Intrusione artistica benevola nei confini domestici sbarrati dall’emergenza sanitaria
Quattromila caselle della posta, presso domicili situati in specifici quartieri urbani del Ticino hanno accolto, nelle giornate di maggior tensione dovuta alla emergenza sanitaria della primavera 2020, una stampa accompagnata da un foglio di spiegazione.
Il titolo dell’iniziativa è DE-PRESS-ME e il testo contenuto nel foglio spiega:
In questo tempo di isolamento, di cui non vediamo la fine e di cui difficilmente sappiamo decifrare le conseguenze a lungo termine, facciamo appello all’arte affinché rientri nella vita delle persone in modo attivo e fisico. Come artisti del territorio abbiamo deciso di produrre e distribuire opere d’arte, per aprire una piccola breccia nella chiusura che, anche se necessaria, sta cambiando le nostre vite. Desideriamo rompere metaforicamente i confini chiusi delle nostre case attraverso un gesto, ripetuto e ripetibile, di invasione culturale dello spazio privato. La distribuzione è effettuata nel pieno rispetto delle direttive igieniche vigenti. DE-PRESS-ME. Libera Azione Artistica. Ticino 2020.
Ho omesso gli a capo presenti nella stampa del testo. L’opera d’arte distribuita è una stampa effettuata con una macchina a caratteri mobili, l’autore è il collettivo Libera Azione Artistica, il contenuto della stampa può essere una immagine o un testo, per esempio un testo di Pier Paolo Pasolini oppure una poesia scritta da qualcuno che fa parte del collettivo.
Non sappiamo chi abbia beneficiato del gesto. Lo sa chi lo ha ricevuto, se se ne è accorto. Cosa è successo? Gli artisti si sono riuniti presso uno stampatore e insieme hanno voluto contrastare il senso di vuoto, isolamento, incomprensione, indecisione e abbandono dei giorni definiti con il termine “confinamento”; hanno voluto sbloccare l’isolamento con un gesto formale e simbolico che è però anche fisico e materiale, di vicinanza, di relazione e di interazione tra cittadini: un po’ un abbraccio che rispetta l’ingiunzione della distanza di sicurezza. Provo a dire perché lo ritengo una delle cose più belle di questo periodo.
È formale e la sua struttura si inserisce all’interno dell’universo della stampa artistica. Si tratta di un universo specifico e significativo. Talvolta è considerato, a torto, una modalità espressiva minore o di supporto o di divulgazione di contenuti che si nobilitano altrove. È invece un modo e un mondo di produzione ricco di valore e caratterizzato da elementi peculiari: l’artista agisce non sul prodotto finale ma su uno strumento (la lastra) e vedrà il risultato del proprio lavoro soltanto dopo la stampa; la sua azione è filtrata dal procedimento di stampa e quindi l’artista ha un controllo contenuto sull’esito; l’opera d’arte non è unica perché esce da un procedimento di stampa, ha nondimeno le caratteristiche formali dell’opera. Vale la pena di precisare alcune di queste caratteristiche. In genere la stampa artistica passa attraverso un torchio, altre volte segue percorsi diversi (pensiamo, in Ticino, alle tecniche di Pam Mazzuchelli o di Reto Rigassi). In questo caso passa attraverso la macchina artigianale a caratteri mobili nella quale, in genere, i caratteri in piombo sono disposti in un cliché e poi messi in contatto con i fogli da stampare. In questo caso i caratteri mobili sono stati utilizzati per la stampa dei testi (in alcuni casi l’opera è un testo, come si diceva) mentre per produrre le immagini è stata utilizzata una lastra di materiale plastico fornita al collettivo dallo stampatore. Ogni artista ha quindi inciso la plastica o comunque ha operato su di essa in modo da selezionare l’inchiostro che una volta distribuito sulla lastra ha, attraverso la macchina, tradotto sul foglio l’immagine. Le varie componenti e passaggi del procedimento sono scarne: si è proceduto con ciò che era disponibile in stamperia e anche il formato del foglio stampato non risponde ad alcun criterio riconoscibile. L’iniziativa ha voluto essere frugale. Se ne vedono le conseguenze sul foglio stampato, una carta poco accogliente per l’inchiostro dove l’immagine ha dovuto impegnarsi per restare incisa. La componente formale dell’iniziativa quindi trascende gli aspetti fisici e la sostanzialità della fattura ne è un aspetto caratterizzante.
Non ammicca. Durante il periodo dell’emergenza sanitaria ci sono state forme di speculazione opportunistica. Un esponente dell’arte commerciale che si vende come artista socialmente impegnato ha imbrattato alcune mascherine e le vende dicendo che si tratta di una iniziativa umanitaria. A Milano, in piazza Duomo, campeggia una scritta che recita “andrà tutto bene”, forse in inglese e viene proposta come opera d’arte. Mi fermo qui. L’iniziativa Depressme non cerca il consenso ed è concentrata sul manufatto. Non si domanda se chi apre la cassetta della posta e trova la stampa reagirà e come reagirà. La stampa può essere stata stracciarla, usata come sotto piatto, incorniciata, apprezzata, disprezzata o incompresa. Non importa. Il testo di accompagnamento fa il proprio dovere.
È generoso e vi è anche una componente pedagogica nella iniziativa, gratuita e inutile come lo deve essere ogni opera d’arte, con l’ambizione di diventare ciò che è già: un gesto formalmente compiuto per rispondere a una esigenza espressiva nella quale esiste una fonte, una serie di passaggi filtranti, umani e tecnici e materiali, e una destinazione che può reagire o no, libera come lo è il collettivo che produce la proposta.
Io desidero che Depressme travalichi l’ambito della clausura sanitaria e prosegua la propria azione aggregando nel collettivo altre capacità produttive e spargendo ulteriormente la propria magnifica inutile gratuità.