I liberali radicali e l'associazione LaScuola presentano il loro progetto: 30 ore invece che 33, pomeriggi facoltativi con più libertà e orientamento
Riformare la scuola media non con del maquillage ma con un cambiamento strutturale vero e proprio, «ambizioso» e che «vedrà, auspichiamo, il contributo di tutti gli attori coinvolti». È questa l'intenzione del Plr e dell'associazione LaScuola, che oggi hanno presentato il loro progetto tradotto in un'iniziativa parlamentare generica firmata dal presidente liberale radicale Alessandro Speziali.
Insomma, via lo scalpellino perché è ora del piccone. Quanto proposto oggi si può riassumere così. La prima grande novità è la richiesta di un orario più compatto, quindi con 6 ore al giorno obbligatorie, anche il mercoledì, e la possibilità di compattarle con due pause lunghe ogni due ore invece di una lunga pausa pranzo. Si continua con il passaggio della griglia oraria da 33 a 30 ore settimanali, che dà il la alla terza grande novità: una gestione autonoma della seconda parte del pomeriggio, con possibilità di scelte scolastiche strutturate – e ampia autonomia a ogni sede –, facoltative dove ogni studente può scegliere il proprio percorso tra, ad esempio, attività sportive, di recupero, formative. Con un punto fermo, recuperare in questa maniera le ore “tolte” dalla griglia: già, perché al pomeriggio, nelle varie attività che possono venire proposte, ci sono pure laboratori, recuperi – si diceva – dedicati a gruppi di allievi in difficoltà in quella o questa materia, approfondimenti per chi magari è più pronto. Ma con anche interrogativi che restano aperti, per stessa ammissione dei proponenti: «Non c’è nulla di definito, vogliamo offrire spunti di riflessione e una direzione che secondo noi va presa. Coinvolgendo tutti gli attori arriveremo a una sintesi».
Con una base di partenza. «La nostra società cambia, e la preparazione formativa scolastica deve tenere presente questi cambiamenti. Siamo testimoni di una trasformazione profonda, che porta a nuove sfide, ma che deve essere accompagnata da una formazione che prepari sempre meglio i cittadini di domani», esordisce la presidente dell'associazione LaScuola Luana Monti Jermini, docente al Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. Il perché è presto detto: «I giovani devono essere pronti sul fronte delle conoscenze, ma anche su quello delle competenze. Che vanno oltre alla capacità di acquisire nozioni, parliamo di come orientarsi in un mondo complesso, gestire relazioni interpersonali, sviluppare un pensiero critico e sistemico, adattarsi con flessibilità a nuove soluzioni». E in tutto questo, va da sé, «l'allievo e il suo processo di apprendimento devono essere rimessi al centro, perché i ragazzi sono chiamati a fare delle scelte e dobbiamo aiutarli». Individuando, quindi, «il modo migliore di farlo, ma anche di sostenerli nella scoperta delle proprie capacità e il loro posto nel mondo. Per questo vogliamo promuovere spazi formativi dedicati a competenze trasversali e interdisciplinari, cambiando la struttura della scuola media».
Come? Un po’ lo abbiamo spiegato sopra. Per il resto è il vicepresidente dell'associazione LaScuola, Matteo Mozzini, vicedirettore della Scuola d'arti e mestieri di Bellinzona, a snocciolare i temi. Cominciando dalla pietra angolare di tutto l'impianto di riforma, o proposta di riforma che sia: «Docenti, vicedirettori e direttori ci dicono che 33 ore non sono indispensabili, si può alleggerire la griglia, cambiare il paradigma che porta sempre ad aggiungere qualcosa portando a togliere qualcosa. 30 ore sono sufficienti per trasmettere le conoscenze e sviluppare le competenze che tutti devono avere», sostiene Mozzini. Che rimarca, pure, come «ci sono ore di qualità efficaci, e altre meno efficaci. La quantità non è per forza sinonimo di qualità, sembra banale ma è così. Una lezione dalle 10 alle 10.45 non ha la stessa efficacia di quella che va dalle 16.30 alle 17.15. I docenti chiedono di lavorare in orari efficaci – riprende Mozzini – perché, quindi, non terminare alle 14 o alle 15? Formando, quindi, un blocco orario di sei ore per giorno, per cinque giorni e quindi 30 ore».
