Esposte alla pinacoteca di Rancate le opere che il pittore svizzero realizzò, negli anni Trenta e Quaranta, all'allora Manicomio di Mendrisio
Jean Corty – o forse sarebbe meglio Corti: perché quello era il cognome del padre, emigrato a fine Ottocento da Agno al canton Neuchâtel per lavorare nelle cave. Nato nel 1907, Jean è uno dei dodici figli di Francesco Corti e solo dal 1940 modifica l'ultima lettera, diventando per tutti Jean Corty. A lui è dedicata la mostra che marca la riapertura, dopo la pandemia, della Pinacoteca Züst di Rancate.
L'esposizione, curata da Mariangela Agliati Ruggia, Paolo Blendinger, Alessandra Brambilla e Giulio Foletti, è incentrata sugli anni di Mendrisio di Corty: perché quando si presentano non meglio precisati disturbi nervosi, l’artista viene trasferito in Ticino, in quello che all'epoca era il Manicomio di Mendrisio, dove soggiornò dal 23 agosto 1933 al 4 maggio 1934 e di nuovo dal 23 agosto 1937 al 2 agosto 1941.
A Mendrisio Jean Corty dipinge e disegna con continuità, grazie all’interessamento del dottor Olindo Bernasconi che, credendo fermamente nei benefici che il lavoro e l’arte potevano apportare ai malati, gli assegna anche uno spazio per stabilire il proprio atelier. Le numerose opere vengono quindi donate proprio al dottore, i cui discendenti le conservano ancora.
È una pittura "densamente autobiografica", come si legge nella presentazione della mostra, quella di Corty, noto ai contemporanei per la vita bohemiénne, condotta tra povertà ed eccessi. Non sorprende quindi riconoscere in molte delle opere realizzate a Mendrisio scorci dei dintorni, dal momento che gli era consentito non solo di muoversi liberamente all’interno del grande parco della struttura, ma anche di recarsi nei paraggi, spesso accompagnato dall’amico pittore Libero Monetti. Sfilano così vie e monumenti del centro di Mendrisio, ma anche della campagna e di vari paesi limitrofi. Spesso si tratta di istantanee di vita che fissano la quotidianità dell’istituto e dei suoi abitanti ma non solo: le attività, i momenti di svago e riposo, davanti a un bicchiere di vino, giocando alle carte o fumando la pipa.
L'esposizione è accompagnata da un catalogo, pubblicato da Dadò, nel quale troviamo non solo riproduzioni delle opere esposte (un centinaio, tra olii, acquerelli e disegni), ma viene anche ripercorsa la storia dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale di Mendrisio, sia dal punto di vista architettonico che delle cure lì praticate in quegli anni, con un cenno agli altri artisti che vi trascorsero periodi più o meno lunghi, tra cui Filippo Franzoni e Gualtiero Colombo.