Il tema sollevato da Bozzini non è nuovo. Si leggano i rendiconti 2018 e 2019 dell'allora presidente del Tribunale d'appello sui rapporti con la Divisione
È noto almeno da sei anni il tema sollevato di recente dal giudice Damiano Bozzini nella sua ultima relazione in veste di presidente del Tribunale d’appello. Prima di lui ne ha parlato, con sostanzialmente gli stessi rilievi (critici), un altro giudice, Mauro Mini, quand’era alla testa della massima autorità giudiziaria ticinese, nel rendiconto 2018 del Tribunale. Il tema è quello dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Autonomia e indipendenza del terzo potere messe a rischio, secondo Bozzini, dall’agire della Divisione giustizia del Dipartimento istituzioni. “La collaborazione, nel pieno rispetto dei ruoli, con i preposti servizi della Sezione delle risorse umane (Dipartimento delle finanze e dell’economia) non presenta particolari problemi”, premette Bozzini nel rendiconto 2023, pubblicato la scorsa settimana: il Tribunale “è per contro regolarmente costretto a rivendicare il rispetto del proprio spazio di autonomia nei confronti della Divisione della giustizia”. Rincara il giudice: “Senza peraltro disporre di una specifica base legale, la Divisione si ritiene in diritto di subordinare le decisioni sul personale a propri obiettivi o desideri, spesso in contrasto con quelli del Tribunale o, in alcuni casi, addirittura in violazione delle norme applicabili”. Ciò che “comporta crescenti difficoltà, ritardi e un uso irrazionale delle risorse”.
Parole che hanno dapprima scatenato le ire della direttrice della Divisione, Frida Andreotti (si leggano le sue dichiarazioni rilasciate ai media il 13 giugno) e, qualche giorno dopo, indotto il capo del Dipartimento, il leghista Norman Gobbi, ad assicurare pubblicamente, dopo l’audizione davanti alla commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’, che l’indipendenza della magistratura è garantita. Che non vi sarebbe insomma alcuna ingerenza del Dipartimento istituzioni nel reclutamento da parte del Tribunale d’appello, quale autorità di nomina ai sensi della Lord (la Legge sull’ordinamento degli impiegati dello Stato e dei docenti), di funzionari amministrativi e giuristi. Giuristi. Non magistrati, che vengono invece eletti dal Gran Consiglio. La ‘Giustizia e diritti’ intende ad ogni modo approfondire la questione evidenziata da Bozzini, sentendo quest’ultimo e il neopresidente del Tribunale, Giovan Maria Tattarletti, nei prossimi giorni.
Ma la questione, si è detto, non è nuova. “La separazione dei poteri ha un ruolo essenziale e primordiale soprattutto per la giustizia, chiamata ad agire in piena autonomia, sia rispetto al potere esecutivo, sia rispetto al potere legislativo”, ricordava nell’introduzione al rapporto sull’attività svolta nel 2018 dal Tribunale d’appello il suo presidente Mauro Mini, in pensione dal 2021 dopo diciassette anni a Palazzo di giustizia, dove è stato fra l’altro responsabile della Corte dei reclami penali. “Da sempre” il Tribunale, annotava ancora, dipende organizzativamente “dalla Divisione della giustizia”. E aggiungeva: “Nel Cantone l’autonomia e l’indipendenza della magistratura è limitata in modo importante dall’assenza di autonomia organizzativa e finanziaria, e dalle modalità di scelta dei magistrati. L’assenza di autonomia organizzativa e finanziaria della magistratura la rende tributaria, per ogni aspetto organizzativo e finanziario, dalla Divisione della giustizia e/o dal Consiglio di Stato. Questa dipendenza è data nelle cose semplici e quotidiane, come in quelle più importanti”. Le cose semplici: “Un giudice del Tribunale d’appello, per partecipare a un congresso giuridico Oltralpe, deve presentare un formulario (e ci mancherebbe), ottenere il benestare del suo funzionario dirigente (per i giudici, quello della cancelliera del Tribunale d’appello, e qui già non ci siamo), e l’approvazione della Divisione della giustizia (e qui non ci siamo per niente)”. Il Tribunale “non dispone di una cassa, con fondi propri, per le spese vive: una colletta è regolarmente organizzata per finanziare gli annunci mortuari, per acquistare eventuali doni a chi va in pensione. Se il presidente del Tribunale d’appello ricevesse in visita il presidente di un altro tribunale o il presidente del Tribunale penale federale, dovrebbe preventivamente presentare un’apposita richiesta di un fondo spese per invitarlo a pranzo”.