E poi arriva il pomeriggio. Che fare? Seguire un altro principio cardine della riforma: «I ragazzi hanno bisogno di sviluppare la propria autonomia: crescono e vivono in una società strutturata, sia a scuola sia nel tempo libero. Hanno difficoltà, devono diventare più autonomi imparando a organizzarsi, orientarsi, scegliere». Quindi, ed eccoci, al più volte citato «tempo dinamico» dopo la pausa pranzo. Quella parte di pomeriggio dove, spiega il vicepresidente dell'associazione LaScuola, «sarà facoltativo, dove ogni ragazzo deciderà cosa fare, senza alcuno stress da valutazione o nota». Con tante opzioni, si diceva: «Approfondimenti, recuperi, studio assistito, compiti per non doverli fare la sera a casa...». Ma «tempo dinamico» (e due) vuol dire anche «avere opzioni di orientamento, dove si può riconoscere e individuare le proprie passioni, sperimentarle, per capire cosa si voglia fare dopo, una volta finite le medie. Sperimentare – per Mozzini – significa anche avere dei desideri e vedere se corrispondono alla realtà, o alle possibilità».
Questo «tempo dinamico» (e tre) «deve essere organizzato dalle sedi scolastiche, con accresciuta autonomia di sede, progetti, didattica, e deve anche fungere da ponte tra scuola e società, far uscire i ragazzi dalla bolla scolastica per capire come è il mondo fuori». Insomma, l'idea è quella di «una riforma strutturale, che migliora l'organizzazione della scuola e offre migliori condizioni per implementare quanto a livello di contenuti si sta già discutendo o sperimentando». Ma, importante, «agendo anche in profondità nella società. Siamo tutti abituati a una struttura che condensa molte attività e le sovrappone tra le 17.30 e le 20.30: attività sportive, culturali, ricreative, compiti, cena... Immaginate questi ragazzi che alle 14 possono già decidere cosa fare nelle seguenti sei ore, che può occupare parzialmente a scuola perché la famiglia lo vuole o ne ha bisogno, o alla socialità, agli amici, al mondo associativo».
Poi per carità, va dato atto di una cosa. Sono i proponenti di questa riforma per primi a dire che alcune questioni restano aperte. A partire dagli aspetti economici, perché non sarà a costo zero. Per continuare con la questione delle mense: dovrebbero essere garantite in ogni sede. Per non parlare di trasporti, quindi le corse speciali, gli spazi necessari a livello di aule nelle sedi e – beh, ci mancherebbe altro – la costruzione di un consenso presso le altre forze politiche, le associazioni magistrali e nella società. Alle domande della stampa sull'applicazione di alcuni punti, la risposta è sempre stata onesta: «Questi sono spunti, non un progetto definito in ogni sua parte». Lavori in corso quindi, ma il cantiere è stato inaugurato. Cosa avverrà, sarà musica dei prossimi anni – dire mesi sarebbe peccare di ottimismo, che in politica non trova pace – e toccherà al Gran Consiglio.
Un parlamento dove i liberali radicali spiegheranno bene questo progetto. A partire dal deputato Aron Piezzi, che parte col turbo: «Spesso abbiamo criticato il Decs per essere troppo dirigista e per non ascoltare a sufficienza chi la scuola la fa ogni giorno. Ora la politica accoglie una proposta che viene dal basso, che offre una nuova modalità di scuola media». La politica – leggasi, per ora, il Plr – «accoglie con entusiasmo queste proposte e queste idee, le fa proprie con la volontà di intervenire con azioni che mettano al centro l'allievo e la sua crescita». L'iter «sarà lungo», ammette Piezzi. Ma «si tratta di una svolta essenziale per la scuola media, anche perché queste proposte, che mirano a far socializzare di più i giovani tra loro e responsabilizzarli maggiormente, vogliono evitare ulteriori disagi nei giovani, che stanno vivendo un periodo di difficoltà».
Da Alessandro Speziali, firmatario dell'iniziativa parlamentare, arrivano poche parole: «È bene che il tutto venga presentato da chi lavora nella scuola ogni giorno». Ma non rinuncia a rilevare come «sia davvero evidente interrogarsi sulla scuola e le sue prospettive, l'associazione LaScuola è una risorsa per tutto il mondo scolastico e non solo per un'area di pensiero liberale. A cinquant'anni dalla nascita della scuola media per come la conosciamo oggi, un aggiornamento è davvero necessario».
