Chiaro no all’acquisto per 76 milioni dell’immobile Botta volto a ospitare la Cittadella della giustizia. Ferrara: ‘Aspettiamo alternative concrete’
«Il Ticino ha perso l’occasione di dare alla giustizia una casa più grande e adeguata alle necessità di oggi». Si sente tutta la delusione nelle parole di Natalia Ferrara, membro del comitato a sostegno dell’acquisto per 76 milioni di franchi dello stabile Efg. Acquisto bocciato dal 59,5 per cento dei votanti e da praticamente tutti i Comuni ticinesi, compresa la Città di Lugano, sede dell’ex Banca Gottardo. «Credo – afferma la deputata liberale radicale – che ci sia stata da parte dei ticinesi una paura, anche legittima visto il momento che stiamo vivendo, per un investimento così grande. Poi sicuramente i contrari hanno soffiato sul fuoco. Mi dispiace perché alla fine, senza una soluzione come quella in votazione, spenderemo di più e non avremo un’alternativa altrettanto valida». Sotto la lente il costo reputato da molti eccessivo dello stabile Botta. «Ci sono state – rileva Ferrara – perizie e verifiche diverse che hanno confermato che il costo dello stabile rappresenta un prezzo di mercato corretto. Stiamo parlando di uno stabile che arriva a circa 25mila metri quadrati. Non c’è nient’altro di paragonabile, non solo a Lugano, ma nell’intero Cantone. Quindi, al di là del marmo, del prestigio e della firma di Mario Botta, rimaniamo con un no che significa non avere una casa». Il Canton Ticino, sottolinea, «nelle sue linee guida afferma che è importante diventare proprietari e investire nei propri immobili. Certo che costruire nuovo conviene, ma è sostenibile? Avevamo una soluzione sostenibile, anche dal punto di vista ambientale, nel centro di Lugano e raggiungibile con i mezzi pubblici da ogni parte del Cantone». Ferrara si toglie poi qualche sassolino dalla scarpa: «Ora voglio vedere, e me lo auguro con tutto il cuore, dove e come sarà questa alternativa. Sto ancora aspettando delle soluzioni alternative concrete da parte dei contrari». Non pochi poi i problemi emersi all’interno della giustizia ticinese negli ultimi mesi, in particolare il caos al Tribunale penale cantonale. «Può darsi – ammette Ferrara – che queste diatribe tra giudici abbiano influito sull’esito della votazione. D’altra parte la giustizia è fatta di donne e di uomini che possono sbagliare, ma il prezzo da pagare questa volta è molto alto».
Per il consigliere di Stato Norman Gobbi, a favore dell’acquisto, l’esito delle urne è chiaro: «Per il popolo ticinese investire sulla giustizia non è la priorità. E non solo per i votanti, ma anche per la politica cantonale che ha deciso di sottoporre questo investimento al referendum finanziario obbligatorio. Durante l’ultima seduta di Gran Consiglio sono stati invece votati il credito netto e l’autorizzazione alla spesa di oltre 50 milioni di franchi per la scuola della moda a Chiasso senza sottoporli al referendum obbligatorio». Quali le ragioni di un no così marcato? «È un cumulo di elementi», afferma il consigliere di Stato e aggiunge: «Oggi, come evidenzia anche il Consiglio della magistratura, la giustizia funziona e non bisogna dire il contrario. Tuttavia, nell’ambito delle spese, questo tipo di situazioni, vale a dire magistrati che hanno problemi interpersonali e non sono in grado di gestire i propri collaboratori, evidentemente non giovano al messaggio che la giustizia ha bisogno di riforme». In tal senso, sottolinea Gobbi, «traggo le mie conclusioni. Il messaggio del popolo ticinese è abbastanza chiaro: più prudenza nelle spese e negli investimenti. Se vogliamo essere coerenti, le prossime riforme nell’ambito della giustizia dovranno essere a costo zero e non andranno dunque chieste maggiori risorse». Sul proprio coinvolgimento nel cosiddetto ‘caso Gobbi’ il consigliere di Stato non ha dubbi: «La mia vicenda non ha influito sul voto. Per come la vedo, ha giocato meno rispetto a quella che può essere la percezione».
«Il risultato della votazione – dice la deputata dei Verdi Samantha Bourgoin, autrice in Gran Consiglio del rapporto di minoranza, contrario all’acquisto dello stabile – mi rassicura: la popolazione ha cioè avuto le stesse percezioni, le stesse forti perplessità che ho avuto io analizzando da parlamentare il dossier. Il che non mi rallegra, ma questo quasi 60 per cento di no all’acquisto dell’immobile Efg fa capire bene una cosa, che non ha senso occuparsi di mattoni quando ancora nulla si sa dell’impatto che la digitalizzazione della giustizia avrà sul lavoro e sulle necessità logistiche della magistratura e quando ancora non sono stati risolti determinati problemi a livello di organizzazione giudiziaria e di risorse umane». Non solo. Secondo la granconsigliera ecologista, «la proposta del Consiglio di Stato era fondamentalmente limitata all’acquisto dello stabile: è mancato un messaggio governativo complessivo, sia sugli interventi di adeguamento nell’edificio Efg, sia su quelli di ristrutturazione dell’attuale Palazzo di giustizia. Come si può allora chiedere ai cittadini, alle prese con una serie difficoltà economiche e in un momento in cui lo Stato parla di risparmi e tagli, di spendere decine e decine, anzi centinaia di milioni di franchi pubblici se non si prospetta uno scenario chiaro sul piano logistico, soprattutto se non si ha una visione d’insieme sul potere giudiziario e sulle sue attuali reali priorità?».
Perentorio il presidente della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ Fiorenzo Dadò del Centro, che in Gran Consiglio aveva votato no all’acquisto dello stabile Efg: «Il popolo ha espresso chiaramente quali sono le priorità per quanto riguarda la giustizia: indipendenza e autonomia, riorganizzazione e soprattutto aumento degli effettivi».
Tra i partiti ufficialmente contrari all’operazione, figurava l’Udc. «Se la giustizia cade a pezzi, come recitava lo slogan dei favorevoli all’acquisto, è perché ad esempio – rileva il presidente dei democentristi ticinesi e consigliere nazionale Piero Marchesi – le nomine dei magistrati continuano a premiare soprattutto la tessera di partito del candidato, perché casi importanti, come il caso Adria, arrivano a processo dopo anni e anni, o perché all’interno di un tribunale, e mi riferisco al Tribunale penale cantonale, i giudici si segnalano vicendevolmente al Consiglio della magistratura. Anche noi – aggiunge Marchesi – vogliamo trovare una sistemazione logistica per la magistratura confacente. Ma nel caso specifico 76 milioni di franchi erano e sono, secondo noi, un importo eccessivo, insostenibile. Ora se proprio non ci sono alternative a questo stabile, il Consiglio di Stato riapra le trattative e stavolta le conduca lui, e non i funzionari, con la proprietà per scendere almeno a una sessantina di milioni, considerato anche che l’immobile è in vendita da cinque anni. Senza dimenticare, in ogni caso, gli altri problemi della giustizia».
Secco il commento del criminologo Michel Venturelli: «Proprio perché come dice Gobbi la giustizia è un servizio essenziale a favore della popolazione, dopo tredici anni di gestione inefficace della giustizia da parte del suo Dipartimento è legittimo che il popolo tiri il freno a mano».