden age’ di Fabrizio Dusi, artista nato a Sondrio nel 1974, i cui lavori spesso affrontano temi legati alla storia collettiva e alla contingenza, dalla Shoah ai migranti. Sue installazioni permanenti compaiono alla Casa della Memoria di Milano, sulla facciata del Comune di Bagnacavallo (Ravenna), all'Università Bocconi di Milano, all'Università degli Studi di Padova e al memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme.
Il progetto per il Monte Verità – dove resteranno due opere, dono dell’artista alla fondazione – coinvolge sia gli ambienti comuni dell’hotel in stile Bauhaus sia il giardino antistante l’edificio, in un percorso appositamente studiato per Monte Verità.
Nel parco troviamo ‘Eva e Adamo’, opera in acciaio di 2 metri di altezza, in dialogo con l’ampio ciclo pittorico ‘Giardino dell’Eden’ che si trova all’interno dell’Hotel nella sala Balint, una lunga narrazione di circa 7 metri che vedrà dipanarsi, sullo sfondo di un paesaggio vergine, scene tipiche della vita della colonia, fra girotondi, danze. All’interno dell’hotel «la prima opera è la scritta ‘Liberi’ in neon e sopra un sole fatto in tubi di neon, omaggio alle Mammelle della verità di Harald Szeemann, un sole di luce blu, accecante ma fredda in contrasto con la luce calda del sole» ci ha spiegato l’artista.
‘Golden age’: qual è questa età dell’oro?
Quando la Fondazione mi ha invitato ad allestire un progetto al Monte Verità, ho visitato gli spazi e ne ho studiato la storia, soprattutto la parte iniziale, quella che ho trovato più affascinante. Per questo ho deciso di ricorrere alla definizione di ‘Golden age’, perché quella mi era sembrata l’età dell’oro di quello spazio.
L’idea di ‘Golden age’ la ritroviamo anche in altre situazioni, è un concetto che associamo al giardino fantastico, simile per certi versi al Monte Verità e ho anche ripreso un dipinto che richiama l’idea di questo paradiso in terra, questo giardino un po’ sognato.
Una delle opere si intitola appunto 'Eva e Adamo', capovolgendo l’ordine tradizionale.
Sì, è bastato invertire il titolo, dando maggiore valenza alla donna, per cambiare proprio il significato dell’opera. Sempre facendo un parallelismo, ho pensato all’Eden mettendolo in relazione con il Monte Verità, di nuovo due situazioni che mi sono sembrate molto vicine. Sono quindi andato all’origine dell’uomo e della donna, due individui nudi – anche qui, come al Monte Verità dove si praticava il naturismo –, due mezzibusti di due metri che è come se uscissero dal terreno o dall’acqua perché in basso c’è un ovale blu. Una specie di rigenerazione che rimanda all’attuale momento storico, alla voglia di ricominciare.
Abbiamo poi tre parole-chiave: ‘Liberi’, ‘Anarchy’ e ‘Utopia’, scritte in varie forme.
‘Anarchy’ sarà una vetrofania che rivestirà la vetrata interna, dietro alla quale c’è una roccia molto bella, molto spettacolare. La rivestirò con una pellicola colorata, un azzurro che richiama le sagome di Eva e Adamo.
‘Liberi’ è un neon blu, un neo inclinato appeso a un filo di nylon a rappresentare la fragilità di questa parola: la libertà non è affatto scontata.
‘Utopia’ infine è una scritta realizzata in ceramica dorata.
Come mai queste tre parole?
Sono quelle che, studiando la storia del Monte Verità, mi hanno maggiormente coinvolto, quelle che mi sono sembrate più adatte. Parole forti e riassuntive, rappresentative di un momento particolare di quel luogo.
‘Liberi’ comunque l’avevo già usato per un altro progetto, per questo è in italiano – anche se spesso mischio inglese e italiano.
I materiali usati?
In parte sono quelli che uso normalmente, ceramica e neon. Le sculture in ferro sono invece nuove per me, le ho realizzate apposta per il Monte Verità e sono un po’ una prova.
La vetrofania è legata allo spazio: quando ho visto la vetrata, ho capito che in quello spazio ci voleva una parola forte.
Tra i punti di riferimento al Monte Verità, il dipinto panoramico ‘Chiaro mondo dei beati’ di Elisàr von Kupffer, da poco restaurato.
È un’opera che non conoscevo, che non avevo mai visto: quando ho fatto il giro degli spazi del Monte Verità mi hanno mostrato questo ciclo e la sala dove sarebbe stato allestito, ho dovuto immaginare come sarebbe stata e sono rimasto molto colpito, è un’opera bellissima e ho cercato, sempre a modo mio, di creare un riferimento, un rimando.
Abbiamo parlato delle origini del Monte Verità, ma non degli edifici: sono stati di ispirazione?
All’inizio sì, soprattutto la facciata mi aveva ispirato e l’intenzione era appunto di partire da lì, ma poi il progetto si è modificato e alla fine direi che è stato più importante il giardino, con la sua vista. Infatti è lì che ho deciso di mettere le sculture. Anche perché ci sono dei vincoli di protezione e intervenire sulla facciata sarebbe stato troppo complicato.