Intanto, però, dai sindacati dei docenti non piovono applausi. C’è apertura, disponibilità, ma ci sono anche piedi di piombo di quelli massicci e la consapevolezza che si stia per camminare su un campo minato. Il responsabile di Ocst-Docenti, Gianluca D'Ettorre, da noi interpellato vede «potenzialmente» delle cose positive, con però grandi rischi. Partiamo da cosa non viene bocciato senza appello, vale a dire «il voler sviluppare l'aspetto dell'orientamento alla scuola media. Nel 2022 il Ppd, ora Centro, su spunto di Ocst-Docenti aveva presentato quattro atti parlamentari in questa direzione, perché per i ragazzi può essere positivo conoscere meglio le proprie caratteristiche, propensioni e interessi». Parallelamente, D'Ettorre vede che «tra le varie cose viene auspicato un rapporto più diretto col mondo del lavoro». Anche qui «potenzialmente» c’è «qualcosa di interessante, c’è una certa distanza tra scuola media e mondo professionale e i ragazzi faticano a conoscere bene le attività professionali: anche se molto si sta facendo». Insomma, «avvicinarsi al mondo del lavoro può essere positivo. Però...». Però? «Eh, però bisogna fare attenzione – continua D'Ettorre –, perché arriva la preoccupazione: tutto deve entrare in un piano organico. Come avverrà? Quali ditte e quali settori saranno coinvolti? In quali tempi, modi e spazi? Il rischio che intravedo è che la scuola diventi una sorta di terreno di caccia a talenti e profili, e senza un ruolo di supervisione e verifica da parte della scuola diventa difficile». Anche sulla questione delle associazioni sportive, culturali o musicali «è bello che la scuola sia più permeabile, ma non bisogna essere ingenui: in queste associazioni non necessariamente vengono applicate le pratiche, i principi, le regole della scuola». E per quanto concerne l'autonomia di sede? Male male. Nel senso che «non vorrei che queste scelte dei ragazzi fossero frutto di elementi accidentali, occasionali. Se una sede è vicino a una pista di pattinaggio o una piscina si offriranno queste possibilità, ma chi non ha una piscina o una pista di pattinaggio? Io starei molto, molto attento alle pari opportunità su tutto il territorio, evitiamo discriminazioni tra regioni».
D'Ettorre ha molti dubbi anche sulla questione della griglia oraria, cioè del passaggio da 33 a 30 ore: «Bisogna davvero intendersi quali materie perderebbero un'ora, finché non lo si rende chiaro è come lanciare il sasso e togliere la mano. Io insegno scienze, se mi viene tolta un'ora ma al pomeriggio gli allievi scelgono di fare altro rispetto a scienze cosa succede? Non bisogna perdere di vista che deve esserci un livello minimo formativo per tutti, un'ora in meno fa rinunciare a degli obiettivi. È un discorso di società quello che bisogna fare».
Il presidente del sindacato Vpod Docenti, Adriano Merlini, a titolo «assolutamente personale» fondamentalmente bombarda tutto. «L'orario continuato così come proposto è molto problematico per dei ragazzini, perché oltre all'orario base mi sembra di capire che con scelte opzionali, approfondimenti o altro comunque sarebbero impegnati a lungo. Non tutti i ragazzi a quell'età hanno la stessa forza o la stessa concentrazione». In più, questo orario a blocco «sarebbe molto problematico per le famiglie, perché combacerebbe molto meno con gli orari standard che anche nel 2024 hanno uffici, fabbriche e altri posti di lavoro». Come supporto portano le classi dei talenti sportivi, «ma non tiene affatto» tuona Merlini. Perché? «Perché sono sezioni create apposta, per una precisa scelta delle famiglie che poi improntano la loro agenda in questo modo».
No, Merlini non è convinto. Neanche «sull'idea di limitare i laboratori a matematica e tedesco quando non c'è una parola sull'attribuzione oraria delle altre discipline, che è un quesito fondamentale». Viene posto l'accento sulle nuove tecnologie, suggeriamo... «Ma non sono queste a mancare – risponde Merlini –, a mancare è semmai il tempo per approfondimenti, ragionamenti, cultura generale umanistica che permette di padroneggiare la tecnologia senza farsi sopraffare». Infine, come D'Ettorre, anche Merlini è attento alla questione di disparità territoriale: «Le offerte devono essere comparabili da Airolo a Chiasso, e si eviti che le città polo si distinguano da sedi minori. Le disparità vanno evitate il più possibile».