Indipendenza della magistratura, risorse umane, nomine... da parte di parlamento e governo serve un cambio di passo. Al di là dello stabile Efg
Ieri all’apertura dell’anno giudiziario 2024-2025 l’unico dato incontrovertibile era la presenza della commissione ‘Giustizia e diritti’ del Gran Consiglio. Una presenza senz’altro opportuna quella dell’organo parlamentare interlocutore politico del terzo potere, chiamato anche per legge a esercitare l’alta vigilanza sulle autorità giudiziarie. Si diceva dell’unico dato sicuro della cerimonia svoltasi al Palacongressi di Lugano. Perché, per il resto, nei discorsi dei relatori diverse sono state le cose non dette, o alle quali si è solo accennato, o che si sentono da anni oppure che, così come esposte, vanno assolutamente e urgentemente chiarite sul piano istituzionale.
Partendo da queste ultime, non può certo finire nel dimenticatoio il “tema scottante”, per usare le sue parole, evocato dal giudice Damiano Bozzini nell’ultima relazione quale presidente del Tribunale d’appello. E cioè “l’esigenza di difendere l’indipendenza della Magistratura ticinese” e di concretizzare così il principio costituzionale della separazione dei poteri. E questo con “particolare riferimento” ai rapporti “tra Magistratura e Amministrazione cantonale”. Cosa intendeva dire esattamente? Bozzini non è andato nei particolari per non innescare polemiche, ha precisato, in questo periodo dove sul controverso acquisto dello stabile Efg, primo step della ventilata Cittadella della giustizia, gli animi si stanno surriscaldando. Sarà più esplicito, ha fatto sapere, “nelle sedi opportune preposte”. Lo auspichiamo vivamente, essendo indipendenza e autonomia della magistratura requisiti fondamentali affinché in una democrazia e in uno Stato di diritto l’azione del potere giudiziario sia credibile al cospetto dei cittadini. Alla commissione ‘Giustizia e diritti’ il compito di accendere quanto prima i riflettori sulle dichiarazioni del presidente uscente della maggiore autorità giudiziaria ticinese.
Alla fiera dei non detti ha partecipato gagliardo anche Norman Gobbi. Parlando delle nomine in magistratura, il direttore del Dipartimento istituzioni ha evidenziato l’importanza delle attitudini personali di un candidato. Da interpretare come un ritorno in auge degli assessment? Come un rendersi conto di quanto sia limitante per l’autorità di nomina, il Gran Consiglio, non avere più a disposizione il ‘particolarmente idoneo’ da parte della Commissione di esperti indipendenti ma una fila sconfinata di ‘idonei’ che lasciano il tempo che trovano?
Assicurando l’importanza dell’“armonia” delle relazioni interpersonali in seno alla magistratura, Gobbi si riferiva per caso al caos dentro al Tribunale penale cantonale esploso a suon di mobbing tra segretarie, segnalazioni e controsegnalazioni tra giudici e interrogazioni parlamentari? Dal ‘4x4 della politica della sicurezza’ è lecito aspettarsi più schiettezza e che le cose vengano chiamate col loro nome.
E sempre chiamando le cose con il loro nome, non si può sottacere il fatto che tutti gli esponenti di ogni ramo e livello della magistratura che commentano, criticano e a volte concionano del sistema di nomina basato spesse volte sul ‘Manuale Cencelli’, sono stati eletti proprio con quel sistema. Tutti, dal primo all’ultimo. Il ‘dopo di me chiudete la porta’ non fa parte del bagaglio etico che dovrebbe avere un magistrato.
Pure l’altro tema di giornata, quello delle risorse e del numero di effettivi, è stato farcito di non detti. Se è vero che le finanze cantonali non stanno per niente bene, e che la Polizia non è mai dovuta andare col cappello in mano per vedersi attribuite nuove forze, è difficile spiegare alla popolazione che si appresta a votare sul destino del mastodontico edificio che non c’è qualche centinaio di migliaia di franchi per le risorse che il procuratore generale Andrea Pagani chiede da tempo o per aumentare il numero di procuratori pubblici ma c’è, tra tutto, quasi un quarto di miliardo di franchi per un palazzo di marmo. Si spieghi finché si vuole la differenza tra investimenti e costi, si faccia tutta la poesia possibile sulla dignità della giustizia. Ma di quale dignità si parla se in media ogni pp ha 565 incarti nuovi ogni anno? Di quale dignità – in senso lato – si parla, se in tempi di tagli con la falce si decapitano i sussidi ma si dice che per una bella vetrina in centro a Lugano di soldi ce n’è eccome perché è un investimento? Non è “benaltrismo”, e non è neppure “disinformazione”, per citare sia Gobbi sia il nuovo presidente del Tribunale d’appello Giovan Maria Tattarletti: è ragionare con la testa di chi fatica ad arrivare a fine mese. Non sempre per colpa sua.
Ciò detto è evidente che la giustizia abbia bisogno di rinforzi e correttivi. Lo chiede a gran voce da tempo il procuratore generale, lo sostengono – a parole – chi più chi meno tutte le forze politiche. Appunto per questo la presenza ieri della commissione ‘Giustizia e diritti’ è l’occasione per ricordarle che non è più il tempo di cincischiare e dormire tra due guanciali come nel caso dell’estensione delle competenze dei segretari giudiziari ai procedimenti contravvenzionali. Pendente, prima di una luce verde, dall’11 settembre 2019 al 12 marzo 2024. 1’644 giorni, a essere precisi.
Insomma alla commissione parlamentare, presieduta da qualche settimana dal centrista Fiorenzo Dadò, il lavoro non mancherà di sicuro, poiché un altro dato incontrovertibile è che da parte del Gran Consiglio, ma anche da parte del governo, serve un cambio di passo nella politica giudiziaria.