La Fondazione Spitzer presenta martedì a Muralto il docufilm Pace Negativa del giornalista e analista geopolitico Luca Steinmann, che abbiamo intervistato
“Per quale motivo i serbi e gli albanesi che vivono in Svizzera riescono a stare insieme e collaborare mentre qui ci dobbiamo odiare?”. Si tratta di una domanda che Luca Steinmann – giornalista e analista geopolitico – si è sentito a più riprese rivolgere da diverse delle persone incontrate in Kosovo dove, spiega, «in molti guardano al nostro Paese come a un modello positivo di convivenza tra popolazioni balcaniche che invece risulta ancora molto difficile nella loro regione». Regione in cui lo scorso mese Steinmann insieme al fotografo Nicolò Ongaro ha girato un documentario dal titolo “Pace negativa” che presenterà martedì 26 novembre alle 20 nella Sala dei congressi di Muralto nell’ambito dell’incontro “Kosovo: una ferita rimarginata?” che si iscrive nel progetto “Un ponte tra i Balcani e il Ticino” promosso dalla Fondazione Spitzer. Ed è proprio quest’ultima ad aver affidato a Steinmann il compito di capire e raccontare cosa sta succedendo nel territorio conteso – dichiarato unilateralmente Stato indipendente da parte degli albanesi nel 2008, mentre i serbi continuano a considerarlo come una propria provincia – a distanza di 25 anni dai bombardamenti della Nato e dalla fine della guerra.
«Quella che vi ho trovato, e che costituisce una particolarità di questa crisi rispetto ad altre che ho visto, è una situazione di pieno dopoguerra nonostante il quarto di secolo trascorso dal cessate il fuoco, con delle truppe internazionali – tra cui anche svizzere – che devono rimanere sul territorio per evitare il riaccendersi degli scontri», rileva il reporter. A queste dinamiche fa riferimento il titolo del film “Pace negativa”: «Non c’è più un conflitto armato ma non c’è nemmeno una società multietnica coesa, tutt’altro. I serbi e gli albanesi, i due principali gruppi etnici che abitano il Kosovo, sono completamente divisi sull’interpretazione storica della guerra. Inoltre stiamo assistendo, in generale nei Balcani e in particolare nel Kosovo, al ritorno di un forte nazionalismo sul piano politico che si diffonde nelle rispettive comunità e rinsalda la forte contrapposizione». All’interno di questo scenario Steinmann ha però trovato delle storie – come quelle delle due giovani protagoniste del documentario Milica e Aferdita, «ma non sono le uniche» – di persone che collaborano e hanno stretto amicizia con altre della comunità “opposta”. «Sul piano sociale, rispetto a quello politico, si constata una maggior propensione alla coesistenza – osserva Steinmann –. Esistono fortunatamente anche degli spazi, per esempio gestiti da Ong, in ci si fa un lavoro per tentare di sviluppare un percorso comune di elaborazione dei fatti storici che parta dalle stesse basi. Benché la situazione politica non aiuti, è comunque presente il tentativo da parte di alcune persone di superare i muri del nazionalismo etnico».
Per la Svizzera e il Ticino, quella del Kosovo e dei Balcani «è una questione di politica domestica in considerazione della diaspora balcanica che fa parte della nostra società – dice Steinmann –. È dunque una priorità alle nostre latitudini favorire il superamento dei conflitti nella regione. Naturalmente si tratta di temi molto complessi che difficilmente possono essere risolti da un unico Stato – premette l’analista geopolitico –, ma la Svizzera, anche attraverso i propri cittadini di origine balcanica, può giocare un ruolo molto importante nel provare a promuovere una distensione». Ed è sotto questi auspici che si snoda il ciclo di incontri all’insegna della metafora del ponte organizzato dalla Fondazione Spitzer. Oltre a Steinmann, la serata di martedì ospiterà Raimund Kunz, ex ambasciatore e capo dello Stato maggiore della Presidenza svizzera dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), figura di spicco nel panorama diplomatico ed esperto di relazioni internazionali. Al suo fianco, Fulvio Pezzati, membro del Consiglio della Fondazione Spitzer. Attraverso la visione del documentario e il contributo dei relatori, l’incontro sarà dunque un’occasione per discutere se e come il Kosovo stia superando le ferite del passato e se possa davvero aspirare a una pace positiva e costruttiva.