E veniamo a quelle che l’allora magistrato definiva “cose importanti”. Scriveva Mini nel rendiconto 2018: “Le nomine dei funzionari amministrativi e dei vicecancellieri sono formalmente fatte dall’autorità giudiziaria (anche se il principio è messo in discussione), ma non sono possibili senza il consenso della Divisione e/o del Consiglio di Stato”. E via con gli esempi. “Un potenziamento per un posto al 60% di vicecancelliere per una Camera del Tribunale d’appello non è ancora stato deciso dopo 4 mesi. Non v’è chi non veda che una simile dipendenza sia sproporzionata e crei, di fatto, una situazione di subalternità rispetto all’esecutivo, rispettivamente rispetto a una Divisione”, affermava Mini. Che, sempre con riferimento al 2018, rilevava: “Questa situazione è ancor più disagevole e inappropriata se si considera che alcune Corti” del Tribunale d’appello “sono competenti per decidere gravami contro decisioni della Divisione della giustizia (ad esempio la Corte dei reclami penali, in materia di esecuzione pena, è autorità di ricorso contro le decisioni della Divisione: due decisioni recentemente rese dalla Crp sono state impugnate, dalla Divisione la prima, dal Consiglio di Stato la seconda, presso il Tribunale federale). Più in generale, il Tram (il Tribunale cantonale amministrativo, ndr) è autorità di ricorso contro molte delle decisioni del Consiglio di Stato”.
Anno nuovo, situazione nuova? Non proprio, stando a quanto Mini scriveva nel rendiconto 2019 del Tribunale d’appello: “Per un incremento dell’indipendenza della magistratura in Ticino non sembrano prefigurarsi tempi favorevoli. In luogo di favorire l’indipendenza organizzativa e finanziaria delle diverse magistrature (come auspicato), la Divisione della giustizia avrebbe l’intenzione di riprendersi le competenze di nomina del personale, eventualità da evitare”.
Sì, quella sollevata da Bozzini non è una novità. Il tema/problema si trascina da anni. Del resto pure le relazioni stilate da Mini nel biennio in cui ha presieduto il Tribunale d’appello sono sul sito online del Cantone. Non solo. Come dimenticare la controversa lettera inviata dalla direttrice della Divisione giustizia Andreotti nel dicembre 2022 alle presidenze delle magistrature permanenti in materia di alunnato giudiziario? Lettera che “conferma” (?) l’esclusione di alunni/aspiranti avvocati di nazionalità straniera, in possesso dunque di un permesso di dimora o per frontalieri oppure di domicilio, e la “precedenza” nell’assunzione agli alunni che hanno studiato “presso un ateneo svizzero”. Due atti parlamentari. Uno dei comunisti Massimiliano Ay e Lea Ferrari e uno del centrista, già presidente dell’Ordine degli avvocati, Gianluca Padlina, firmato pure da Mattea David del Ps e da Andrea Rigamonti del Plr. Titolo dell’interrogazione: “Criteri per l’ammissione all’alunnato giudiziario - Indebita ingerenza sulla Magistratura da parte della Divisione della giustizia?”. Risposta, scontata, del governo: nessuna violazione del principio della separazione dei poteri. Mah.
È opportuno che la commissione ‘Giustizia e diritti’ del Gran Consiglio, presieduta dal deputato e presidente del Centro Fiorenzo Dadò, non si fermi alle audizioni dei giudici Bozzini e Tattarletti. C’è un aspetto istituzionale importantissimo da chiarire.